Arte e dittatura in Spagna. Tra memoria storica imposta e fantasmi nel frigorifero
Dalla Fondazione Francisco Franco, che denuncia l’artista Eugenio Merino per “danni all’onore del generale”, passando per le centinaia di simboli franchisti in giro per le città. E così fino alla topografia stradale ancora tutta da rivedere. Dalla nostra corrispondente Enrichetta Cardinale Ciccotti.
In una Spagna ancora in piena crisi economica, e quindi sempre più preoccupata dalle stesse realtà che interessarono la veloce transizione verso la democrazia dopo il franchismo, nessuna legge o fondazione è ancora abbastanza forte da proteggere la memoria di quanti hanno pagato a suon di censure, sangue, esili e quant’altro il prezzo della libertà d’espressione nell’arte e non solo. Dalla memoria di García Lorca fino all’esilio autoimposto di Picasso e l’allontanamento di Guernica.
Come dimenticare Miró otro, il titolo della storica mostra organizzata dal Collegio degli Architetti di Barcellona mentre il regime franchista cercava di “riabilitare” l’artista con mostre ufficiali dopo decenni di netta esclusione e marginalizzazione? Memorabile l’azione d’inaugurare la mostra con un happening per la costruzione di un murale di 70 metri, proprio sotto il fregio di Picasso che orna la facciata del Collegio. Un murale che veniva poi cancellato dallo stesso Miró al termine della mostra in segno d’imposta damnatio memoriae al “Mirò altro”. Anche l’intensa poetica informale sviluppata negli anni del regime dalla cerchia di Antoni Tàpies contribuì a convertire in materia elementi come il silenzio, la morte, la tortura e la libertà d’espressione. Un punto centrale in questo discorso durante gli anni Settanta in Europa resta la serie di famose litografie Assassins, con le quale di Tàpies liberava l’arte dal silenzio mediatico intorno a una delle più misteriose condanne del franchismo disperato, l’uccisione del giovanissimo Salvator Puig Antic.
Rispetto al magma di episodi che hanno visto incrociarsi arte e politica in Spagna per dar vita a memorabili lezioni di verità, fa strano vedere come nell’attualità si riaprano costantemente vecchie ferite e incongruenze storiche. Il caso delle opere iperrealiste di Eugenio Merino, che da un’ottica internazionale sembrano essere ironiche provocazioni da quattro soldi, tutt’altro che sovversive, mostrano in realtà quanto la Spagna sia ancora lontana da comprendere le conseguenze sociali di quarant’anni di regime totalitarista. L’artista madrileno è stato protagonista della nota vicenda giudiziaria iniziata durante la fiera Arco nel 2012. Tutt’altro che martire di un regime, Merino è piuttosto una vittima della burocrazia spagnola che, nonostante la Legge della Memoria Storica del 2007, stenta ancora a riconoscere in toto la condanna ai crimini del franchismo. In siffatta democrazia esiste, infatti, una Fundación Nacional Francisco Franco, un’istituzione privata che si dedica a diffondere la conoscenza della dimensione personale, politica e militare del dittatore. Una fondazione che ha visto negarsi qualunque tipo di finanziamento statale solo durante il governo socialista Zapatero e con l’approvazione della Legge della Memoria Storica.
Per ben due volte il tribunale di Madrid ha dovuto così respingere le denunce di “danni all’onore del generale” rivolte dalla Fondazione Franco a Eugenio Merino: la prima volta nel luglio del 2013 per la scultura Always Franco, dove il generale è stato rappresentato chiuso in un frigorifero della Coca-Cola, e la seconda volta nel marzo 2014 per Punching Franco, dove la testa del dittatore si è trasformata in un sacco da boxe.
No, non è come se in Germania o in Italia una persona giuridica citasse per danni all’onore di Hitler o Mussolini, perché la democrazia spagnola non ha mai riconosciuto – e quindi punito – i crimini contro l’umanità perpetuati dal governo franchista. Da non dimenticare il recente caso giudice Baltasar Garzón, accusato di prevaricazione nell’investigazione di crimini contro il franchismo e violazione del pacto del olvido, l’amnistia franchista proclamata dalla democrazia nel 1976 dopo la morte di Franco.
Che Merino l’abbia fatto per attirare facile attenzione o meno, resta di certo che l’episodio ha raggiunto una certa popolarità mediatica internazionale, ma non del tutto in Spagna, dove l’episodio si è andato sbiadendo in un retroterra culturale confuso; dalla politica piena di residui del franchismo, passando per l’esemplare Fondazione Franco, fino alle città dove ancora sopravvivono centinaia di simboli del franchismo e una ricca toponomastica stradale di stampo franchista.
La democrazia spagnola, così come l’entrata in vigore della Legge de la Memoria, sono processi per nulla scontati, e relativamente giovani, che cercano lentamente di equilibrarsi con l’arma vincente della democrazia spagnola, il pacto del olvido. La decisione di voltar pagina un anno dopo la morte di Franco, che ha permesso la rapida transizione verso la democrazia, continua a dimostrare quanto fragile sia l’idea di una memoria storica imposta piuttosto che una conquistata memoria collettiva.
Enrica Cardinale Ciccotti
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