Musei e social media. #svegliamuseo lancia una “crociata” per ridestare la cultura
Quando non sono le opere in collezione i veri pezzi da museo. #svegliamuseo è un progetto che vuole svecchiare il sistema culturale italiano a partire dalla comunicazione via web. Abbiamo intervistato la fondatrice del think tank, Francesca De Gottardo.
Un nome che è un’esortazione e un invito ben preciso: svegliarsi. Il sistema culturale italiano, tra le varie tare che non riesce proprio a togliersi di dosso, presenta importanti difficoltà – al netto di eccezioni notevoli – a proporsi in modo interessante ed efficace sul web, canale principale di attrazione e fidelizzazione del pubblico. Inutile discorrere delle possibilità che offre la comunicazione online oggi, poiché ormai è lapalissiano: non si può prescindere dagli strumenti digitali per comunicare con l’esterno. A focalizzarsi su questo tema è #svegliamuseo, una realtà nata da meno di un anno ma che si è fatta rapidamente conoscere dagli addetti ai lavori nei settori della cultura e della comunicazione (e non solo). Abbiamo intervistato la fondatrice del think tank culturale, Francesca De Gottardo, per capire meglio di cosa si tratta.
Chi siete e cosa volete fare?
Siamo un gruppo di persone giovani che non si danno per vinte. Siamo quattro ragazze e un ragazzo, tutti sotto i trent’anni e tutti con un percorso di studi in archeologia, o comunque in discipline umanistiche. Quando ci siamo trovati di fronte a una problematica, non abbiamo voluto limitarci alla critica ma ci siamo sforzati di dare il nostro contributo pratico per migliorare le cose.
Parliamo di #svegliamuseo: come nasce e qual è il suo obiettivo?
#svegliamuseo è nato quasi per caso, mentre svolgevo alcune ricerche di mappatura dei musei online. Cercavo per primi i nomi più noti, quelli dei grandi musei “che sicuramente saranno su Facebook” e m’imbattevo in assenze o in utilizzi imbarazzanti. Ho raccolto materiale, mi sono informata e ho scoperto che c’era quanto bastava per mettersi in gioco in prima persona e fare qualcosa.
Qual è il primo passo?
Stiamo raccogliendo dieci interviste in cui alcuni tra i musei più famosi del mondo che usano molto bene la comunicazione online consigliano e “svegliano” dieci musei italiani volontari. Parallelamente intervistiamo anche le realtà italiane che stanno già utilizzando gli strumenti digitali in maniera smart affinché condividano il loro punto di vista con i musei che pensano che i problemi di budget e di personale siano un limite insuperabile.
Il nostro obiettivo è creare movimento, mettere in connessione le singole realtà e costruire un dialogo con i musei, ma anche con gli appassionati. Stiamo attirando l’attenzione su queste carenze per trovare insieme delle soluzioni.
Quali sono i punti di forza di #svegliamuseo?
La nostra grandissima forza è sicuramente la community che si è creata intorno al nostro hashtag e alla filosofia che gli sta dietro. In sei mesi abbiamo raccolto un gruppo di mille persone su Facebook che si scambiano quotidianamente link, opinioni e consigli sulla gestione degli strumenti online in ambito museale. A soli due mesi dall’apertura dell’account su Twitter, più di 2.200 persone ci seguono e interagiscono con noi per parlare di e con i musei. L’hashtag stesso oggi viene riproposto in maniera spontanea dai musei che pubblicano foto e contenuti delle collezioni online: non potremmo essere più felici!
E i punti di debolezza?
Il fattore tempo. Da una parte perché abbiamo tutti altri lavori e impegni di studio che ci vincolano e portiamo avanti #svegliamuseo come progetto volontario, nel nostro tempo libero. Dall’altra perché siamo costretti a fare i conti con i tempi molto lunghi dei nostri interlocutori: pur mostrando un grande entusiasmo per il progetto, alcuni musei ci stanno mettendo mesi a rispondere alle interviste.
Come si vanno intrecciando le relazioni fra realtà “sveglie” e “da svegliare”?
Le realtà “sveglie” sono sempre molto disponibili al dialogo, accolgono con piacere le nostre richieste d’intervista e sono in grado di darci risposte davvero utili per i loro colleghi “da svegliare”, soprattutto perché condividono le stesse problematiche di fondo della cultura italiana e dimostrano che, volendo, il cambiamento è possibile.
Sull’altro fronte, è stato davvero interessante scoprire una miriade di musei piccoli e medi che hanno accolto il progetto e gli stimoli della comunicazione online con entusiasmo e grande coraggio. Ogni giorno nasce un nuovo account Twitter di un museo italiano, e questo succede grazie soprattutto alle singole persone che vi lavorano e che decidono di aggirare le lungaggini della burocrazia per sperimentare qualcosa di nuovo e di fortemente a contatto con il loro pubblico. L’andamento della #museumweek dimostra che questa mossa può essere un successo e che spesso le rivoluzioni cominciano dal basso.
Consultando il sito Museum Analytics ci si può fare un’idea della presenza sul web dei musei italiani e di quelli stranieri. Questi ultimi sono nettamente più presenti, basti pensare che il primo museo italiano nella classifica dei più “followati” sul web si aggiudica l’85esimo posto (il Maxxi di Roma). Da dove deriva, per quanto hai potuto osservare, il gap tra la situazione italiana e quella estera?
Premettendo che Museum Analytics riporta solo i dati dei musei che si sono registrati al sito, e quindi non è del tutto attendibile, resta comunque inutile negare il gap. Quanto al perché, ci siamo fatti un’idea più precisa nel corso di questi mesi, grazie al dialogo costruttivo che si è venuto a creare con i musei che stanno provando a cambiare le cose. A ottobre credevamo che i motivi fossero da ricercare sì nella carenza di budget e di personale, ma soprattutto in una forma di chiusura mentale da parte di chi lavora in questo settore, ancora convinto che Facebook sia uno strumento per ragazzini delle superiori. Oggi sappiamo che esistono molte realtà, e che in alcune di queste lavorano persone sveglie e volenterose di fare e di imparare, che si scontrano quotidianamente con procedure burocratiche di una lentezza imbarazzante, oltre che con pochi fondi e con scarsezza di personale.
Certo, c’è sempre la distinzione da fare: noi parliamo con musei di dimensioni medio-piccole che fanno quello che possono con le risorse che hanno, ma come giustificare alcuni famosissimi musei italiani che fanno la figura dei “grandi assenti” online quando dovrebbero essere i primi a dare il buon esempio? Per assurdo, in Italia le cose andranno al contrario e saranno i musei piccoli a trainare i grandi.
Quali saranno i prossimi step per #svegliamuseo?
A sei mesi dall’inizio, ci troviamo a un punto di svolta. Da un lato stiamo cercando di portare a termine le famose dieci interviste iniziali per pubblicare una sorta di guida agile alla comunicazione online. Abbiamo in cantiere un ebook insieme ad altri giovani professionisti come noi e vorremmo che fosse uno strumento utile per quei musei più ricettivi che hanno bisogno di linee guida per muoversi sul web. Dall’altro lato, la nostra mission sta evolvendosi insieme ai musei per i quali è nata. Vorremmo sempre più diventare un punto di riferimento su questi temi, una sorta di piattaforma di scambio d’informazioni sul digitale in ambito culturale. I musei si stanno “svegliando”, è vero, ma soprattutto in questa fase c’è bisogno di rendere accessibili i consigli e le buone pratiche di utilizzo degli strumenti online. Perché Twitter in sé è divertente ma, se usato con una strategia coerente e integrata, diventa un veicolo di comunicazione potentissimo.
Veronica Mazzucco
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