Airport Art. L’arte tra arrivi e partenze
Intrattenimento, transito, straniamento e (spesso) de-fiscalizzazione. Eventi, mostre, musei, fiere e installazioni. I non-luoghi dell’arte sembrano adattarsi a una modalità di fruizione del contemporaneo in crescita. Tra voli in partenza e attese in transito
Dal 2001, preminentemente negli Stati Uniti (da Atlanta a Washington), in Canada (Toronto, Vancouver) e in Australia (Brisbane), gli spazi dei maggiori scali aeroportuali evolvono, trasformandosi. Passando dall’apparire atri, hangar, sale d’attesa, terminal e saloni senza connotati all’essere luoghi deputati alla fruizione fenomenologica di una determinata sospensione estetica. Seguendo diversi gradi di permanenza, determinata a seconda dei casi.
Secondo il Wall Street Journal, a partire dal 2001, infatti, anno in cui gli allarmi per attacchi terroristici via aerea hanno aumentato considerevolmente controlli della sicurezza, livelli di stress e tempi di permanenza, durante transiti e attese, negli aeroporti l’arte è entrata a far parte dei dispositivi, culturali e non, atti a instillare calma e a intrattenere passeggeri, diventando una dotazione utile a conferire un’impressione più elevata (letteralmente classy) della città vicina. Città di partenza o di destinazione.
Sebbene abitualmente i visitatori non siano cittadini che decidono di dirigersi in un aeroporto per fruire di esposizioni e progetti visuali, alcune gallerie hanno recentemente deciso di aprire sezioni staccate in prossimità degli snodi di volo, ottenendo, talvolta, agevolazioni fiscali, così come avvenuto all’aeroporto di Jacksonville e alla sua galleria d’arte permanente, la Haskell Art Gallery.
Stanze di transito allestite con attrattive artistiche sono diventate, dunque, recepibili secondo diversi livelli di lettura, offrendo allestimenti in grado di corteggiare non solo l’occhio più esperto, ma anche l’esperienza percettiva di differenti tipologie di pubblico. Avventori, o, all’opposto, galleristi e collezionisti inclusi. Sebbene non sempre artisti e progetti espositivi vantino i nomi più quotati della cosiddetta Public Art contemporanea, i costi di innesti visivi ammontano quasi sempre a cifre di rilievo. Molte città richiedono che addirittura l’1-2% dei capitali allocati alla realizzazione di edifici pubblici vengano dirottati verso l’arte pubblica, andando talvolta ad arricchire i già ingenti investimenti di miliardi di dollari spesi per l’ampliamento di ulteriori terminal. Arcipelaghi che negli ultimi quindici anni hanno considerevolmente aumentato volumi e metri cubi destinati agli spazi comuni a causa anche, dell’aumento di sintomatologie claustrofobiche nei passeggeri; rappresentando dunque un’ottima opportunità per installare opere monumentali.
Le autorità aeroportuali solitamente formano comitati scientifici, commissioni oppure si avvalgono di addetti ai lavori locali per selezionare proposte espositive sottoposte da artisti, collezionisti, galleristi, musei e fiere. Un esempio su tutti è rappresentato dal Philadelphia International Airport e dai suoi venti pannelli coloratissimi, allestimento dal titolo Evolving Elements, del residente James Dupree. Gli aeroporti che usufruiscono dell’arte con maggior successo tendono a creare connessioni con la comunità locale, di modo da comprendere immediatamente dove si è atterrati. Al Washington’s Reagan National Airport è stato inaugurato un mosaico a pavimento di un artista locale Joyce Kozloff, che ha utilizzato un dettaglio di una mappa di Chesapeake Bay. Le installazioni artistiche più distintive e considerate sono quelle che invogliano i passeggeri maggiormente infastiditi dalle scortesie del viaggio, a fermarsi, a guardare più da vicino e a scattare foto. Rilevamenti iconografici di alto gradimento documentati attraverso il registro costante di numerosi social network.
Alcuni aeroporti hanno aperto musei e altri organizzano annualmente fiere d’arte. Da non dimenticare, a partire dal 29 gennaio 2015, la sesta edizione della Art Los Angeles Contemporary, una fiera installata nel Barker Hangar a Santa Monica, una sede di quasi 4mila mq dedicata a gallerie californiane e non. Altri snodi, invece, espongono lavori di Rauschenberg, di Serra (Toronto Airport), Stella e Lichtenstein (entrambi artisti al Seattle-Tacoma Airport). Da non dimenticare anche l’enorme scultura di Calder, Flight, al New York’s Kennedy International Airport e il proscenio di neon di Michael Hayden in un passaggio sotterraneo tra le hall delle United Airlines, al Chicago O’Hare International Airport.
Il nuovo Terminal di Atlanta, ad esempio, ha investito recentemente 5 milioni di dollari in acquisizioni pubbliche. Mentre lo scalo di San Francisco – che con il Toronto Paerson Airport è annoverato fra le piattaforme mondiali più recettive nei confronti dell’arte – a partire dagli Anni Settanta ha investito all’incirca 15 milioni di dollari, tra eventi e coordinamento di installazioni permanenti.
Il Dallas-Fort Worth International Airport possiede una gigantesca forcella bronzea posta come checkpoint di sicurezza al terminal internazionale, oggi strofinata da miriadi di passeggeri in cerca di buona fortuna. Il Miami International Airport esibisce non solo il noto Ghost Palms di Norie Sato, ma anche un corridoio di decine di metri di superficie quadrata incastonata di analogie del paesaggio, di elementi marini, di Michele Oka Doner. San Diego ha speso 2,2 milioni di dollari per The Journey, una sorta di parete ondulata, incastonata da 38mila luci LED, stelle artificiali che hanno il compito di far fluttuare virtualmente lo sguardo delle persone in attesa, magari letteralmente con gli occhi al cielo, a sublimare ogni disagio.
Molto spesso elementi decorativi segnalano una presenza rappresentativa anomala, più che artistica, come le forme di areoplani a Las Vegas, e come le alte pile di valigie colorate a Santiago in Cile (installazione analoga a quella presentata dallo scalo di Sacramento, che ha allestito Samson di Brian Goggin, enorme pila innalzata, però, con bagagli vintage).
Quando infatti non si verifica un’integrazione profonda, una fusione di componenti tra l’architettura, le programmazioni culturali degli snodi e le opere d’arte installate si ha quella che è stata definita, ironicamente, plop art. Rendendo qualsiasi intervento artistico una sorta di toppa decorativa, rilasciata così maldestramente da creare l’effetto opposto nei confronti di una sensazione di coinvolgimento da parte degli avventori (vedi le collezioni del Salt Lake City Airport, le installazioni all’Atlanta Airport di Craig Nutt, e al Fort Lauderdale/Hollywood International Airport, il Vendor with Walkman di Duane Hanson). È successo, ad esempio, con un’enorme installazione-maglietta di Dennis Oppenheim all’aeroporto di Milwaukee, vandalizzata ancora prima della sua inaugurazione ufficiale. Mentre il Denver International Airport, elogiato nazionalmente come un modello espositivo, per quanto riguarda l’arte pubblica, ha dovuto ritirare uno dei Mustang di Luis Jimenez, perché considerato da molti troppo satanico, forse a causa del fatto che alcuni anni prima un altro pezzo di quella stessa scultura fosse caduta addosso all’artista uccidendolo.
In Europa, oltre ai tentativi maldestri proposti dalla piattaforma aeroportuale di Brussels, e ad alcune sculture monumentali poste nei pressi di Heathrow, da sottolineare che lo Schiphol di Amsterdam detiene un’estesa collezione di sculture d’arte contemporanea, esponendo a rotazione anche capolavori del Rijksmuseum. Per ciascun lavoro viene predisposto, ogni volta, cordoni di sicurezza ufficiali e teche, appositamente dedicate a un mantenimento dei livelli di temperatura/umidità corretti, diventando un vero e proprio caveau di passaggio. In Italia, forse, sono da considerare tentativi di colonizzazione aeroportuale dell’arte anche: gli interventi del Cracking Art Group, che ha invaso Orio Center con Il sesto continente, 7mila forme plastiche di grandi dimensioni che riproducono sette specie di animali (fino al 24 novembre 2014). Coì come il recente incontro dedicato a L’Arte in Aeroporto – Fiumicino SafeArt, un caveau esclusivo per garantire la sicurezza delle opere in transito nell’aeroporto capitolino (presso Roma, Associazione Civita) e l’ultimissima installazione di una scultura di Marino Marini all’Aeroporto di Malpensa (snodo già avvezzo a operazioni dedicate a dar voce all’arte contemporanea).
Ma sotto l’aspetto fiscale, invece, Ropac e Gagosian a Parigi hanno sospinto aperture di nuove sedi in direzioni di non-luoghi per ottenere agevolazioni oppure semplicemente per facilitare logistiche interne ed esterne ai loro spazi?
Ginevra Bria
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