Museo in Qatar si dice Mathaf. Intervista con Abdellah Karroum
Marocchino classe 1970, da giugno 2013 Abdellah Karroum è il nuovo direttore del Mathaf. Il suo compito è fornire allo spazio una guida curatoriale e gestionale, presiedendo al controllo delle attività quotidiane del museo. L’obiettivo è ideare una programmazione che esplori e celebri l’arte attraverso i suoi protagonisti arabi, offrendo però anche un’apertura estetica e nuove prospettive sulle tendenze moderne e contemporanee di livello internazionale. Lo abbiamo intervistato.
Come è avvenuta la selezione e per quanto tempo durerà il tuo incarico?
Ho accettato con grande piacere la responsabilità di direttore di un’istituzione su larga scala che si trova in fase di crescita. Sono fortunato a trovare proprio a Doha il supporto della QMA, che sa esattamente cosa significhi portare un museo come il Mathaf a un livello che ne rispetti la statura culturale. Mi sento fortunato anche perché ho trovato un team dinamico e una volontà di promuovere investimenti importanti da parte della Sheikha Al Mayassa e di Sheikh Hassan, mecenati con i quali coltiviamo la necessaria prossimità di pensiero in merito a quel che un museo nel XXI secolo dovrebbe rappresentare nel mondo. Sono stato invitato a Doha dopo anni di progetti creati e condivisi nel campo dell’arte. Quando fui selezionato, quasi per coincidenza, stavo seguendo da vicino le trasformazioni che stavano avvenendo in Qatar, proprio nel periodo in cui i decision maker qatariani stavano osservando il mio lavoro sviluppato soprattutto in Africa.
A quanto ammonta il tuo budget annuale e come è ripartito secondo le diverse attività? Il Mathaf è supportato da fondi statali o anche da privati?
Il museo fa parte della QMA, l’organizzazione che connette tutti i musei del Qatar. Noi beneficiamo direttamente da questo ente di tutto il supporto necessario e di strumenti professionali come tecnologie, know how e management. Per il momento non posso rivelare nulla a proposito del budget, ma le nostre attività sono bilanciate in modo da offrire i migliori servizi all’audience, attraverso l’utilizzo delle nostre collezioni, le mostre temporanee e le attività educative. Questo dipartimento, ad esempio, ha la reputazione migliore di tutta la regione. La lunga visione degli investimenti promossi dal QMA nel settore dell’arte è molto importante per determinare il grado di creatività che la programmazione del Mathaf può raggiungere.
Il Mathaf possiede un comitato scientifico oppure, in qualità di direttore artistico, hai pieni poteri in merito ad argomenti e artisti da approfondire?
Il Mathaf è nato per rispondere alla necessità di dare una spinta culturale alla passione e alla visione di persone che ritengono l’arte e l’educazione fondamentali per il Paese, una nazione posta di fronte al mondo, in dialogo con diverse civiltà. La collezione del Mathaf è stata assemblata in oltre venticinque anni da parte dello Sheikh Hassan e sta continuando a crescere ancora oggi grazie alle acquisizioni della QMA, specialmente grazie a nuovi lavori commissionati e prodotti a Doha, progetti di artisti emergenti locali e nomi maggiormente internazionali. Fanno parte del museo dipartimenti di rilievo che lavorano in sinergia, intrecciando la ricerca, la curatela, le mostre e infine l’educazione. Noi promuoviamo contatti costanti con ricercatori e professionisti per poter mantenere discussioni attive che coinvolgano anche con il nostro team interno. I programmi del Mathaf sono stati definiti per la città di Doha così come per il contesto regionale e per quello internazionale. Tra i miei progetti, come direttore del Mathaf c’è quello di costruire, all’interno del programma del Mathaf, relazioni stabili fra l’attività di ricerca e l’esperienza del museo, unendo i mondi accademici a quelli espositivi.
Esistono a Doha tematiche, argomenti o concetti particolarmente delicati?
Ai giorni nostri, in tutto il mondo, stiamo vivendo un periodo caratterizzato da un particolare libero accesso all’informazione e alle diverse forme espressive. La nozione di locale si è modificata ovunque, modulandosi nei diversi lavori che assolutizzano il comportamento umano. Così, ad esempio, qualcuno confinato in un piccolo Paese dell’Asia può sentirsi responsabile per un evento accaduto in America Latina o in Arabia. Il mondo è interconnesso e ultra-connesso. Premesso questo, il Mathaf non innalza barriere, al contrario cerchiamo di costruire ponti tra diversi campi e geografie. Noi ascoltiamo artisti che considerano il pianeta Terra un palcoscenico e creano i loro progetti per far sì che la gente rifletta sul mondo.
Quali sono i tuoi progetti per implementare una sorta di consapevolezza verso l’arte contemporanea da parte dei diversi pubblici di Mathaf? Che tipologia di pubblico ha il Mathaf?
Il Mathaf si trova all’interno di un edificio che un tempo era adibito a scuola: credo che questo sia un ottimo simbolo per rappresentare il nostro obiettivo, quello di diventare guide, educatori culturali. Una grande fetta della nostra audience è determinata dai giovani in età scolare. Ma molte famiglie, spontaneamente, passano parecchio tempo nei nostri spazi.
Secondo la tua opinione, com’è cambiata Doha negli ultimi otto anni? Cosa significa l’arte per il tessuto urbano di Doha? E in che modo l’arte ha aperto le visioni degli abitanti di Doha?
La città di Doha è situata al centro del mondo di oggi. Ogni osservatore sta guardando a Doha sotto i punti di vista politico e artistico. Il tessuto urbano che tu menzioni è ancora in itinere verso una sorta di città del futuro e attualmente sta producendo strumenti, materiali e contenuti che costruiscono la fondamenta del paesaggio culturale di domani. In Qatar si stanno costruendo università e musei prestando allo stesso tempo e attenzione a sviluppare programmi di qualità. Doha è un laboratorio che ha fissato obiettivi dalla produttività e dalla fattività immediata. Essere un operatore culturale a Doha significa essere connessi a mondi di culture diverse pur rimanendo immersi nella vita quotidiana. Il dialogo tra le differenze oggi può essere effettuato attraverso la vicinanza tanto quanto i contrasti. Il Mathaf è situato nella Education City, che in Qatar è un’area fondativa. Questo quartiere diventerà una parte centrale della città in pochi anni.
In che modo il Mathaf supporta il Curate Award?
Appoggiamo e sosteniamo il Curate Award tanto al Mathaf quanto nei campus di Doha. Incoraggiamo il nostro giovane pubblico a utilizzare l’arte come uno strumento per riflettere sulla vita. Il museo organizza anche una competizione annuale per studenti e offriamo spazi espositivi per esporre lavori di artisti emergenti, di artisti non-professionisti che entrambi possono partecipare a workshop e attività. Il Curate Award è un’iniziativa che spinge le giovani generazioni aiutandole a creare. Le pratiche curatoriali sperimentali sottolineano la presenza di pensieri in nuce, pronti a mettere in discussione qualsiasi concetto ci circondi.
Qualche anticipazioni sui programmi futuri del Mathaf?
Mathaf sta per produrre e patrocinare un programma molto ambizioso composto da mostre, laboratori e pubblicazioni. Fino a maggio abbiamo una personale di Mona Hatoum, stiamo lavorando sulla collezione permanente e abbiamo appena aperto un project space con Magdi Mostafa. Ogni progetto è accompagnato da pubblicazioni e workshop, rendendo il nostro museo un’ottima risorsa in connessione sia con l’arte locale che con la scena globale. Quest’anno Doha ospiterà l’annuale conferenza del CIMAM, e questa è una sorta di ricognizione di riguardo del nostro lavoro e un grande incoraggiamento.
Potresti esprimere un augurio in merito al futuro di Doha nell’arte?
Il museo e l’organizzazione della QMA avranno pieno successo quando i nostri musei verranno ritenuti una elemento portante nella vita di tutti i giorni da parte degli abitanti del Qatar. Mi auguro che il mio contributo alla scena dell’arte a Doha sia utile anche per le prossime generazioni.
Ginevra Bria
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17
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