Supercarrara: l’arte di distruggere le Alpi Apuane, parte I
C’è un luogo a Carrara che costituisce una tappa fondamentale per capire cosa hanno significato per secoli, anzi per millenni, l’escavazione e la lavorazione del marmo apuano. E ricoverato in quel luogo, c’è un frammento di montagna che quella storia la condensa in un’immagine. Per la rubrica Inpratica, l’intervento di Fabrizio Federici.
Il bel cortile rinascimentale del Palazzo del Principe, oggi sede dell’illustre Accademia di Belle Arti, raduna sotto i suoi archi manufatti marmorei disparati: sculture classiche provenienti da Luni, immagini sacre medievali, statue e iscrizioni dei secoli successivi; e soprattutto l’edicola romana dei Fantiscritti, simbolo della continuità dell’attività estrattiva e dell’uso artistico del marmo di Carrara attraverso i secoli e le civiltà. Il rilievo raffigura Bacco, Ercole e Giove, e il suo nome (e quello dell’intero bacino di estrazione in cui si trovava, prima di essere tagliato dal monte, nel 1863, e trasferito in Accademia) deriva dal fatto che vi si vedono tre giovani (“fanti” nei dialetti apuani) e che questi ragazzi sono “scritti”: non solo perché scolpiti, ma soprattutto perché, a partire almeno dal Rinascimento, l’edicola e le sue adiacenze sono state ricoperte dalle firme di coloro che riuscivano ad arrivare fin lassù, dopo un’impervia ascesa. Erano soprattutto scultori che andavano a scegliere i marmi migliori per le loro creazioni: si distinguono bene le firme di Giambologna (“GIO. BOLO. 1595”) e di Antonio Canova, datata 1800. E in una sigla apposta accanto a una delle figure si può forse riconoscere il segno del passaggio di Michelangelo, che da queste parti era di casa.
Continuità dell’attività estrattiva, dunque (se si eccettuano però i secoli più travagliati del Medioevo), e confronto con l’Antico: quel confronto che tanto peso ebbe per l’arte e soprattutto per la scultura in Età Moderna, e che non prendeva avvio tra le rovine di Roma (per continuare poi nelle collezioni e, più tardi, nei musei), ma cominciava ancora prima, alla sorgente stessa dell’arte statuaria. Si cavava il marmo sotto lo sguardo di quei “fanti” divini, e tutto intorno si incontravano vestigia dello sfruttamento delle cave nell’antichità, a cominciare da grandiosi capitelli e basi di colonne sbozzati e abbandonati sulle montagne (di cui ci sono giunti diversi esempi, oggi conservati al Museo del Marmo). Per Michelangelo questo confronto con l’Antico in cava ebbe un’importanza fondamentale, e lo spinse a pensare in grande, in termini sia di misure che di ambizioni. Concepì addirittura, secondo il suo biografo Ascanio Condivi, un progetto inaudito, poi rimasto irrealizzato: “[…] un giorno quei luoghi veggendo, d’un monte, che sopra la marina riguardava, gli venne voglia di fare un colosso, che da lungi apparisse a’ naviganti, invitato massimamente dalla comodità del masso, donde cavare acconciamente si poteva, et dalla emulatione degli antichi, i quali forse per il medesimo effetto che Michelagnolo, capitati in quel loco, o per fuggir l’otio, o per qual si voglia altro fine, v’hanno lasciate alcune memorie imperfette, et abbozzate, che danno assai bon saggio de l’artifitio loro”.
Continuità: dall’evo antico al Rinascimento, al giorno d’oggi. “Ma che bello!”, si potrebbe pensare. E invece no. C’è continuità nella frequentazione dei siti, ma per il resto è cambiato tutto. Se davvero, come poetava Buonarroti, le figure portate alla luce dallo scultore fossero già racchiuse entro il blocco di marmo, si assisterebbe a una quotidiana mattanza di Madonne e Bambini, di Veneri, di atleti, ridotti in scaglie e in polvere. In massima parte il marmo estratto (e se ne estrae tantissimo: più negli ultimi vent’anni che nei precedenti duemila) è polverizzato e utilizzato, in virtù del carbonato di calcio che lo compone, in numerose produzioni industriali: dai coloranti e le vernici allo sbiancamento della carta, dagli adesivi per l’edilizia (come Supercarrara, “a base di puro marmo bianco [di] Carrara”, prodotto dalla Kerakoll) alla fabbricazione di filtri per acquedotti. Senza dimenticare l’uso più tristemente celebre: quello per la produzione di dentifricio.
All’impiego in architettura è destinata una percentuale ridotta di marmo (e, vedendo molti dei risultati di tale utilizzo, sarebbe meglio che fosse ancora meno); una percentuale minima finisce sotto gli scalpelli degli scultori. Dalla più nobile delle pietre, quindi, il marmo è diventato il più bistrattato degli inerti. Il mito di Carrara è stato sbriciolato.
A questo si aggiunga il fortissimo impatto ambientale dell’escavazione (inquinamento di acque e fiumi, polveri e malattie polmonari) e l’incapacità di immaginare un futuro alternativo, o meglio un futuro tout court; e si condisca il tutto con abbondante ricatto occupazionale. Si otterrà un’altra vicenda emblematica di come l’Italia di oggi stia negando la sua storia e stia condannando alla rovina, in nome del profitto, il suo territorio e i cittadini che lo abitano. Profitto di pochi, peraltro: lo chiameranno anche “oro bianco”, eppure la provincia di Massa-Carrara risulta essere, sulla base degli indicatori economici, un brandello di Meridione trapiantato nel Nord Italia.
Fabrizio Federici
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