Luca Nichetto. Il buon design italiano
Spenti i riflettori sul Salone del Mobile di Milano, riviste e blog hanno espresso le loro preferenze e stilato classifiche su classifiche. Fra i protagonisti certamente spiccano il lavoro e la personalità del 38enne Luca Nichetto, presente in fiera a Rho Pero e al Fuorisalone con undici nuovi prodotti - dagli oggetti per la tavola agli arredi - e con tre allestimenti. Artribune lo ha incontrato nello Spazio Rossana Orlandi, per la mostra “Walk the Line”.
Seduti su una panchina in una delle corti interne dello Spazio Rossana Orlandi, conversiamo con Luca Nichetto (Venezia, 1976) sul suo lavoro. Luca si è formato a Venezia e la sua storia di designer è molto legata a un materiale (il vetro), a un luogo (Murano) e alla tradizione artigianale ad essi collegata, a partire dal suo primo lavoro per Salviati e da quello successivo di ricerca e sviluppo per Foscarini.
Da qualche anno ha aperto a Stoccolma una succursale del suo studio, anche se la sede principale è rimasta a Venezia, a Porto Marghera. Solo un piccolo team di sei persone – italiani, francesi, spagnoli – veramente affiatate, che si occupano di industrial design e di consulenza. Nichetto lavora nel mondo e col mondo portandosi dietro il suo personale know-how fatto di conoscenza dei materiali, delle tecniche artigianali e di quelle della manifattura, degli usi e costumi italiani soprattutto nell’ambito della convivialità. E anche, non ultime, le sue competenze di architetto, che si sono concretizzate nel 2013 nel Tales Pavilion, lo showroom multibrand realizzato per Tales a Pechino.
Attualmente lavora per la galleria Mjölk di Toronto – stimolante luogo in cui il design scandinavo e quello giapponese trovano la loro sintesi – e per la Dymov Ceramics della città russa di Suzdal, con le quali ha sviluppato un progetto accomunato dallo stesso materiale, la ceramica, che è bianca e con spessori sottili nel primo caso (il coffee set Sucabaruca), e nera e speciale nel secondo (il set table Cheburashka).
In entrambi i lavori ha collaborato con la giovane designer russa Lera Moiseeva, con la quale questo inverno aveva condiviso il progetto sofa4manhattan nel Design-Apart New York. Nichetto in questo caso aveva coordinato Lera e il designer Joe Graceffa nella progettazione di un divano di nuova concezione per Berto Salotti, successivamente realizzato a New York con un innovativo processo di crowdcrafting.
Nichetto – fra la Svezia, il Nord America e New York – è uno dei portavoce della cultura italiana all’estero. Nell’ultimo libro di Chiara Alessi, Dopo gli anni Zero, Luca Nichetto è classificato fra i “sulpezzisti” ed descritto come un designer molto prolifico, attento alla cultura materiale e ai processi produttivi sia italiani che di altri Paesi, che governa con grande abilità. Naturalmente anche questa come altre classificazioni propone una specifica chiave di lettura dello scenario contemporaneo del design italiano, ed è quindi difficilmente esaustiva, come riconosce la stessa autrice. E infatti Nichetto, nonostante a lui sia dedicato un intero paragrafo, si riconosce poco in questa classificazione: trova che in questa interpretazione del suo lavoro non emergano i suoi veri tratti distintivi, ovvero curiosità, istintività, voglia di confrontarsi con il nuovo e con altre realtà, persone, Paesi. Perché, pur conservando radici territoriali, Nichetto è un designer con una sua precisa visione del mondo, in cui vede confini sempre più liquidi e indistinti e invece molte caratteristiche comuni.
Lo scenario del design italiano è cambiato: tramontato il periodo dei grandi maestri, l’oggi è una realtà articolata fatta di altre personalità, di altri modelli, di altri tipi di progettualità, di cui Luca Nichetto è elemento importante. Così come lo abbiamo visto in un pomeriggio al Fuorisalone 2014: serio professionista e grande lavoratore, un progettista che si impegna in ugual modo con committenti piccoli e grandi, che mantiene una grande apertura mentale, una capacità di collaborare e confrontarsi con gli altri e che da questo trae spunto e linfa per il suo lavoro.
Monica Scanu
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