Absorbing Modernity 1914-2014. I cinque padiglioni da non mancare a Venezia
Seguendo la ferma richiesta di Rem Koolhaas, quest'anno anche i padiglioni nazionali ai Giardini della Biennale sono uniti sotto un unico tema: “Absorbing modernity 1914-2014”. Un grande cambiamento che, insieme alla decisione di anticipare l'opening a giugno, promette una maggiore coerenza e la possibilità di evitare i temporali di fine estate che da sempre caratterizzano questa venue.
Come hanno risposto le 65 nazioni, di cui 11 alla prima partecipazione, al quesito l’identità nazionale è stata sacrificata alla modernità? Difficile evitare l’effetto carrellata storica e acritica degli ultimi cent’anni di architettura, ma qualcuno ci ha provato. Ecco una selezione di cinque padiglioni scelti per innovazione e coraggio e per aver affrontato, in modo contemporaneo e dinamico, un tema che, almeno su carta, poteva rivelarsi statico.
La Romania, con il suo giovanissimo team under 35, propone l’esplorazione dello spazio industriale come generatore di modernità, evidenziando i vuoti urbani lasciati nell’epoca postindustriale come potenziale futuro nella ricerca progettuale. Lo spazio del padiglione è completamente modificato dalle proiezioni degli edifici del passato e al centro tre grandi coni di luce offrono al loro interno uno spazio di riflessione, vuote isole di meditazione sul futuro. Anche l’Argentina ci porta nel passato in modo interattivo, attraverso un viaggio nei frammenti della cinematografia nazionale, interrogandosi su come le idee moderne (Ideal) siano state assorbite nel paesaggio urbano (Real).
L’Australia apre ancora di più lo sguardo e la mente su un passato e un futuro mai esistito con Augmented Australia 1914-2014: undici progetti storici e undici contemporanei mai costruiti saranno visibili in tutta Venezia andando oltre i confini del padiglione. Come? Grazie alla realtà aumentata e a un’app progettata appositamente, il padiglione diventa solo un portale fisico mentre sarà possibile visitare virtualmente la cattedrale australiana di Nervi da piazza San Marco. Il Padiglione danese invece vola nel 2050 per indagare le relazioni inespresse o dimenticate col movimento moderno all’interno di un più ampio progetto di ricerca sul futuro del paese chiamato DK2050.
Gli Stati Uniti, infine, ribaltano completamente il punto di vista trasformando il padiglione da spazio espositivo a quartier generale di OfficeUS, un ufficio reale attivo in loco per tutta la durata della Biennale nell’analisi di mille edifici e duecento studi americani, aperto al dialogo collettivo, a workshop e conferenze, allo scopo di definire un’agenda per il futuro della produzione architettonica.
Federica Russo
http://www.labiennale.org/it/architettura/mostra/
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19
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