Ripensare il ruolo del museo. L’analisi di Michele Dantini
Il 2012 è stato un anno infausto per la gran parte dei musei di arte contemporanea italiani, e il 2013, con le polemiche destatesi attorno al Maxxi e al Castello di Rivoli o le difficoltà del Macro, è corso via tra mille accidenti. La “crisi” non è solo locale: rimanda a una flessione globale di autorevolezza e prestigio del contemporaneo. L’editoriale di Michele Dantini.
Evitiamo lagnanze corporative. Proviamo invece a suggerire spunti di riforma. Quali politiche culturali per i musei di arte contemporanea? Le politiche di austerità incidono. Il modello Krens-Guggenheim di museo corporate è fallito assieme alle entusiastiche narrazioni neoliberiste sulla globalizzazione. Può sembrare discutibile destinare ingenti somme di denaro pubblico a musei che sembrano aver smarrito un ruolo civile per diventare concessionarie di gallerie e architetture da noleggio.
Se provassimo a definire in modo allargato ciò che è riconosciuto come “arte contemporanea”? Proviamo a situarci nel punto di intersezione tra pratiche estetiche e politiche della cittadinanza, addirittura sul piano delle iniziative per la legalità, il lavoro qualificato, la difesa dell’ambiente, l’impresa sociale, la produzione distribuita. Sul piano della conoscenza, della trasmissione dei saperi. La produzione di oggetti voluminosi, luccicanti e dispendiosi non è criterio vincolante. Intrecciare competenze umanistiche e competenze scientifico-tecnologiche è una priorità nazionale.
Il ruolo pubblico del museo di arte contemporanea può rilanciarsi a partire da dipartimenti educativi e di ricerca a elevata specializzazione che occorre costituire ex novo, Talent Gardens e officine open-access orientate tanto agli ambiti artistici specifici (“Fine Arts”) quanto, secondo modelli politecnici, alle culture digitali, gli studi strategici, le politiche della città e del territorio, l’economia dell’innovazione. Immagino un’agenda politico-culturale mirata a produrre pensiero critico, inclusione e opportunità di impiego a elevata specializzazione. Occorre attrarre, orientare, connettere e professionalizzare le culture wiki che emergono dal territorio. Un’istituzione culturale dedicata al contemporaneo giustifica costi sostenuti dalla collettività se colma lacune didattiche delle istituzioni di alta formazione (università e accademie) e contribuisce a produrre mobilità sociale.
Il punto ha formidabile rilievo: occorre introdurre maggiore concorrenza in un’economia (quella italiana) che va sì terziarizzandosi, ma in senso regressivo. Cioè attraverso la creazione di nicchie protette, rendite di posizione e oligopoli locali proprio nel settore (tanto decantato ma sprovvisto di un qualsiasi progetto istituzionale) dell’“industria creativa”.
Michele Dantini
editorialista e saggista
docente di storia dell’arte contemporanea – università del piemonte orientale
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17
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