Il futuro (artigiano) è d’oro. Intervista con Stefano Micelli
Il Compasso d’Oro, oscar italiano del design, festeggia il 60esimo anno con la cerimonia di premiazione della XXIII edizione a Milano, sua città natale. A ricevere l’encomio, tra numerosi oggetti e complementi di arredo, un libro: “Futuro Artigiano”, edito da Marsilio. Scritto dall’economista Stefano Micelli, che qui ci racconta la storia di un riconoscimento inaspettato.
Negli ultimi anni abbiamo notato un forte, e in parte nostalgico, ritorno all’artigianato, il proliferare di gruppi di autoproduttori, chiamati internazionalmente maker, e la diffusione capillare di macchine a taglio laser e stampanti 3d.
C’è chi tutti questi recenti sviluppi li ha previsti, o quantomeno “visti” prima di noi, grazie a un’analisi delle trasformazioni del sistema industriale italiano, e li ha illustrati in un saggio che è stato premiato dall’ADI (Associazione per il Disegno Industriale) con il più alto dei riconoscimenti: il Compasso d’Oro. Non ci stupiamo quindi che l’ossimoro del titolo, apparente come sottolinea lo stesso autore, sia diventato un termine del lessico familiare di designer e affini e punto di riferimento per gli autoproduttori e piccole imprese. L’autore, Stefano Micelli, non è un designer ma un economista e docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. E ci spiega come in soli tre anni Futuro Artigiano è arrivato alla quinta ristampa.
Quale pensi sia la motivazione per cui ti è stato assegnato il Compasso d’Oro?
Le aziende del design hanno conosciuto trasformazioni importanti in questi anni. In passato il design ha dato qualità a prodotti industriali fabbricati in grandi serie; questo modo di intendere il design oggi lascia spazio a prodotti che vengono personalizzati sulla base delle richieste dei clienti. In una recente intervista alla Stampa, Carlo Molteni dichiarava esplicitamente che l’80% dei suoi armadi e tutte le sue cucine sono costruite su misura. Inevitabile che si parli di un futuro artigiano.
I designer ti hanno capito?
Sul fronte della figura del designer, credo che il libro abbia riscosso un forte consenso perché al progettista piace il confronto con la materia e con gli strumenti di produzione. Il designer non si ritiene semplicemente stilista: ama dominare tutte le fasi in cui prende forma un manufatto. Ama sporcarsi le mani, insomma. Per un certo periodo lo avevamo scordato. Era giusto sottolinearlo di nuovo.
Che messaggio contiene il libro? “Futuro artigiano” è un auspicio, un consiglio o una constatazione?
In parte è una constatazione, in parte è un auspicio. È una constatazione perché, se guardiamo da vicino il modo in cui operano molte delle piccole e medie imprese del made in Italy (ma anche molte delle grandi), vediamo che il saper fare italiano continua a rappresentare l’elemento di specificità essenziale del nostro modo di fare impresa.
È un auspicio perché oggi l’arrivo di una nuova generazione di tecnologie per la produzione come le stampanti 3D rischia di spiazzare il contributo dell’uomo alla manifattura. Ribadire l’importanza di un futuro artigiano significa sottolineare che la macchina è al servizio dell’uomo e non viceversa.
Quando hai scritto il libro immaginavi che ci sarebbe stato il boom di makers e autoproduttori?
Immaginavo che il fenomeno avrebbe avuto molta eco sui media, come poi è stato. Non immaginavo, invece, che tanti giovani si sarebbero davvero lanciati in questo tipo di avventura, mettendosi in gioco in prima persona. Sono sorpreso dalle lettere che ricevo e dagli incontri che faccio in giro per l’Italia: molti giovani hanno rinunciato a fare “app ” per scommettere sulla produzione di bijoux con materiali innovativi, biciclette high tech, birre artigianali. Lo fanno in modo nuovo, raccontandosi in Rete e costruendo vere e proprie comunità a sostegno dei loro progetti.
Si parla spesso di economia della cultura. Un approccio artigianale potrebbe servire a creare nuove prospettive lavorative anche in questo campo?
Nel suo ultimo libro, Walter Santagata scrive che la cultura ha i suoi cicli e che oggi il successo italiano arride alle industrie della cultura materiale, quelle che si nutrono dei nostri saperi antichi e del nostro gusto. In questo senso l’Italia è una miniera di opportunità, a condizione di saper raccontare al mondo ciò di cui siamo capaci. Ci sono grandi opportunità per coloro che sapranno mettere insieme il saper fare italiano e una comunicazione innovativa, soprattutto grazie alle nuove tecnologie.
Nel futuro che prefiguri che ruolo ha la creatività?
A lungo abbiamo pensato che innovazione e creatività fossero legate inesorabilmente alla dimensione dell’immateriale. L’economia della conoscenza è stata l’economia dell’immateriale. Oggi ci rendiamo conto che questo binomio va riconsiderato, che l’economia della conoscenza è molto di più. L’immenso patrimonio di pratiche e di cultura che caratterizza la nostra manifattura deve essere riabilitato. Deve essere considerato come parte essenziale del nostro futuro economico. Per gli italiani è un sospiro di sollievo.
Valia Barriello
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