2014: è la fine dei MENA – Medio Oriente Nord Africa?
Nel 2014 il tasso di crescita della regione cultural-socio-economico-politica di Medio Oriente e Nord Africa ha concluso il proprio acme. Mentre sui mercati dell’arte sembra essere cominciata l’ascesa di una nuova era. Nuove esplorazioni di nuovi territori.
Maggio 2014. I tassi relativi a politiche di cambiamento social-culturale e la resa economica dei MENA subiscono un diffuso, prevedibile depotenziamento. Il termine MENA, che sta per Medio Oriente e Nord Africa, è un acronimo usato da accademici, pianificatori militari ed economisti. Il termine copre un’ampia regione, estesa dal Marocco all’Iran, che include la maggior parte degli Stati mediorientali e del Maghreb. La popolazione della regione MENA, secondo la sua estensione minima, è di circa 381 milioni di persone, circa il 6% della popolazione totale del mondo. Nella sua estensione massima, la popolazione è di circa 523 milioni.
Le specificità di quest’area sono: grandi risorse economiche (gas/petrolio) ottenute per repressione; legittimità delle monarchie; proteste senza leader e senza successive affermazioni elettorali e connivenza di un Islam politico con un Islam radicale. Nonostante le necessarie differenze tra stato e stato (repubbliche/monarchie; il Pil pro capite; importatori/esportatori di petrolio e le dimensioni demografiche), i MENA sono accomunati da cultura, religione, lingua, divisioni etniche e una colonizzazione occidentale limitata; una popolazione giovane e istruita, che subisce un’elevata disoccupazione e inflazione (soprattutto alimentare); scarse industrializzazione, esportazioni e integrazione nell’economia mondiale (eccetto l’ambito petrolifero); disuguaglianze e la malcerta distribuzione dei sussidi statali; senza contare una corruzione e un clientelismo che creano scarse libertà civili e politiche.
La crisi globale 2007-2009 ha aumentato la disoccupazione in Paesi avanzati, riducendo le opportunità migranti dei MENA (soprattutto da paesi non petroliferi, come Marocco ed Egitto), obbligando i giovani istruiti a restare in patria, in condizioni insoddisfacenti (salari bassi, disoccupazione e inflazione). Secondo la teoria della diffusione democratica, i Paesi non democratici che sono circondati da democrazie hanno probabilità molto maggiori di effettuare una transizione e consolidarsi rispetto ai Paesi non democratici in regioni non democratiche: questo spiega sia l’assenza di transizioni pre-2011 che la successiva diffusione delle proteste.
A seguito della cosiddetta Primavera araba, nel 2010 il World Economic Forum accende l’attenzione mondiale sulla regione Middle East and North Africa. La parola d’ordine è unlock, sbloccare le risorse per realizzare una struttura dell’economia omogenea che permetta al potenziale degli Stati MENA di emergere come un mercato che aspiri a diventare motore di sviluppo mondiale. Un moto all’insegna di una migliore cooperazione per la crescita di un’economia integrata.
Nel periodo 2009-2014 si è assistito all’ascesa parossistica e puntuale di alcuni Stati dei MENA nei quali i capitali derivanti dalle risorse petrolifere hanno attirato investimenti di rilievo nel mondo dell’arte (vedi Art Dubai, Abu Dhabi Art, il collezionismo di Doha e il suo Middle East Nervous Anxiety ecc). Ma i MENA come totalità socio-culturale e come incubatore omogeneo di pratiche artistiche sono stati definiti da passaggi precisi, seppur frammentati. Nel 2010, durante Art Basel Miami, è stata lanciata Zoom, una piccola fiera interamente centrata sull’arte contemporanea dei MENA. Ma già nel 2009 avevano cominciato a crescere (in Occidente), fra gli altri, voci uniformizzanti di un proscenio culturale MENA, poli artistici più isolati come Baku in Azerbaijan, con il proprio Muasir e con la Heydar Alyiev Foundation; oppure piattaforme globali come ArteEast, come Your Middle East. Sono emersi, inoltre, nuovi testimoni di sensibilità internazionali, artisti come Yüksel Arslan, Neïl Beloufa, Melis Taner e Imran Qureshi; senza contare Wassim Ghozlani, Faig Ahmad, Faig Akbarov, Tahmin Ali, Chingiz Babayev, Sadik Alfraji, Talal Al Zeid, Khaled Hafez, Hazem, El Mestikawy e Ahmed Badry. In concomitanza sono sorti appuntamenti dedicati ad analizzare lo sviluppo estetico dei MENA, come durante l’Azerbijan Art Station, come l’Abraaj Group Prize oppure sono nate organizzazioni senza scopo di lucro dall’attitudine trans-culturali come l’UCLA Center For Middle East Development o musei privati come il Salsali Private Museum, caratterizzato quest’ultimo da una collezione incentrata su artisti dei MENA.
Tra il 2011 e il 2012 a Londra ha aperto la sede staccata della Lahd Gallery di Riyadh, mentre il British Council ha stilato un reportage sulla risposta dell’arte come strumento di sviluppo delle problematiche legate ala regione dei MENA. Nel 2013, inoltre, a Toronto è sorta la MENA Art Foundation e sempre nello stesso anno si è distinta, per quanto riguarda le vendite di opere di artisti dei MENA, la AB Gallery di Lucerna. Quest’anno, invece, proprio ad Art Dubai si sono fatte notare cinque gallerie che hanno rappresentato artisti che hanno lavorato su un’identità-MENA: la Green Art Gallery One (rappresentando artisti come l’iraniano Kamrooz Aram e come lo scultore Shadi Habib Allah); la Sabrina Amrani Gallery (con il pakistano Waqas Kahn, con l’artista concettuale UBIK e con il fotografo marocchino Amina Benbouchta); la Albareh Art Gallery, galleria di Bahraini che ha presentato artisti moderni del Medio Oriente quali il pittore Nasser Al Yousif e Rashid Al Khalifa. Da non dimenticare infine la galleria parigina Galerie Imane Fares con il libanese Ali Cherri, con Halim Al Karim e i marocchini Mohamed El Baz e Younes Rahmoun, e infine la Third Line che lavora come un ponte di collegamento tra Occidente e MENA, grazie anche ad artisti come l’iraniano Farhad Moshiri e l’iracheno Hayv Kahraman.
Ma l’attuale, costante stagnazione del potenziale di crescita economico e degli indici di sviluppo dei MENA ha fatto spostare l’attenzione altrove, da parte di analisti economici e osservatori culturali. A partire da queste settimane, il punto di riferimento e di confronto per tutta la ricerca visuale sta attraversando sensibilità dal Marocco al Sud Africa, dall’Etiopia all’Angola, dall’Egitto al Congo. La parola d’ordine è panafricanesimo, una dimensione ultra-terrena dell’Africa. Il direttore della futura Biennale di Venezia è Okwui Enwezor. Alla Tate Modern è in arrivo una curatrice paladina dell’arte nera Elvira Dyangane Ose. Gli artisti da seguire, oltre a figure come El Anatsui, sono Edson Chagas, Agbodjélou, David Koloane, Ibrahim Mahama, Nicholas Hlobo. E la mostra da vedere è Here Africa, a Ginevra.
Ginevra Bria
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