Direttore artistico dell’American Academy di Roma. Intervista con Peter Benson Miller
Arriva dal Musée d’Orsay di Parigi ed è specializzato in pittura francese dell’Ottocento. Ma a Roma sta facendo un lavoro che più contemporaneo non si può. Abbiamo incontrato il direttore artistico dell’American Academy, Peter Benson Miller. Per farci raccontare la sua storia, quella dell’istituzione e i programmi futuri.
La tua carriera. Cos’hai fatto prima di diventare direttore artistico dell’American Academy in Rome? Dove e come ti sei formato?
Ho studiato Storia dell’Arte al Williams College (Master) e all’Institute of Fine Arts della New York University (Ph.D.), ho lavorato in seguito per otto anni al Musée d’Orsay di Parigi. Oltre a coordinare conferenze e simposi, ho lavorato a stretto contatto con artisti contemporanei (Jeff Wall, Brice Marden, Pierre et Gilles) che sono stati poi invitati a esporre un’opera in dialogo con gli artisti e i lavori presenti nella collezione permanente.
E in quanto storico dell’arte?
La mia formazione di storico dell’arte si è focalizzata sulla pittura francese del Ottocento. Nel 2003 ho curato una mostra all’Insitut du Monde Arabe di Parigi, intitolata De Delacroix à Renoir: L’Algérie des peintres, ho contribuito alla stesura di cataloghi su retrospettive dedicate a Ingres (Louvre, 2007) e Chassériau (Grand Palais, Strasburgo, New York, 2002). Nel 2007 ho organizzato insieme a Deepak Ananth una mostra sull’arte Indiana contemporanea al Parco della Musica di Roma, Prospects, che ha introdotto in città talenti emergenti come N.S. Harsha, Subodh Gupta and Tejal Shah. Questo diversi anni prima che il Maxxi ospitasse la mostra Indian Highway.
Allora però non vivevi ancora a Roma…
Ho deciso di lasciare Parigi per trasferirmi a Roma dopo quest’esperienza. Ho organizzato la mostra Philip Guston, Roma, che ha inaugurato al Museo Carlo Bilotti nel maggio del 2010. Il catalogo è stato pubblicato da Hatje Cantz. In mostra una serie di dipinti di Guston realizzati durante il suo soggiorno presso l’American Academy nel 1971; la mostra poi è stata ospitata dalla Phillips Collection a Washington, D.C. Negli ultimi tre anni ho co-curato mostre di lavori di Milton Gendel e Afro al Museo Bilotti e di Sean Scully alla Gnam. La scorsa estate ho organizzato una collettiva, I Naturalisti, a Castelluccio-La Foce in Toscana in concomitanza con le celebrazioni del 25esimo anniversario del rinomato festival musicale Incontri in Terra di Siena. La mostra raccoglieva, tra gli altri, lavori di Salvatore Arancio, Gianluca Malgeri, Elisabetta Benassi, Antonio Biasiucci, Tomaso De Luca, Pietro Ruffo e Alessandro Piangiamore. Sto attualmente lavorando ad un libro che raccoglie saggi di giovani studiosi e critici su Philip Guston, con contributi di Robert Storr, Achille Bonita Oliva, Robert Slifkin, Bill Berkson, Christoph Schreier e Dore Ashton.
Com’è nato l’incarico all’American Academy?
Ho lavorato a stretto contatto con l’American Academy in Rome e con il mio predecessore, direttore della Scuola delle Arti, sia alla mostra di Guston che a quella di Milton Gendel. Alcuni anni fa sono stato invitato dall’Accademia a ricoprire il ruolo di consulente per gli artisti visivi in residenza, facilitando la realizzazione dei loro progetti e operando da anello di congiunzione fra loro e la comunità artistica romana. E così, quando il mio predecessore ha deciso di tornare negli Stati Uniti e l’Accademia ha bandito il concorso per ricoprire la carica, è stato naturale per me fare domanda, e sono stato selezionato da una giuria. Il fatto che io sia stato scelto, avendo una formazione curatoriale e forti legami con la città di Roma, dimostra quanto l’Accademia sia impegnata non solo nel realizzare progetti espositivi internazionali, ma è anche una dimostrazione di una volontà e di un impegno a interagire e collaborare con le istituzioni locali, aprendo così a un pubblico più vasto.
Cosa pensi degli spazi espositivi che hai a disposizione all’Accademia?
Abbiamo una bellissima galleria, due stanze con soffitti alti e luce naturale. Per alcune mostre, artisti e curatori hanno anche scelto di utilizzare altri spazi come il Criptoportico, un meraviglioso e lungo corridoio a volta che si trova al piano terra.
Come definiresti la linea espositiva che stai dando all’Accademia?
Direi che il programma espositivo che stiamo sviluppando offre un forum internazionale per lo scambio culturale contemporaneo in un mondo globalizzato dell’arte. Vorrei bilanciare la programmazione offrendo mostre che presentino talenti emergenti degli Stati Uniti e altri Paesi stranieri, un attivo contesto internazionale quindi, ed esposizioni innovative che usufruiscano delle possibilità offerte dalla nostra istituzione situata in una città cosmopolita.
Siamo anche interessati ad artisti storicizzati, che abbiano o meno in passato avuto rapporti con l’Accademia, meritevoli comunque di essere riconsiderati da un’altro punto di vista o evidenziati rispetto ai più recenti sviluppi in questo campo.
Come giudichi questa prima stagione da direttore artistico?
È stato un anno di grande successo da tutti i punti di vista. Il numero dei visitatori è considerevolmente aumentato, come anche il numero delle recensioni sulla stampa, a dimostrazione che l’American Academy sta emergendo quale importante sede alternativa per l’arte contemporanea a Roma.
In questi mesi hai lavorato già con tanti curatori “esterni” per progetti variegati. Come sono andate queste collaborazioni?
Grazie a curatori come Vincenzo De Bellis, l’artista ed ex borsista in arti visive Nari Ward, Daniela Bigi, Cristiana Perrella e Christian Caliandro, l’Accademia ha ospitato una serie di mostre, da Anamericana (in collaborazione con la fondazione Depart) a Togli il fermo (una collaborazione con la Regione Sicilia, il museo Riso e il comitato curatoriale S.A.C.S.) che ha presentato lavori di sette artisti emergenti siciliani, fino a Cinque Mostre – Time & Again, una serie di mostre organizzate da Christian Caliandro e dai borsisti attualmente in residenza. Mostre queste caratterizzate dalla collaborazione e dal dialogo interdisciplinare fra Italia e Stati Uniti, offrendo opportunità di scambio e mettendo in risalto momenti di incontro produttivi. L’accademia ha ospitato inoltre una serie di conversazioni con Marinella Senatore, Giuseppe Stampone, Alice Cattaneo e Andrea Mastrovito, un incontro tra l’artista statunitense Patricia Cronin e Ludovico Pratesi, in occasione del quale si è parlato della mostra della Cronin al Museo Centrale Montemartini.
Dall’Accademia sono passati i più grandi artisti americani. Com’è considerata oggi negli Stati Uniti questa istituzione? Qual è il feedback? Quale l’autorevolezza?
L’Accademia è stata fondata da Charles Follen McKim nel 1914, originariamente come prima scuola superiore di Architettura degli Stati uniti e da allora si è andata formando fino a diventare oggi un centro d’incontro per le arti e gli studi umanistici. Rappresenta ancora il più importante centro di studi e di ricerca indipendente al di fuori degli Stati Uniti. È un’associazione non profit, finanziata da donazioni private, l’unica così strutturata fra le trenta accademie straniere presenti a Roma, non supportata quindi dal Governo. È una condizione unica ed è a disposizione di artisti e studiosi che hanno il privilegio di lavorare qui. Stiamo cercando di promuovere il lavoro di questa istituzione in aree più vaste degli Stati Uniti, con lo scopo di attirare gruppi di artisti e studiosi più eterogenei impegnati in prima linea nei rispettivi campi lavorativi.
Si tratta di un’istituzione ancora ricca e prospera oppure anche questa, come molte altre istituzioni straniere a Roma, ha subito dei tagli nell’ultimo quinquennio?
Come istituzione privata, a differenza di altri organismi stranieri a Roma, non siamo soggetti a tagli governativi, ma dipendiamo dal supporto di fondazioni e benefattori privati. La ricerca fondi è fondamentale al fine di sostenere il nostro programma culturale. Siamo molto fortunati a essere stati sostenuti da costanti e generose donazioni che provengono dagli Stati Uniti, dove in effetti viene effettuata la maggior parte della nostra campagna di ricerca sovvenzionamenti, e anche naturalmente in Italia. Uno dei nostri programmi di maggior successo è l’Italian Affiliated Fellowship, che permette ad artisti, architetti, designer, scrittori e musicisti di passare del tempo ogni anno in residenza all’Accademia. I prossimi borsisti italiani in residenza per l’anno accademico 2014/2015 sono Francesca Grilli, artista, la scrittrice Claudia Durastanti e la designer Giorgia Zanellato.
Un tema importante – di cui si parla da anni – è quello dei rapporti tra le accademie. L’American Academy con quali altre “colleghe” con sede a Roma ha maggiori rapporti e perché?
L’American Academy in Rome ha rapporti consolidati con altre accademie e istituzioni straniere a Roma: tra queste, Villa Medici, Villa Massimo, la British School at Rome, l’Istituto Svizzero e la Biblioteca Hertziana. Abbiamo recentemente intensificato i rapporti con i nostri vicini al Gianicolo, l’Accademia Spagnola, e l’Istituto Romanum Finlandiae, con i quali abbiamo organizzato una conferenza dell’architetto finlandese Juhani Pallasmaa a Villa Aurelia. Oltre a grandi eventi, creiamo occasioni d’incontri informali per i nostri borsisti e per quelli delle altre accademie.
Le nostre collaborazioni non si limitano però solo a rapporti con gli altri istituti stranieri: stiamo sviluppando progetti con istituzioni locali quali, fra gli altri, Roma Capitale, Maxxi, Teatro Valle, la Gnam e l’Ordine degli Architetti di Roma.
Chi venisse oggi a visitare l’American Academy, cosa vedrebbe?
Abbiamo al momento in mostra i bellissimi lavori di pittura minimalista di Prabhavathi Meppayil, artista indiana che vive a Bangalore, una delle personalità artistiche più forti alla Biennale di Venezia di Massimiliano Gioni. Il suo lavoro è stato una rivelazione per molti, anche per coloro che seguono da vicino lo sviluppo dell’arte contemporanea in India. Il 21 maggio inaugurerà una mostra curata da Marida Talamona, in occasione del centenario della sede dell’American Academy, il McKim, Mead & White Building. Verranno esposti piante e disegni dell’Archivio di Stato e dell’Archivio Storico Capitolino, mai prima pubblicati.
Chiudiamo con qualche anticipazione sulla prossima stagione 2014/2015. Cosa stai preparando? Quali i temi? Quali gli approcci? Quali i nomi? Quali le novità?
La prima mostra che inaugurerà in autunno sarà una personale del giovane artista americano Lucien Smith, che presenterà un nuovo progetto in collaborazione con la Fondazione Depart. Alla fine di ottobre ospiteremo un’importante conferenza in collaborazione con l’Istituto Svizzero sul tema della sintesi dell’arte e dell’architettura tra il 1945 e il 1968. Fra i relatori, critici rinomati come Yves-Alain Bois, Jean-Louis Cohen e Hal Foster. Seguirà l’appuntamento annuale a fine gennaio con Cinque Mostre, e la curatela affidata a un critico che verrà invitato, come quest’anno, e coinvolgerà nuovamente i nostri borsisti e artisti non in residenza. Ho chiesto a Charles Mayton, artista americano che vive a Brooklyn, di creare per marzo 2015 un’installazione interdisciplinare che verrà installata nella nostra galleria. Il suo lavoro unisce in maniera provocatoria pittura e performance.
Massimiliano Tonelli
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