Dalla Fondazione Sandretto al mondo. Otto nuovi curatori escono da Campo13
È nato nel 2012/2013 il corso per curatori “Campo”, promosso dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Seconda edizione, dunque, quella appena terminata. Per fare un bilancio abbiamo rivolto otto domande, una a ciascuno dei giovani coinvolti. Ecco il panorama che ne vien fuori…
Perché l’arte va curata?
Stefano Vittorini: L’arte va curata, vista, frequentata e discussa. Deve incontrarsi con altri saperi, alimentarsi di relazioni e di entusiasmo. Con il progetto che abbiamo ideato, host, abbiamo cercato di favorire un confronto orizzontale tra noi e diversi artisti. Sempre di più ci siamo resi conto che il nostro lavoro ha in sé complessità che devono essere affrontate. Non vorrei però parlare esclusivamente di “mondo dell’arte”. L’arte rientra in un unico ecosistema, può favorire la formazione di nuove idee e fornire spunti per accelerare la soluzione di problemi di carattere globale. Quindi sì, l’arte va curata, ma credo che oggi l’urgenza per un curatore sia impegnarsi a creare un sistema di sviluppo, sano e sostenibile, per la costruzione partecipata di un’idea di cultura più consapevole.
Cosa funziona nel sistema dell’arte italiana?
Laura Perrone: È interessante vedere come in un periodo nel quale l’istituzione pubblica soffre una certa asfissia data dagli ingenti tagli alla cultura e dall’incertezza che questi generano nella programmazione, possano essere rintracciate esperienze particolarmente valide nel non profit, che trovano la loro forza nella ricerca e nella sperimentazione. Penso a Xing a Bologna, Peep-Hole e Viafarini a Milano, Fondazione Volume! e Nomas a Roma. Altre realtà-chiave del presente, ma soprattutto per il futuro del sistema dell’arte italiana, sono le residenze e gli educational program per artisti e curatori: Fondazione Spinola-Banna, Resò Meet Up, Collegio Venturoli, Fondazione Bevilacqua La Masa, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: formano un fertile tessuto connettivo, così come l’editoria specializzata, Mousse, Kaleidoscope, Nero, oggi il nostro fiore all’occhiello.
Cosa non funziona nel sistema dell’arte italiana?
Francesca Vason: Credo che i malfunzionamenti del sistema dell’arte siano rintracciabili nella formazione artistica in ambito accademico, ancora poco aggiornata e slegata dal sistema, soprattutto se messa a confronto con la scena internazionale. Io stessa che vengo da un percorso storico-artistico ho sentito la necessità di integrare le mie competenze con altre attività, tra cui CAMPO13, che mi permettessero di apprendere una metodologia e di sperimentare, creandomi opportunità d’incontro con le tante realtà del contemporaneo in Italia. Il momento storico non aiuta: condiziona scelte e possibilità di gallerie, collezionisti, istituzioni pubbliche che via via sono state costrette a ridimensionare la programmazione. Penso anche che, nonostante tutto, ci sia bisogno di noi, qui e ora. Determinazione, flessibilità, transdisciplinarietà devono essere le basi per costruire progetti di qualità, in grado di rispondere alle urgenze del presente, fornendo alternative possibili e sostenibili.
Torino vista da un giovane curatore: la dizione “capitale italiana dell’arte contemporanea” ha ancora una rispondenza coi fatti?
Marina Loshchakova: Da straniera, grazie a CAMPO13, ho avuto la possibilità di conoscere il sistema dell’arte contemporanea italiana. La presenza di Artissima, Castello di Rivoli, GAM e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo rivela l’importanza di Torino a livello internazionale. Credo che in Italia convenga parlare di più centri di riferimento rispetto alle varie realtà che ciascuna città offre. A livello istituzionale Torino vanta una forte tradizione. In più, le residenze di RESÒ Meet Up e Fondazione Spinola-Banna sono piattaforme che danno nuove opportunità ai giovani artisti. Secondo me in questo momento l’attività dei nuovi spazi non profit come il Piccolo Cinema, Diogene o Cripta747, potrebbe attivare in città nuove dinamiche di grande interesse.
Pubbliche relazioni, studio, studio visit: la percentuale ideale per ognuna di queste attività.
Dario Giovanni Alì: Sono tutti aspetti importanti per la curatela. È necessario intessere relazioni sul territorio per comprendere il tempo e il luogo in cui si agisce e per intercettare le esigenze collettive. Lo studio è indispensabile per formarsi un metodo critico ed essere consapevoli di ciò che si fa. Fare studio visit è di certo il primo passo per comprendere più profondamente la ricerca di un artista, le sue opere e i suoi ragionamenti, un aspetto essenziale per la riuscita di una mostra. Dovendo stimare delle percentuali, darei 20% alle pubbliche relazioni, 35% allo studio individuale e 45% allo studio visit con l’artista.
Il Grand Tour nel 2014: impressioni di giugno.
Carolina Gestri: Studio visit, incontri con direttori di musei, responsabili di gallerie, la conoscenza di spazi non profit, viaggiando da Torino a Bologna, da Milano a Roma, da Venezia a Napoli, da Bolzano a Firenze. Qual è il risultato di questa “residenza in viaggio”? Un quadro esaustivo sul sistema dell’arte di oggi, capendo se è possibile rintracciare una rete tra le diverse realtà, e la presa di coscienza del ruolo fondamentale dei programmi di residenze: fucine e vetrine per talenti emergenti e fonte di ricerca per curatori. Il format di questo “Grand Tour” ci ha costretti a insediarci per una settimana al mese all’interno di città a noi non familiari. Tramite host, il progetto nato da noi otto, parallelamente a CAMPO13, abbiamo deciso di non porci come estranei ma come ospiti della città, invitando nel nostro appartamento un artista attivo sul territorio, al fine di realizzare una mostra di una sera.
Domanda sul futuro prossimo: Italia o resto del mondo?
Caterina Molteni: La scelta di rimanere in Italia penso possa essere condizionata dalla necessità di portare avanti progetti nel proprio territorio. Io ho da poco aperto a Milano Tile project space, uno spazio espositivo e di produzione rivolto ai giovani artisti italiani, in cui la pratica curatoriale vuole essere sperimentata direttamente sul campo. Il bisogno di applicare questa pratica a un progetto concreto è legato soprattutto all’esigenza di sviluppare una linea curatoriale autonoma e senza vincoli. Avere una propria attività non nega la possibilità di rivolgersi al resto del mondo, raccogliendo esperienze utili per la propria formazione.
Domanda sul futuro meno prossimo: Italia o resto del mondo?
Giorgio Micco: Muoversi per un curatore è fondamentale. Non essere confinati in un solo luogo ma instaurare connessioni tra contesti e persone distanti è una declinazione interessante della pratica curatoriale. La mia esperienza di studi in Olanda e la testimonianza di molte professionalità attive all’estero conosciute all’interno del corso per curatori CAMPO13 mi portano a pensare come naturale un confronto con il resto del mondo.
Marco Enrico Giacomelli
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