Tokyo con-fusion
Cosa sta succedendo a Tokyo? Cosa è cambiato dopo Fukushima, ma soprattutto dopo che anche laggiù è crollato il mito dell’azienda-famiglia in cui trascorrere tutta la propria vita (lavorativa)? L’editoriale di Aldo Premoli, a partire da una mostra coreana di Hiroshi Sugimoto, presto protagonista anche a Venezia durante la Biennale di Architettura.
Lo straordinario Hiroshi Sugimoto, nella sua personale al Leeum – Samsung Museum of Art, accompagnava immagini e sculture con una serie di testi in cui riflette sulla prossima dissoluzione del nostro modello di sviluppo, a suo parere avviato al collasso. Il pensiero va subito a Fukushima, un errore umano (scatenato da una catastrofe naturale) in una cultura dove l’evenienza dell’errore è scongiurata dall’impegno di ognuno a fare al meglio il proprio compito.
Sono tornato a Tokyo di recente e, sì, qualcosa scricchiola. La città resta sempre affascinante, il cibo è sempre buonissimo, al mercato del pesce non c’è un pezzo di carta per terra, le sweet lolita a Shinjuku e Shimbuya ci sono ancora. Eppure i giapponesi appaiono più riflessivi di un tempo, anche un po’ confusi. La popolazione invecchia (è il primo Paese al mondo per aspettativa di vita) e decresce, ma le frontiere restano ermeticamente sbarrate. Il sistema pensionistico ha scenari da incubo e il governo sta pensando di innalzare l’età del ritiro al limite della resistenza umana. I colossi industriali dell’elettronica non se la stanno passando bene, ma in compenso quelli della meccanica (Toyota e Nissan) delocalizzando vantano successi straordinari.
Per chi è cresciuto nella mistica della fedeltà all’azienda-famiglia questo però significa poco, anzi, richiede un cambio di mentalità difficilissimo da metabolizzare. Migliaia di posti di lavoro, soprattutto per i più giovani, sono anche qui precari. Globalizzazione significa, anche, vedere giovani cinesi, coreani e malesi determinati nell’invadere scuole, aziende e mercati internazionali con un dinamismo e una capacità d’insediamento sconosciuta ai giapponesi, che non amano spostarsi dalla loro terra. Uscito a pezzi dal secondo conflitto mondiale, il Giappone ha rappresentato la grande sorpresa del secolo scorso. Ha espresso tassi di sviluppo e capacità di creare qualità che sono stati un incubo per le economie occidentali degli Anni Novanta. Poi è arrivata la crisi economica (qui prima che in Occidente). Poi Fukushima…
L’impressione è che il Giappone sia alle prese con una domanda che riguarda anche noi: è ancora ragionevole pensare a una crescita come l’abbiamo concepita sino ad oggi?
Aldo Premoli
trend forecaster
direttore di tar magazine
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #18
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati