Portogallo contemporaneo. Reportage dall’estremo ovest d’Europa
In modo poco gratificante, apre la serie di Paesi che l’Europa ha riunito sotto l’acronimo “P.I.I.G.S.”, ma sarebbe riduttivo ricordarsi del Portogallo solo come una delle nazioni al fanalino di coda del Vecchio Continente. Con un presente che ancora deve fare i conti con il proprio passato, e con tutta l’intensità e il “magismo” da zona di frontiera che ancora conserva, il Portogallo sa essere anche contemporaneo. A suo modo.
In una terra che amplifica la sensazione di vivere in un romanzo in cui epoche e culture diverse – rimpastate da secoli di storia coloniale – si sovrappongono in modo sorprendente a ogni nuovo giro di bairro, nelle fastose e fatiscenti architetture in stile manuelino e nelle espressioni tra il malinconico e il grottesco delle persone che si incontrano per strada, parlare di contemporaneo sembrerebbe quasi improbabile, un aggettivo che poco si addice a questa nazione. Eppure il Portogallo riserva piacevoli sorprese, anche sotto questo punto di vista. Lo fa conservando una matrice fortemente autoctona, connaturata in un substrato popolare che, nei secoli, ha maturato un’identità unica nella sua eterogeneità. Forse è solo attraverso un’espressione fortemente radicata nella cultura lusitana come la saudade (un sentimento misto di malinconia per il passato, arricchito dal forte desiderio di qualcosa) che si può leggere e comprendere appieno la realtà artistica del Portogallo d’oggi.
Alle prese con una fragilissima situazione economica, il Portogallo balza alle cronache europee soprattutto per le vicende poco felici legate a quest’aspetto. D’altronde, il peso del tracollo finanziario ottunde altri tipi di iniziative, ma sarebbe sbagliato pensare che dall’interno non esista un fermento artistico che strenuamente cerca di reagire alla situazione di semi-oblio culturale in cui il Paese versa. Il disagio esiste ed è sotto gli occhi di tutti, ma è presente anche una forte volontà di costruire un’alternativa, soprattutto da parte delle giovani generazioni, maldisposte ad accettare l’asfissiante clima di austerity. A minacciare il fiorire delle iniziative culturali è una politica incessantemente sintonizzata sul mood “correre ai ripari – costi quel che costi”: eloquente, in questo senso, è il recente episodio della scongiurata vendita all’asta degli 85 Miró di proprietà statale per rimpinguare le casse pubbliche. Se da una parte il Paese sembra non riuscire a rialzarsi da una condizione economica più che precaria, dall’altra tante piccole e grandi realtà lavorano, giorno dopo giorno, per costruire un futuro migliore. E non solo a parole. In questo contesto l’arte, una volta in più, gioca un ruolo fondamentale, anche laddove meno ce lo si aspetta.
Le due città principali, Lisbona e Porto, si dividono la scena artistica contemporanea: con i loro gioielli di punta – la Fondazione Calouste Gulbenkian, la Collezione Berardo e la Kunsthalle Lissabon a Lisbona, e la bellissima Fondazione Serralves a Porto – attirano gran parte delle attenzioni internazionali, con programmazioni di tutto rispetto. Frutto nella maggioranza dei casi della lungimiranza di signori collezionisti che hanno regalato al Paese interi pezzi di storia dell’arte, sono luoghi istituzionali degni di essere inseriti nei circuiti dell’arte europea e non solo. Non mancano le gallerie d’arte prestigiose, alcune delle quali – come Cristina Guerra Contemporary Art, Galeria Pedro Cera e Galeria Filomena Soares – hanno ormai una solida visibilità internazionale, grazie anche alle presenze nelle maggiori fiere d’arte del circuito.
Ma al di là delle realtà più consolidate (che, per così dire, vanno da sé), il fenomeno più interessante è il proliferare di iniziative alternative, spesso di matrice indipendente, che mettono radici sul territorio ed è proprio da qui che partono per aprirsi al mondo. La tradizione diventa trampolino di lancio verso il futuro, un’occasione per rivedere il proprio passato in un’ottica moderna e il più possibile contaminata. La nostalgia dei secoli d’oro in cui il Portogallo deteneva il primato in molti ambiti – non da ultimo quello artigianale – è gradualmente tramutata dalle nuove generazioni in una risorsa da reinterpretare. Così, la lavorazione del sughero viene sfruttata nei distretti di design della capitale per creare oggetti e accessori particolari, oppure per realizzare insoliti capi di abbigliamento. Lo slogan di Real Cork, giovane associazione portoghese, annuncia orgoglioso che scegliendo il sughero si sceglie anche “cultura, natura e futuro”. La magnifica arte degli azulejos o quella della tessitura vengono riproposte in molte ricerche artistiche, lontane dall’idea turistica di “souvenir” e molto più vicine a quella della riattualizzazione del proprio passato (si pensi a tutto il lavoro attorno a cui ruota la ricerca di Joana Vasconcelos, di cui il ferry boat presentato alla scorsa Biennale di Venezia è un lampante esempio).
Nella musica lo struggente fado, genere endemico del Portogallo, viene ripreso dai giovani autori, consapevoli che si tratta di un patrimonio da preservare, la cui peculiarità altrimenti andrebbe perduta. Non mancano le rivisitazioni più cool: i docks della zona post-industriale di Alcantara a Lisbona sono stati ristrutturati in locali e ristoranti dallo stile ricercato, proprio laddove le acque del Tago hanno accompagnato per secoli le imbarcazioni commerciali o quelle degli avventurosi marinai esploratori. Parte del quartiere a ridosso del grande ponte sul fiume è diventato invece un’officina creativa, LX Factory, luogo di tendenza (anche fin troppo cute) in cui spazi d’arte si confondono con interventi di writing, ristoranti fusion, sofisticati atelier di design e spazi di confronto culturale.
Sempre a Lisbona, una passeggiata nelle vie del Santos Design District o su per le ripide viuzze adagiate sulla colline di Principe Real può aprire a un interessante panorama sull’arte contemporanea. Qui, tra una galleria e l’altra, sui muri, oltre alle spontanee testimonianze di writing, si possono leggere frasi come “It’s not Basel, but it could be” (ogni riferimento alla città svizzera che ospita la fiera d’arte più importante al mondo è puramente casuale) oppure, nelle zone più periferiche, espressioni di protesta maggiormente incisive e dirette allo Stato: “Combate o regime di austeridade”. In queste aree, nel cuore della bianca e malinconica magnificenza dell’architettura lisbonetana, palpitano i nuovi fermenti artistici. È facile incontrare giovani che ben volentieri parlano dell’arte e della motivazione – vera e seria – che impiegano per poter costruire realtà di respiro europeo. Sono giovani che spesso studiano all’estero (Berlino e Londra le mete più gettonate) e poi ritornano in patria per “applicare” ciò che hanno visto e imparato, cercando di declinarlo nella loro precipua condizione, che però, immancabilmente, si rivela sotto molti aspetti sfavorevole. Lo Stato, infatti, non investe sull’arte (tantomeno quella contemporanea) e spesso, al posto di fare da traino motivazionale, tende a disincentivare qualsiasi ardire culturale, focalizzandosi esclusivamente su un leitmotiv: la crisi. Su questo argomento l’insofferenza dei giovani operatori dell’arte si fa sentire parecchio e all’unanimità. Nella propria terra d’origine vorrebbero poter parlare di un futuro da realizzare, non da arginare o da estenuare con discorsi esclusivamente concentrati sulle debolezze del Paese.
Allargando la visuale oltre la capitale, inaspettate sorprese colgono il visitatore in cerca di arte.
Nell’Alentejo, una delle regioni più povere di tutto il Portogallo, nell’antichissima città di Evora è sorto di recente un museo dedicato ai linguaggi artistici contemporanei, a pochi passi dai resti ben conservati di un tempio romano: la Fondazione Eugénio de Almeida ha inaugurato lo scorso luglio con una mostra che presentava 60 artisti di altrettanti Paesi, un inno espositivo alla diversità e alla pluralità allestito in un edificio storico che fu teatro di efferate condanne da parte dell’Inquisizione. Più a ovest, a Elvas, quasi al confine con la Spagna, ci si imbatte nel Museo di Arte Contemporanea della città, situato, anche qui, in un palazzo storico decorato finemente di azulejos, in un misto poetico fra tradizione, trionfo barocco e appeal minimal-contemporaneo. Nessuno mai penserebbe di poter trovare un luogo del genere in una cittadina che offre poco altro. Eppure, per volontà del collezionista lisbonetano António Cachola, proprio qui si svolgono periodicamente le mostre dei più promettenti artisti portoghesi (naturalmente collezionati dallo stesso Cachola).
Anche se non si tratta di contemporaneo nel senso più stretto del termine, vale la pena menzionare due realtà artistiche veramente fuori dall’ordinario: la prima è la Quinta da Regaleira di Sintra, pochi chilometri a nord di Lisbona, una costruzione di inizio Novecento in stile gotico-manuelino in cui a un edificio spettrale e immaginifico si alterna un giardino ricco di grotte, pozzi, passaggi segreti, labirinti… L’arte qui si incontra con la natura e la simbologia in un prodigioso mix di bellezza e occulto. La seconda è il Museu de Arte Nova di Aveiro, sulla strada verso Porto. Il dedalo di canali su cui si sviluppa la cittadina (soprannominata la “Venezia del Portogallo”) diventa teatro di un vero e proprio museo all’aperto dedicato alle tante e belle testimonianze in stile liberty sparse sul territorio. Cartina alla mano, partendo dalla coloratissima casa d’epoca appartenuta a Silva Rocha ed Ernesto Korrodi (oggi diventata la sede istituzionale del museo), si può intraprendere un’immersione a cielo aperto per le vie della città in quello che è probabilmente il più bello stile liberty di tutto il Portogallo.
Sembrerebbe banale e inverosimile affermarlo, ma se uno volesse lasciarsi sorprendere, il Portogallo è la terra giusta, non da ultimo perché difficilmente viene raccontata in questi termini. La saudade, come si diceva all’inizio, può essere una chiave di lettura di un percorso artistico che si sta facendo sempre più ampio e articolato, verso l’emancipazione di un’espressione che sa guardare al futuro nutrendosi del passato e del proprio magismo.
Serena Vanzaghi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #18
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