Yes we Cannes. Artribune al Festival sulla Croisette
Ci sono occasioni in cui partire è l’unica meta agognata, ma oggi lasciare Cannes, sotto questa luce meravigliosa, e pensare che già da domani non ci sarà più a campeggiare sul palazzo del cinema lo sguardo malandrino di Marcello Mastroianni, mette nostalgia. Bilancio di un festival seguito giorno per giorno.
Quest’anno il Festival, l’ultimo sotto l’egida di Gilles Jacob, ha avuto un brio e uno smalto che non si vedevano da anni. Abbiamo colto l’occasione per collezionare una serie di scatti da album memorabilia. Una selezione ben assortita, una giuria di cinema-addicted, un pubblico rilassato, noi con uno spazio riservato nella tribuna del red carpet.
A parte la gioia di aver visto salire sul il regista poeta Nuri Bilge Ceylan con Winter Sleep, una serie d’incontri magici hanno baciato questi quindici giorni in Costa Azzurra. Ad iniziare dalla presenza-assenza di un vibrante Godard, che ci ha emozionato come fossimo ragazzini al primo bacio. L’incanto di trovarsi di fronte in carne ed ossa coloro che hanno nutrito l’immaginario della propria infanzia e poi adolescenza: parliamo di Zhang Yimou e Gong Li, con qualche ruga in più, ma sempre assolutamente magnetici.
Confermiamo che il red carpet è un’esperienza straordinaria, soprattutto visto dalle zone alte: venti metri di passeggiata in cui si concentra il meglio di un anno di cinema, attori e registi si preparano molti mesi per esserne all’altezza, si sente il profumo delle donne belle e giovani, l’odore dei soldi, la musica che galvanizza, i flash che inebriano, i click che ipnotizzano e tutto è così veloce, così assolutamente inafferrabile, un momento fugace di goduriosa privilegiata superficialità.
Ogni anno si scopre qualche meccanismo in più della grande, immensa macchina del festival, si rivelano alcuni algoritmi segreti, si capisce a chi chiedere cosa per assicurarsi un’entrata, una notizia, uno spoiler. Cannes vuol dire pubbliche relazioni, vuol dire notti insonni a lavorare e levatacce per i matinée della stampa. È i ticchettii sulle tastiere dopo le conferenze con fiumi di Nescafé alla mano, i cocktail dei padiglioni sulla spiaggia, i gadget del mercato, le stravaganze dei personaggi da baraccone.
E soprattutto la gioia di vedere i film alla vecchia maniera: in una grande sala buia piena di gente che aspetta che si spengano le luci per scoprire come Dolan schiaccerà i personaggi in un frame atipico, come Mike Leigh racconterà un pittore romantico, come un turco metterà in scena la natura umana. Cannes è Godard che mette a giro una grande istituzione che a sua volta si prende gioco di lui premiandolo. Cannes è il vecchio e il nuovo che s’incontrano in una serie di regole precise e codificate: un geroglifico le cui immagini noi appena, appena cominciamo a distinguere. Un cosmo parallelo dove a vincere su tutti i fronti è la tenacia, la bellezza, la fortuna, la bravura. Un luogo che, fatti i dovuti distinguo, è tendenzialmente meritocratico.
L’emozione non sta tanto nella vicinanza con le star che attirano le masse, quanto nell’incontro ravvicinato e prolungato con grandi talenti, straordinari narratori, menti illuminate che per esprimersi hanno scelto, invece della penna o dei numeri, le immagini.
Federica Polidoro
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