La Caporetto del contemporaneo italiano
Presentata oggi 8 maggio a Palazzo Farnese “Piano”, la “piattaforma preparata per l’arte contemporanea”. In sostanza, un sistema integrato che coinvolge le più importanti realtà museali italiane. E fin qui tutto bene. Il problema - se così si può definire - è che l’hanno pensata, finanziata, organizzata i francesi…
Il progetto, in termini generali, si può sintetizzare così: una piattaforma curatoriale franco-italiana che nel biennio 2014/2015 darà vita a una fitta serie di attività in Francia e in Italia, declinate sotto forma di mostre, eventi, workshop curatoriali, scambi e residenze, e di un sito internet pensato come interfaccia per il dialogo tra tutti gli attori, presenti e futuri, coinvolti nel progetto. Un programma che metterà al lavoro, con iniziative coordinate e condivise, musei e centri d’arte diversi e dall’identità spesso distante, ma fra i più dinamici in Italia, da Villa Croce di Genova alla Fondazione Giuliani di Roma, il Macro ancora a Roma, Careof DOCVA a Milano, Dolomiti Contemporanee a Belluno, Museion a Bolzano, Kunst Meran/o Arte ancora in Alto Adige. Coinvolgendo critici e curatori altrettanto brillanti e aperti alla scena internazionale come Chiara Agnello, Lorenzo Benedetti, Ilaria Bonacossa, Valerio Dehò, Gianluca d’Incà Levis, Letizia Ragaglia.
Tutto molto positivo? Finalmente in Italia si è compreso che l’unione delle energie e delle esperienze, la condivisione delle conoscenze e delle ambizioni fra diversi soggetti, anche piccoli, permette di ambire a obiettivi altrimenti insperabili, e nel contempo arricchisce tutti i soggetti coinvolti? Non proprio: o per meglio dire, sì, decisamente sì, ma con una variante. Non è in Italia che si è compreso ciò. Già, perché il progetto di cui parliamo si chiama Piano, è nato su iniziativa di d.c.a / association française de développement des centres d’art, in partnership con l’Institut français Italia, l’Ambasciata di Francia in Italia e con l’Institut français, e con il sostegno del Ministère des Affaires étrangères et du Développement international, del Ministère de la Culture et de la Communication e della Fondazione Nuovi Mecenati in Italia. Sì, avete letto bene: un solo soggetto fra i promotori di parte italiana, per di più una fondazione privata peraltro italo-francese.
In altre parole, dalla Francia ci arriva il seguente messaggio: visto che voi non avete intenzione di creare un sistema del contemporaneo nazionale, o che magari non ne siete neanche capaci, vi facciamo vedere noi come si fa, e poi lo veniamo a mettere alla prova – per una bella fetta – proprio a casa vostra. Una situazione nuova, che si carica di una molteplicità di significati, inducendoci – come italiani – a una catarsi collettiva, a una presa di coscienza di limiti evidenti ma raramente denunciati con chiarezza. Il primo, atavico, è il provincialismo vagamente campanilistico e autoreferenziale: non mettiamo insieme le forze, non ci mettiamo alla prova nel confronto con l’altro, perché troppo impegnati a dimostrare chi, fra di noi, è il più bravo, anzi il meno somaro. Ma il secondo limite che emerge, affatto nuovo, è la pretestuosità degli argomenti dietro ai quali spesso si tenta di nascondere l’inanità: non riusciamo a fare sistema, proprio perché abbiamo a che fare con tanti singoli sospettosi e ripiegati su se stessi. E invece no: perché basta che arrivi qualcuno da fuori Italia, dotato del minimo indispensabile di idee chiare e ambizione, e in pochi mesi riesce a mettere questi tanti singoli sotto un cappello intelligente. Ma dall’esterno.
Limiti che pareva di toccare con mano oggi, 8 maggio, quando Piano è stato presentato alla stampa e al pubblico a Roma nella sede dell’Ambasciata di Francia, a Palazzo Farnese. Tanti partecipanti, alcuni dei quali pure coinvolti direttamente nel progetto, riflettevano perplessi: ma le istituzioni italiane? Dove sono? Perché siamo lasciati soli anche in queste occasioni internazionali ufficiali, si domandavano i vari Lorenzo Benedetti, Valerio Dehò, Frida Carazzato. Nessuno ha sentito il dovere di presenziare, neanche per semplice e doveroso garbo istituzionale. Nessuno dal Ministero per i Beni Culturali, nonostante siano partiti inviti a importanti funzionari – abbiamo verificato – ai quali gli stessi non si sono nemmeno degnati di rispondere. Nessuno, almeno in veste ufficiale, dal Comune di Roma o dal Macro, nonostante il museo sia coinvolto, se non una silenziosa Alberta Campitelli presente solo fra il pubblico. Nessuno. Forse, ha interpretato qualcuno, per non certificare con la propria inattiva presenza uno smacco che però è molto leggibile. “Lo dimostra anche la scelta della sede di questa conferenza”, commentava la giornalista Laura Tansini, dopo aver cercato di accettare tutto con il fatalismo che ormai unisce le rare menti lucide. “Se l’Italia avesse voluto rivendicare la sua quota di responsabilità nel grande progetto, al quale comunque presta importanti sedi e team museali, la presentazione si sarebbe dovuta tenere al Mibac. Averla fatta qui, luogo simbolico della presenza francese in Italia, è un chiaro segnale di identità”. Di identità, italiana, ormai morta.
L’ultimo velo caduto in questa catartica giornata? Lo scoprite nel video che trovate questa in pagina. A tratteggiare i termini generali di Piano è Eric Tallon, Consigliere Culturale dell’Ambasciata di Francia in Italia e Direttore dell’Institut Français d’Italie. Un cordialissimo e preparatissimo ragazzo che avrà 35 anni: con i quali, nella gerontocratica Italia, faticherebbe a ottenere uno stage in un museo di provincia…
Massimo Mattioli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati