Oggi si pensa che le fiere d’arte siano troppe, troppo care e che nel complesso non diano ritorni soddisfacenti in termini d’immagine e di denaro. In realtà la fiera d’arte è ancora il vero appuntamento per stabilire la salute del mercato artistico, soprattutto quello italiano, che da anni sopravvive a stento tra crisi economica, finanza e diritto di seguito. È difficile raccogliere dati tecnici sulle vendite: anche qui la questione finanziaria scotta ed è consuetudine dei galleristi nascondersi dietro la formula secondo la quale tutto è andato alla perfezione. Tuttavia, dopo interviste e ricerche più approfondite, sono finalmente emerse informazioni e indiscrezioni più concrete, accompagnate da cifre e curiosità.
Il trend economico di questa edizione di MiArt conferma l’ascesa delle quotazioni dei Bonalumi, contesi e venduti a caro prezzo; decisamente in rialzo Paolo Scheggi e Turi Simeti, i cui pezzi sono andati a ruba (si sussurra di un 160×130 cm rosso del 1968 a 140mila euro). Nel moderno si vendono sempre gli stessi, che si fanno via via più cari: nomi come Castellani, Boetti o Fontana svettano infatti in un mercato internazionale ai massimi livelli. Un po’ sotto tono pare l’Arte Povera, ma i mercanti sanno che sarà l’affare dei prossimi anni: alla fiera d’arte di Bologna, infatti, è stato consacrato Calzolari, stabile sopra i 100mila euro, e ritorna l’attenzione su Mario Merz.
Così, se il moderno è vivo e vegeto, il contemporaneo sembrerebbe scoppiare di salute, grazie al giochino del “tutto venduto”, inscenato soprattutto dalle gallerie straniere che arrivano con gli affari già conclusi, usando la fiera come una vetrina. Emblematico, per esempio, è il caso di OHWOW di Los Angeles, dove le opere di Torey Thornton sarebbero state sold out già dal primo giorno: alle richieste dei collezionisti, infatti, solo sorrisi e scuse perché nessun pezzo era più disponibile. Anche T293 di Roma/Napoli dichiara che le opere di sacchi da riciclo di May Hands, dalle 5mila alle 8mila sterline sono state “bruciate” in una giornata, così come i Chris Succo da Rod Burton, che accettava soltanto prenotazioni.
Riguardo alla struttura della fiera, ideata e gestita dal direttore artistico Vincenzo De Bellis, le sezioni erano cinque, oltre a quella moderna: Emergent, Estabilished, Conflux, THANnow e Object. Se la prima era occupata dalle gallerie già consolidate, la seconda ne ospitava di giovani con attività di ricerca sperimentale; in THENnow dialogavano invece due gallerie tramite le personali di un artista della nuova generazione a confronto con uno della vecchia, mentre Conflux, una innovativa piattaforma con progetti site specific, presentava artisti internazionali da gallerie del Sud America, Stati Uniti, Medio Oriente o Europa. Object, infine, proponeva oggetti del più ricercato design esposti in un insieme organico di dieci gallerie.
In Emergent, dove un famoso collezionista di Dubai si aggirava con fare ben intenzionato, Thomas Brambilla di Bergamo ha venduto due opere di Oscar Giaconia e una piccola di Erik Saglia, mentre l’affare sul pezzo da 40mila euro delle Bread Series di Anatoly Osmolovsy era sulla via d’essere concluso. Da Supplement di Londra, con opere di Jack Vickridge a 4mila euro circa, e dal newyorchese Essex Street ci sarebbe poi stato il fuori tutto, mentre la VI VII di Oslo ha riportata a casa solo un’opera, dopo aver chiuso anche su pezzi non presenti in fiera.
Tra gli Estabilished la galleria sudafricana Brundyn + Gognsalves prezzava a 1.000 euro quadri di medie dimensioni di Chris Van Eeden e a 5mila i feltri di Jody Paulsen. Lo SpazioA di Pistoia vendeva soprattutto a habitué italiani le opere di artisti come Luca Bertolo o la giovane Giulia Cenci a cifre tra i 2 e i 10mila euro. Paragonabili a questi prezzi, poi, sono quelli di The Gallery Apart di Roma, che vendeva a 5.500 euro una scultura-formicaio di Luana Perilli.
I Joe Reihsen del 1979 alla Brand New Gallery costavano tra 8mila euro per un 120×100 cm e i 10mila euro; per chi fosse stato interessato a un Balla, invece, da Mazzoleni si acquistavano a 350mila i disegni a matita, a 450mila una piccola opera su tavola e a 650mila la tela. Da Continua, poi, le estroflessioni di Loris Cecchini a muro erano a 45mila + Iva (220cm di diametro).
Altri numeri sono i 56mila euro per uno schema luminoso 70×70 cm di Grazia Varisco, per cui la galleria Ca’ di Fra’ ha concesso uno sconto, pare, del 15%; 85mila euro per lo spazio elastico di Gianni Colombo del ‘71 alla Galleria Spazia e 530mila euro per il Bonalumi del ’68 alla Galleria Voena; 25mila per l’ipercubo di Boriani alla Valmore, mentre la Galleria Tega vendeva a 25mila euro una scultura di Bertozzi & Casoni.
Molta è stata la curiosità per la nuova sezione Conflux, dove i quadri di Waldemar Zimblemann sono stati venduti da Meyer Riegger per cifre variabili tra i 2 e i 13mila euro, soprattutto quelli di piccole dimensioni. A differenza del pessimismo e della cattiva fortuna che sembrano essersi abbattuti su alcune gallerie italiane a causa della crisi, l’ospite di Berlino si dichiara soddisfatta dei suoi affari in fiera e per nulla in difficoltà. Altrettanto entusiasti sembrano essere Praxis di Buenos Aires-New York con le opere di Gaspar Libedinsky e Isabelle van den Eynde di Dubai, con il progetto speciale Joyous Treatise di Ramin e Rokni Haerizadeh, Hesam Rahmanian e Iman Raad.
Grande interesse e successo anche per la sezione THENnow curata da Giovanni Carmine e Alexis Vaillant, con il dialogo generazionale tra artisti come Carla Accardi e Nicolas Party, John Divola e Oscar Tuazon, Cory Arcangel e Mario Schifano. Tra i 35mila e i 100mila euro i quadri fluorescenti Imi Knoebel alla Thaddaeus Ropac di Parigi-Salisburgo, a confronto con Elad Lassry da Massimo De Carlo di Milano, con prezzi più modici tra i 5 e i 9mila euro.
Curata da Federica Sala, infine, è la sezione Object, con pezzi di design d’avanguardia a edizione limitata, dove pare, anche qui, i risultati siano stati soddisfacenti. I dieci ospiti, provenienti soprattutto da città italiane come Milano con Luisa Delle Piane ed Erastudio, Arezzo con Nero e Benevento con Swing, insieme agli esteri Libby Sellers di Londra e Talents Design di Tel Aviv, hanno venduto oggetti funzionali e dall’estetica minimale o mirabolante che spaziano da eleganti tavoli su modello ping pong, a imponenti specchi, vasi e lampadari in sfere di vetro, con firme come i Fratelli Campana, Formafantasma, Alberto Garutti, Marco Mumenthaler, Gaetano Pesce.
Quello che emerge dalle ricerche e dalle informazioni raccolte è un pubblico sempre più ristretto in grado di captare i valori più solidi e in ascesa: per questo l’investimento si concentra sulle opere miliari dell’arte moderna – come ha prontamente colto la Fondazione Marconi nel proporre una ricca retrospettiva di Dame e Generali di Enrico Baj – piuttosto che su un’arte contemporanea un po’ traballante che vede nello stand un trampolino di lancio e occasioni di relazioni e visibilità.
Clara Rosenberg
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