Soprintendenze, cambiare verso. Se non ora quando?
L’attuale inquilino di Palazzo Chigi, Matteo Renzi, è un signore che ha proferito affermazioni poco equivocabili riguardo al mondo delle soprintendenze e alle conseguenze che questo mondo ha non solo sullo sviluppo del Paese in senso generale, ma sulla tutela stessa dei beni culturali nello specifico. Una posizione, insomma, identica a quello di questo giornale. Da sempre.
Matteo Renzi e le soprintendenze. Qui di seguito alcune prese di posizione del Capo del Governo a riguardo:
“Sono un potere monocratico che non risponde a nessuno ma che passa sopra a chi è eletto dai cittadini” (ottobre 2013)
“Abbiamo messo la cultura in mano a una struttura ottocentesca, non può basarsi sul sistema delle soprintendenze”(dicembre 2013)
“Se le nostre start up hanno difficoltà a decollare, a confronto di analoghi progetti di altri Paesi, la colpa è anche di fattispecie tutte italiane, come le conferenze di servizi, o le soprintendenze” (febbraio 2014, discorso della fiducia al Senato)
A questa chiara impostazione politica, per la prima volta in netta discontinuità con qualsivoglia precedente, si è affiancato un posizionamento netto del quotidiano la Repubblica – il quale, diciamolo, si era contraddistinto fino ad oggi più per conservatorismo che per slancio riformistico sui temi relativi al patrimonio artistico – che con un articolone (risale allo scorso 9 marzo) di una firma del calibro di Giovanni Valentini ha calato sul tavolo il più classico carico da undici, scatenando non poche polemiche ma sottolineando ulteriormente il cambio di verso – per utilizzare uno slogan caro a Renzi – su questi temi. Valentini nel suo articolo cita anche Artribune riferendosi a un’analisi di qualche anno fa dove la nostra testata indicava nell’1,5% di Pil annuo il danno che i tanti signor no delle soprintendenze arrecano all’intera economia. Ma Valentini va oltre e spiega come quest’atteggiamento non danneggi solo il sistema Paese, ma impedisca alle soprintendenze di compiere il loro stesso core business: tutelare il patrimonio. Insomma, tra veti incrociati e no-a-tutto non solo bloccano ogni sviluppo, tengono alla larga gli investimenti esteri, facilitano l’abbandono e l’abusivismo (che prospera dove tutto è vietato), ma non riescono neppure a tutelare ciò che è sotto la loro giurisdizione. Le condizioni del patrimonio italiano parlano effettivamente chiaro e l’articolo era zeppo di esempi.
Le repliche sono state patetiche, come di consueto. Patetiche come sono patetiche tutte le difese di squallidi interessi corporativi. “Non possiamo rinunciare alle soprintendenze, tutto il mondo invidia il nostro sistema di tutele”. Già, ma chissà perché nessuno al mondo si sia mai sognato di copiarlo. Semplicemente perché consegnare nelle mani di burocrati annoiati, rancorosi, invidiosi e, talvolta, corrotti lo sviluppo e il futuro di un Paese è cosa che nessuno sano di mente farebbe mai. È dunque arrivato il momento di cambiare tutto e non ci può essere momento migliore di questo. Non si può fare se non innestando questa riforma all’interno della più ampia riforma della pubblica amministrazione che il Governo ha in animo finalmente di compiere. Non si può fare se non sfruttando a pieno il grande credito internazionale e il grande consenso popolare (e di stampa) sul quale il Governo veleggia in questi mesi.
Se esiste, e assurdamente esiste a conferma di un Paese maledettamente immaturo e autolesionista, una stolta dialettica e una dannosa concorrenza fra “tutela” e “sviluppo”, occorre avere il coraggio di affermare la supremazia dello sviluppo sulla tutela. Non certo per prese di posizione ideologiche o preconcette, semplicemente perché senza sviluppo non ci può essere tutela. Non vi sono da nessuna parte risorse e condizioni affinché vi sia. C’è da augurarsi che il nuovo esecutivo abbia lucidità, voglia e tempo di affrontare la questione. C’è da augurarsi che consideri la questione assegnandole le medesime priorità che hanno riforme ugualmente fondamentali e cruciali come quella della giustizia, quella del fisco, quella della burocrazia. Senza mettere pesantemente mano a “sistemi ottocenteschi” incancreniti, a sovrastrutture che da inutili si sono trasformate in dannose, il Paese non va da nessuna parte, ogni afflato riformatore risulta poco credibile, ogni velleità di rilanciare uno sviluppo culturale cozza con la anchilosata realtà dei fatti. Cambiare verso sulle soprintendenze, insomma, Renzi lo ha promesso: mantenga!
Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #18
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