Il circo (cinematografico) di Pippo Mezzapesa
Il giovane regista pugliese, reduce del Nastro D’Argento per “SettanTa” - documentario su Taranto e l’Ilva -, ci racconta di Pinuccio Lovero, candidato becchino. E del funerale della politica italiana. Una intervista in attesa dell’uscita del film, il prossimo 15 maggio.
Cosa vi viene in mente quando sentite parlare di cinema italiano? Fellini? Totò? Bellocchio? Magari Sorrentino? Eppure, al di sotto dei nomi arci noti, delle produzioni milionarie, degli attori blasonati, c’è un fermento di giovani artisti: registi, sceneggiatori, direttori della fotografia. Ragazzi. Sono loro che, spesso in sordina, tessono le trame del sottobosco cinematografico italiano. E qui, come spesso accade negli ultimi anni, è possibile imbattersi in bellissimi lavori, a basso costo (e non), di registi talentosi. Magari i loro nomi non vi diranno niente, ma questo dovete tenerlo d’occhio: Pippo Mezzapesa (Bari, 1980).
Regista trentenne, si è fatto notare nel circuito pugliese prima con i suoi cortometraggi (Lido Azzurro, Zinanà vincitore del David di Donatello, Come a Cassano e L’Altra Metà), poi con i documentari (Pinuccio Lovero – Sogno di una morte di mezza estate e SettanTa, vincitore quest’anno del Nastro d’Argento); per arrivare, infine, al grande schermo nel 2011 con il lungometraggio Il paese delle spose infelici, tratto dell’omonimo libro dello scrittore pugliese Mario Desiati. In occasione dell’uscita nelle sale, il 15 maggio, del suo ultimo lavoro, il docu-film Pinuccio Lovero – Yes I Can (presentato al Festival di Roma), abbiamo incontrato Pippo Mezzapesa a Giovinazzo, piccolo paesino costiero della provincia di Bari in cui vive.
Partiamo dall’inizio: come hai cominciato a fare cinema?
Ho iniziato da autodidatta e non ho affrontato alcuno studio cinematografico. Sono sempre stato, sin dall’adolescenza, un accanito fruitore di cinema e ho sempre coltivato una grande passione per la scrittura. Ricordo bene la molla che ha fatto scattare in me qualcosa: ero all’università, imprigionato in una scelta sbagliata – facevo Giurisprudenza -, e qui ho conosciuto ragazzi che frequentavano il Dams di Bologna, tra cui Vito Palmieri. Insieme siamo andati in vacanza in Grecia, e durante quei giorni Vito mi parlava di questi corti in digitale che giravano a Bologna, mentre io gli parlai delle mie storie che avevo scritto anni prima. Tornati in Italia, scegliemmo, tra le tante, quella di Lido Azzurro: la storia di una stramba famiglia in un’anonima giornata domenicale. Girammo il cortometraggio con circa 500mila lire ed ebbe un buon successo ai festival; con i premi in denaro che vinsi ho continuato a girare altre storie. Due anni dopo – siamo nel 2003 – ho girato Zinanà, il corto che mi è valso il David di Donatello. Avevo ventitré anni.
Qual è il segreto per riuscire, così giovani, a vincere premi importanti e diventare bravi registi?
Beh, all’inizio i primi corti erano pieni di errori, ma credo sia normale. Però, nonostante ciò, hanno sempre funzionato. Il segreto, se così posso dire, sta tutto nella storia che si vuole far conoscere; il lato tecnico va approfondito solo in seguito. Ecco: non è tanto importante il modo in cui si racconta, ma cosa.
Quindi tu non hai uno stile che ti renda riconoscibile?
Ho la presunzione di dire che il mio stile si riconosca dalle atmosfere: i miei lavori sono immediatamente riconoscibili per questo limite labile che c’è tra l’amaro e il lieve, con questo paradosso che aleggia sempre nella storia e caratterizza i personaggi. Mi piace rendere momenti fortemente realistici con inquadrature sospese e rarefatte, e, al contrario, raccontare momenti più crudi ed enfatici con una regia scarna. La mia è una regia di contrasto. Ne Il paese delle spose infelici, la scena della corsa durante la partita l’ho resa lirica, sospesa, utilizzando lo slow motion e una musica particolarmente lenta; così facendo, poi in montaggio, ho reso il tutto in una sequenza di contrasto.
Ci sono dei registi che ti affascinano o da cui hai tratto ispirazione?
È una domanda cui faccio sempre fatica nel rispondere: ho visto tanti film e studiato tanti registi (da solo), ed esaurire il tutto nell’indicazione di un nome o un film credo sia sbagliato, anche perché i gusti vanno a periodo. Mi piace Elio Petri, assolutamente visionario, con un modo forte di affrontare temi sociali; oppure Pietro Germi e la sua commedia. Mi piacciono anche le storie, assolutamente improponibili in Italia, di Aki Kaurismaki. Mi piacciono molto anche i film grotteschi di Marco Ferreri e quelli più onirici di Fellini.
Secondo te, c’è bisogno di più cinema indipendente?
Sì, un cinema più sperimentale. Ad esempio, una commedia molto carina, in cu si è sperimentato, è Smetto quando voglio di Sydney Sibilia: budget medio affidato a un 30enne lasciato briglia sciolta. L’ideale sarebbe creare un mercato medio con budget medio-bassi, in cui possano nascere nuovi linguaggi, fermenti e autori innovativi. Dovrebbero permettere ai giovani registi italiani di osare di più.
Puglia fucina e set dei tuoi lavori…
Sono pugliese e ho iniziato i primi lavori qui perché è la realtà più vicina a me. La Puglia è una terra che si presta al racconto, è una terra di contrasti: luoghi meravigliosi che si alterano a fatiscenze e brutture, bellezze violate dall’industrializzazione. E poi è qui che ho trovato ispirazioni per i miei personaggi, come Pinuccio Lovero.
Ecco. Parliamo di Pinuccio…
È uno dei più grandi attori con cui abbia lavorato nella mia vita. Pinuccio racchiude esattamente tutto ciò che mi piace: l’ironia e il dramma, lati grotteschi e gioiosi, un individuo che porta con sé tutti gli aspetti di una provincia, che poi è l’Italia. Quando ho conosciuto Pinuccio, mi disse che il suo più grande sogno era di diventare custode del cimitero a Mariotto [frazione di Bitonto dove Pinuccio vive, N.d.R.]. In seguito seppi del fatto che Pinuccio era sì stato preso al cimitero ma che, da quel momento, non era morto più nessuno. Così decisi di girare Pinuccio Lovero – Sogno di una morte di mezza estate: abbiamo passato tre mesi con lui, nel cimitero, ad aspettare che arrivasse il primo cadavere. Non dimenticherò mai il caldo di quell’estate.
Invece adesso arriva nei cinema la seconda parte, Pinuccio Lovero – Yes I Can, che avete presentato al Festival Internazionale del Film di Roma.
Esatto. Cinque anni dopo ho incontrato Pinuccio durante una processione: mi confidò che aveva intenzione di candidarsi alle elezioni comunali con Sinistra Ecologia e Libertà, chiedendomi se potevo aiutarlo con i voti. Mi si accese una lampadina: dovevo raccontare assolutamente la sua campagna elettorale. E così è stato. A tre mesi dalle elezioni, abbiamo documentato la sua campagna elettorale dai temi abbastanza folli e grotteschi. Anche in questo caso, attraverso Pinuccio, abbiamo raccontato i paradossi della politica italiana.
Allora è stato eletto?
Per scoprirlo, dovete andare al cinema.
Paolo Marella
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