La crisi come opportunità. La design week di Milano inizia dal Triennale Design Museum
Un percorso all’insegna delle tre “a”: autarchia, austerità, autoproduzione. Il tema dell’autosufficienza produttiva declinato in tre epoche emblematiche: gli autarchici Anni Trenta, i consapevoli Anni Settanta e il presente, tra nuove tecnologie e responsabilità. A Milano apre la settima edizione del Triennale Design Museum, a pochi giorni dall’inizio del Salone del Mobile.
“I momenti di crisi raddoppiano la vitalità degli uomini”. Una citazione di Paul Auster riassume efficacemente l’assunto alla base della settima edizione del Triennale Design Museum, che aprirà al pubblico domani 4 aprile. La mostra, curata da Beppe Finessi, si vuole sempre più in fase con l’attualità. La selezione delle opere prende le mosse dall’idea che il mondo del progetto tragga nuova linfa vitale dai periodi di crisi – economica o politica che sia – trasformando gli ostacoli in altrettante opportunità.
Secondo Silvana Annicchiarico, direttrice del museo (l’intervista con lei potete leggerla su Artribune Magazine – Speciale Salone), “crisi significa scelta, lo dice l’etimologia della parola”. In quest’ottica, “una lettura crisicentrica del design italiano conferma la sua straordinaria capacità di dialogare con la società e di offrire risposte non solo strumentali ai problemi, ai bisogni e ai fantasmi del proprio tempo”.
In particolare sono state individuate tre epoche emblematiche – gli Anni Trenta, gli Anni Settanta e gli Anni Zero– durante le quali la reazione a un contesto problematico ha favorito l’emergere di nuove forme organizzative, che a loro volta aprono la strada a nuove soluzioni morfologiche. Così, le restrizioni commerciali ed economiche imposte all’Italia tra il 1935 e il 1936 e la conseguente carenza di materie prime determinano la necessità di sviluppare nuovi materiali, italiani al 100%, da utilizzare in tutti i settori produttivi, compreso l’arredamento. Il “Lanital”, il “Raion” e i loro fratellini autarchici, oltre a entrare prepotentemente nell’immaginario collettivo, impongono ai creativi l’adozione di nuovi paradigmi formali.
Secondo lo stesso principio, negli Anni Settanta, dalla crisi petrolifera alla stagione dell’austerità, ci si interroga sui rischi dell’acquiescenza acritica al consumismo e si sperimentano nuove forme di creazione basate sulla sobrietà e sulla partecipazione. Il presente vede riemergere con forza il concetto di responsabilità, con la necessità di ridurre gli sprechi e razionalizzare l’utilizzo delle materie prime, a causa della crisi economica ma anche in un’ottica di sostenibilità ambientale. Parallelamente, le nuove tecnologie e la democratizzazione di tecniche e strumenti innovativi permettono ai progettisti che lo desiderano di sganciarsi dalle aziende per produrre, direttamente e con facilità crescente, le loro opere. Nasce così una nuova figura di designer 2.0 che si relaziona direttamente con il pubblico, rivestendo di volta in volta ruoli diversi e occupandosi di tutte le tappe del ciclo di vita dell’oggetto: ideazione, produzione, marketing.
Il percorso segue il fil rouge dell’autosufficienza produttiva – declinato secondo le tre A: autarchia, austerità, autoproduzione – per tracciare una storia alternativa del design italiano. Dopo una prima installazione che mescola le carte affiancando suggestioni provenienti da ciascuno dei tre periodi di riferimento, e che ci mette di fronte, come primissimo pezzo, alla Poltrona di paglia di Alessandro Mendini, procediamo cronologicamente, a partire da Fortunato Depero, forse il primo maker italiano a tutti gli effetti, per approdare al design autoriale che si autoproduce sfruttando le nuove tecnologie.
La selezione, ricchissima, è valorizzata dall’allestimento curato dal designer francese Philippe Nigro, fresco vincitore del premio Now-Design à vivre di Maison&Objet. I materiali scelti, il metallo e l’OSB, materiale composito di pezzi di legno di pioppo del Monferrato, rievocano il lavoro artigianale e autoprodotto. Da segnalare il lavoro di Italo Lupi, autore di un progetto grafico declinato in tre parti, con la scelta di tre font diversi, tipici dei tre periodi storici prescelti.
Al termine del percorso espositivo, negli spazi del CreativeSet, una struttura creata dallo Studio Citterio mette in scena una parte del patrimonio storico del museo. Un imponente “grattacielo” di plexiglas accoglie una serie di pezzi iconici, a partire dai quale, ogni mese, un comitato composto da dieci grandi maestri del design italiano selezionerà cinque icone e una “supericona”.
Giulia Marani
Milano // fino al 22 febbraio 2015
Il design italiano oltre la crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione
a cura di Beppe Finessi
TRIENNALE DESIGN MUSEUM
Viale Alemagna 6
02 724341
[email protected]
http://www.triennale.it/
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