Celant Gate. Un caso mediatico su Expo 2015
Corriere della Sera, Il Giornale, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano. E con loro una miriade di blog. La stampa italiana si scatena sul caso del maxi-compenso accordato da Expo a Germano Celant, raccogliendo l’assist di Artribune che ha sollevato il caso poi affrontato da Demetrio Paparoni. Ecco come evolve la situazione.
Per una volta, a quanto pare, non prevale il benaltrismo. L’odiosa tendenza a fare spallucce, a bypassare quelli che sono considerati fatti per quanto antipatici non poi così gravi; come se la rilevanza di una notizia fosse proporzionale all’interesse che per essa hanno le procure, come se – in fondo – l’ombra del lecito e della legalità bastasse a coprire il fastidio dell’inopportuno. Si addensano nubi pessime sul futuro di Expo 2015, nubi che scaricano pioggia d’inchiostro sui giornali: l’affaire delle mazzette che ha visto tornare sulla scena personaggi dimenticati come Primo Greganti è forse la botta definitiva sulla credibilità di un evento che – gli allarmi di Nando Dalla Chiesa in merito alle possibili infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti non sono cosa dell’ultim’ora – rischia di trasformarsi in una nuova Italia ’90.
In questo scenario stupisce in positivo, allora, l’eco che il caso del maxi ingaggio accordato a Germano Celant – 750mila euro per occuparsi degli eventi culturali e artistici di orbita Expo – sta riscuotendo sulla stampa extra-settore. Una eco che si è propagata dalle colonne digitali di Artribune, prima in forma di news poi con la pubblicazione della lettera aperta con cui Demetrio Paparoni chiede conto a chi di dovere di una scelta che risulta limpidamente inopportuna. Per quanto innegabilmente lecita, difficilmente giustificabile.
Il bubbone, insomma, è scoppiato. E la polemica infiamma oggi sulle pagine milanesi del Corriere della Sera, che già nella giornata di domenica 25 maggio aveva trattato l’argomento; in via Solferino arrivano le rimostranze da parte della politica, con l’ex vice-sindaco di Milano (oggi consigliere regionale) Riccardo De Corato che ritiene di doversi rivolgere “alla Corte dei conti per verificare se c’è stato danno erariale”. E con il presidente del consiglio Comunale di Palazzo Marino, Basilio Rizzo, che commenta: “abbiamo una commissione antimafia e si faranno domande sul tema, ogni cifra deve essere giustificata, non è che con Expo si torna alla Milano da bere per cui qualsiasi spesa va bene”.
Ma è nel corso del fine settimana appena andato in archivio che il caso si prende la ribalta delle cronache nazionali. A seguire per primo l’imbeccata di Artribune è Il Giornale, con Maurizio Caverzan che chiosa la sua ripresa su domenica ironizzando sulla fresca creazione dell’Art Bonus: “il ministro Franceschini ha annunciato che telefonerà personalmente agli imprenditori per convincerli a trasformarsi in mecenati per i beni culturali italiani. Meglio che cominci da quelli che non conoscono il caso Expo-Celant…”; arriva a ruota Il Fatto Quotidiano, che mostra l’assurdo paradosso di una Pinacoteca di Brera e un Cenacolo chiusi venerdì 23 maggio per uno sciopero contro i tagli al settore dei Beni Culturali. Quanti custodi si potrebbero pagare con il cachet di Celant?
Il fronte si spacca sulle pagine lombarde de La Repubblica. Lesta nel raccogliere gli sfoghi di Vittorio Sgarbi (che di Celant dice: “la sua cupidigia è pari ai suoi non meriti e al suo ruolo nelle lobby dell’arte”) e Philippe Daverio, entrambi durissimi; ma anche rigorosa in una par condicio che riesce a trovare nelle posizioni del presidente della Triennale Claudio De Albertis e della soprintendente di Brera Sandrina Bandera se non manifeste assoluzioni quanto meno un garbato no comment sul tema compensi.
Francesco Sala
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