Tutta colpa dei dirigenti? Le storture di un decreto
Le politiche pubbliche sono alla base di qualsiasi società civile. Ancor di più nel settore culturale, dove la maggior parte dei beni sono pubblici e i prestatori d'opera dipendenti pubblici o imprese la cui sopravvivenza economica dipende dalla finanza pubblica. Detto così, sembrerebbe un settore economico distorto. E infatti lo è.
Dopo Valore cultura (L.112/2013), che nella sua ottima azione innovatrice introduceva l’esigenza di istituire una direzione generale per Pompei che possa procedere in deroga a ogni norma (ma perché? Non si possono fare leggi appropriate invece di lamentarsene e trovare il modo di aggirarle?), adesso il Ministro – ancora prodigo di istinto riformatore, e pressato dalla spending review – ha avviato un ripensamento del ministero. Colpisce il punto di partenza e sconvolge il punto di arrivo. Lo Stato chiede di ridurre i dirigenti. Ma perché? Secondo quale principio i dirigenti sono il male, e quindi la loro numerosità, e non i processi o ancor più la loro qualità?
Il senso riformatore è: “Riduciamo il numero dei patogeni, così il malato si riprende con minor sforzo fisico”. Qual è la proposta? Esternata per lo più da una eterogenea e nutrita compagine di persone dalle estrazioni più diverse, consiste fra l’altro nel creare una direzione per i sistemi informativi e di accorpare le attuali direzioni per temi: patrimonio, spettacolo, istituzioni, archivi e biblioteche. Perché queste ultime non stanno con i musei (dentro “istituzioni”)? Non sono anch’esse contenitori di memoria? Inoltre “patrimonio” pare significhi “tutela e valorizzazione”. Il resto si autovalorizza? Secondo me sì, ma, se lo specificano, forse si ritiene che non ne necessitino. Soprattutto colpisce, nel 2013, la creazione di una direzione dedicata alla tecnologia digitale.
Ciò sottintende un pensiero vecchio. Cosa oggi non è digitale? È uno strumento e un ambiente, niente e nessuno ne è scevro ormai. Perché si può ritenere di relegare i servizi informativi (come li chiama la commissione) in una funzione trasversale che aiuta tutti? Finirà come per la direzione valorizzazione, risultata vana e vacua. La verità è che di tagli lineari (come la spending review) ne abbiamo avuto abbastanza. Ha fatto sicuramente del bene levare un po’ di pane dalla bocca a chi continuava a ingrassare e a sprecare.
È ora però di iniziare a capire di che si parla. Non servono meno dirigenti in assoluto. Servono persone che capiscano ciò di cui si occupano, che abbiano visione, che sappiano essere leader, in grado di maneggiare con onestà i soldi pubblici (ovvero di tutti).
Fabio Severino
project manager dell’osservatorio sulla cultura – università la sapienza e swg
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17
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