Muore Cornelius Gurlitt, l’uomo del “tesoro nazista”
Da anni soffriva di cuore, e il sequestro di quel tesoro di oltre 1.400 opere d’arte non gli ha di certo giovato. Erano quadri dei più grandi maestri del primo Novecento, dal valore di un miliardo. Un’eredità paterna con la complicità del nazismo.
È una storia che certamente farà gola raccontare agli storici quanto ai romanzieri alla Dürrenmatt, quella di Cornelius Gurlitt. Un uomo schivo e solitario non solo per una questione di carattere. La sua, una vita misteriosa, vissuta nell’ombra fino al 22 settembre del 2010 quando, in un treno da Zurigo a Monaco di Baviera, per qualche strano motivo Gurlitt insospettisce i doganieri di servizio. Da quel momento si scava sulla sua vita ed esattamente un anno e mezzo dopo il tribunale di Augusta, città della Baviera, spicca un mandato di perquisizione nella sua abitazione di Monaco per sospetta evasione fiscale. Restano di stucco, gli agenti, di fronte a quello che hanno di fronte: un bottino, pensano loro, frutto di chi sa quante rapine e ricettazioni. Sono opere d’arte; al che, come si trattasse di una favolosa scoperta archeologica, l’episodio viene subito etichettato: “Il ritrovamento di Schwabing”. Perché Schwabing è il quartiere di Monaco dove Cornelius Gurlitt risiedeva. E dove martedì 6 maggio 2014 è morto all’età di ottantuno anni per un attacco di cuore. Da quel ritrovamento il suo nome è sulla bocca di tutti. Segue il totale sequestro, 1.408 quadri tra cui capolavori di Chagall, Picasso, Matisse e di tutti i maggiori maestri dell’arte moderna. Una fortuna che in seguito verrà valutata intorno al miliardo. Intanto si fa luce sulla vita di Cornelius Gurlitt: “semplicemente” un collezionista d’arte per via ereditaria. Sono tutte opere appartenute al padre, Hildebrandt Gurlitt, un mercante d’arte, appunto, nonché un collaboratore del Terzo Reich. Che pertanto, a suo tempo, aveva avuto una corsia preferenziale nell’entrare in possesso di opere bollate dalle leggi hitleriane con l’infamante appellativo di “arte degenerata”. Capolavori, tele ritirate dai musei tedeschi o requisite alle famiglie di ebrei deportati.
Dall’eredità ora manca qualche pezzo che di tanto in tanto, secondo necessità, Cornelius Gurlitt ha potuto vendere prima che la raccolta venisse scoperta. Ma, chiarite alcune cose, il problema della proprietà delle singole opere rimane e si pone più o meno in questi termini: quali e quanti sono realmente i quadri appartenuti legalmente al padre, e quindi per via ereditaria al figlio? E quanti sono frutto invece di appropriazioni indebite del nazismo di cui poi il padre ha beneficiato? Per esempio, è documentato che della collezione facciano parte alcune centinaia di quadri acquisiti da suo padre già prima del 1933, quando ancora il nazismo non era al potere.
Nel frattempo la collezione è stata dissequestrata poiché Gurlitt ha accettato la restituzione di quelle opere classificabili come “Raubkunst”, l’arte sottratta dai nazisti agli ebrei. Tra l’altro il collezionista ha rivelato l’indirizzo di un altro nascondiglio con una sessantina di dipinti, a Salisburgo in Austria, a un’ora di treno da Monaco. Ma adesso, morto Cornelius Gurlitt, si aggiunge anche il problema dei suoi eredi, che al momento non si sa chi debbano essere. Pare che lui abbia escluso i suoi parenti, esprimendo il desiderio di destinare quel che resterà del favoloso lascito a un’istituzione museale non tedesca. Una personale presa di posizione contro la Germania, dovuta al cinico trattamento subito dallo Stato e dai media in questi suoi ultimi anni di vita.
Franco Veremondi
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