Italian Area. Luca Rossi dà i voti agli artisti (D-L)
Seconda parte delle “pagelle” stilate da Luca Rossi. A partire da “Italian Area”, l'archivio storico del centro Viafarini/Care Of a Milano. Da parte nostra ribadiamo le parole dell’autore: “I giudizi che leggerete sono relativi alla opere degli artisti e non agli artisti come persone. La tendenza a una negatività di giudizi, trova le responsabilità solo in parte negli artisti. Al 60% la responsabilità è da imputare ad un sistema intorno, che in questi ultimi vent’anni non ha saputo formare, stimolare e promuovere adeguatamente”.
Rä Di Martino
Partita 13-14 anni fa con l’attenzione per un certo genere cinematografico “da mostra d’arte”. Brevi video tecnicamente preparati che sembravano riflettere sul’idea di cinema stesso. Poi un po’ perduta e logorata anche lei in un calderone di proposte tutte uguali. Ultimamente la ritroviamo a sorprendersi per vecchi set cinematografici nel deserto. Poco definita e un poco confusa.
Voto 4
Andrea Dojmi
Frammenti di strutture prelevati da contesti funzionali e adesso resi “non sense”; a volte rielaborati. Troppo poco rispetto quello che ho potuto vedere.
Voto 4,5
Patrizio Di Massimo
Studia a Londra e subito carico di buone pubbliche relazioni (italiane), parte con una riflessione e formalizzazione sul passato coloniale dell’Italia in Libia (anche lui Giovane Indiana Jones, non avevamo dubbi). Ultimamente mette a fuoco meglio un certo immaginario che bascula tra il riferimento storico e l’incursione scanzonata, anche tecnicamente (usa app dell’iPhone, ma anche acquerelli naïf e tappezzerie improbabili). Ultimamente ossessionato da una certa pittura naiïf ma controllatissima, molto di moda; sembra un Chiasera più convinto e definito. Ma comunque non si riesce a uscire dal fumetto intellettuale, carico di citazioni e pretenziosità, anche quando parla si parla di erotismo.
Voto 5
Gabriele Di Matteo
Classe 1957, un attento lavoro sulla pittura. Un concettuale che non sembra e non si vede. Forse dovrebbe, doveva, essere più ossessivo ed estremo.
Voto 5,5
Gianluca e Massimo De Serio
Buone potenzialità, ma anche loro prigionieri tra la mostra e il cinema. Il rischio è di perdersi o mimetizzarsi. Il genere ibrido è difficile (mostra o cinema?) ma servirebbe essere più estremi e radicali. Diversamente tutto dipende dal fatto di essere invitati o meno nel contesto giusto, dal momento che tecnicamente troviamo sempre qualcuno che ci realizza un’idea video più o meno originale. Anche in questo caso bisognerebbe lavorare su i modi, invece che sull’idea di base. Recentemente in crisi creativa (dichiarata da loro stessi) girano un video dove si fanno impnotizzare e i due fratelli gemelli ricordano e recuperano cose perdute. Video un po’ troppo intimista e ripiegato sulla loro biografia.
Voto 5
Ettore Favini
Anche lui ottimo smart relativist, ma sempre con un’attenzione ecologista che rischia di essere una facilissima moda, un po’ gratuita, per quanto sincera. E poi si formalizza tutto alla maniera di Moussosocope, o in modo un po’ pazzerello, quel tanto per uscire dall’accademia, anche se è l’accademia stessa che ci insegna come uscirne. Non basta proprio.
Voto 4
Roberto Fassone
Giovanissimo amico del quartierino milanese. Si dimena come un dannato per risultare fuori canone, ma rischia sempre di rielaborare lo schema che vorrebbe distruggere. Inventore di Sibi per creare un’opera rispondendo a tre domande. Una sorta di Permanent Food 2.0. Il rischio è sempre quello delle “cose a caso”, semmai seguendo stili fascinosi e modaioli. Non servono a nulla nuovi stili fascinosi ma modi per selezionare le cose. Come a dire: non servono decori della torta, ma un modo per esprimere la differenza fra una torta al cioccolato e una alle fragole. Ma per questi giovanissimi vorrebbe dire suicidare un certo ruolo, che vogliono vestire a tutti i costi. Sono in qualche modo vittime.
Voto 4,5
Linda Fregni Nagler
Maestra dell’Ikea evoluta che in questo caso è coltissima, e quindi ci distrae dall’Ikea evoluta, ma è proprio tale. Quindi riflettere e selezionare fino allo sfinimento vecchie stampe, cercando il pelo nell’uovo, dando vita a immaginari prelevati dal passato. Avete presente il film The Others con Nicole Kidman? A me sembra una grande masturbazione fatta in punta di spillo. Insomma, possiamo speculare quanto vogliamo su ogni foto. Ripeto, servono modi nuovi che non siano la selezione delle foto dal solito, beneamato, amatissimo mercatino dell’antiquariato. L’estetica dell’archivio storico (come la chiama Marco Scotini) rischia di diventare un facile rifugio da una contemporaneità che non si riesce a risolvere e affrontare.
Voto 4,5
Emilio Fantin
Molto legato a una certa sensibilità Anni Novanta, altra faccia della medaglia rispetto alle star della scena internazionale Anni Novanta. E quindi una cleptomania nel cogliere la realtà e creare piccoli cortocircuiti, spesso evidenti solo per un ristretto giro di addetti ai lavori; quasi la controparte maschile di Eva Marisaldi. Molto buona la sua ultima idea Dynamica, università indipendente; ma per parlare di cosa? Come? Perché? Il rischio è ancora comunicare solo all’interno del gruppo-setta di addetti ai lavori; anche per questo, da questo clima Anni Novanta, è deflagrato (schizzando a New York) un certo Cattelan, attentissimo alla provocazione come modo per afferrare il pubblico oltre la solita cerchia degli addetti ai lavori. Alla fine risulta comunque veramente poco a fuoco, se non per una certa sensibilità molto diffusa.
Voto 5-
Lara Favaretto
Come Bartolini, regina dello smart relativism. Ultimamente impegnata sull’idea di monumento disfunzionale. Tutto questo però scollegato con altre opere precedenti, in cui si elabora tutto e il suo contrario. Ultimamente abbastanza presente in mostra internazionali, dove la sensazione è che qualsiasi cosa proposta potrebbe andare bene. Confusa.
Voto 4,5
Michael Fliri
Iniziato bene, con un certo piglio alla John Bock “de noartri”. Poi perduto completamente in poco comprensibili autoriflessioni e speculazioni sull’identità. Mi piacerebbe dirgli: “Michael, fregatene dell’identità e vai oltre…” e vedere cosa farebbe.
Voto 4
Giulio Frigo
Dopo aver superato il fascino per De Dominicis, viene completamente risucchiato in una pittura che vuole essere colta a ogni costo e che ci parla pure di prestigiatori e strani figuri; ma sempre con questo piglio naïf e un po’ inquietante che, messo nella galleria di Francesca Minini a Milano, fa pensare al collezionista manager di turno: “Non ci capisco molto ma c’è una certa atmosfera non male…”. Una pittura molto simile a Roccasalva, Chiasera, Di Massimo; e anche in questo caso si ammicca al dato installativo quasi per salvare la pittura e dire che è qualcosa di comunque “nuovo”. Si esce dal quadro per trovare stampelle al quadro. Anche in questo caso, le buone pubbliche relazioni di Francesca Minini salvano qualcosina e riescono a piazzare qualche opera in collezioni private e musei troppo guidati da amici (vedi Mambo di Bologna, con il denaro nostro e di Unicredit).
Voto 4
Chiara Fumai
Nato, Onu, Fbi, Cia stano ancora cercando di capire come sia finita all’ultima Documenta. In questa sede le danno un padiglione e pensa bene di intrecciare immaginari da donna barbuta, femminismo spicciolo, B-movie e film horror. Ultimamente si ferma solo sul femminismo, portando avanti una battaglia fuori tempo massimo, dove la semplificazione rende tutto banale e non restituisce la reale complessità delle cose.
Voto 3,5
Flavio Favelli
Recupera le cose di nonni e genitori da tempi non sospetti, prima che arrivasse più prepotentemente la moda del vintage. Elaboratore di feticci usando oggetti dei mercatini dell’antiquariato. Prigioniero di questa idea da quattordici anni. Ma sembra che non ne possa fare a meno, come se fosse un’ossessione personale. Lavori più o meno riusciti.
Voto 4,5
Luca Francesconi
Anche lui, dopo anni per trovare una linea definita, si rifugia in un certo poverismo contadino, fatto da piccoli oggetti giustapposti per terra. Apprezzabile il recupero degli antichi miti e idoli contadini, ma spesso troppo rarefatto. Ultimamente gigioneggia troppo con il frammento contadino, sia esso una striscia messa lì, un panno messo là o una piccola bottiglietta di rame messa giù. Biennale 2011 insufficiente con una selezione di ready made posti con apparente casualità. Titolo Europa 3000. L’artista aveva dichiarato che l’installazione esprimeva la sua idea futura di Europa. Tutto troppo casuale, troppo pressapochismo tra intenzioni e progetto finale. Ancora il rischio del “tutto può andare”, molto pericoloso se non consapevole.
Voto 4,5
Christian Frosi
Pupillo della Galleria Zero… Una certa cleptomania per restituire una sensibilità tra il cinico e il romantico. Ultimamente si è un po’ perso. Anche se, anche per lui, il rischio è stato che fosse la galleria a museificare e a storicizzare. Buone potenzialità, ma penalizzato da un contesto matrigno che lo ha sovraesposto subito senza ragioni e motivazioni. Dopodiché il rischio è quello di perdersi, perché il sistema ti costringe a cristallizzarti in forme deboli (come lui anche Tadiello o Vascellari, per esempio).
Voto 5
Giuseppe Gabellone
Tra le promesse Anni Novanta, molto sostenuto da Francesco Bonami. Ha sempre lavorato su questa idea di “scultura mentale”, con alterna efficacia: fotografava sculture semplici in luoghi improbabili e poi le distruggeva. Fece la stessa cosa Gino De Dominicis negli Anni Settanta con la Madonna che ride. Eccessivamente fissato su questa unica idea, declinata in tanti modi.
Ultimamente impegnato su calchi tridimensionali e curiosi che escono dal quadro. Recentemente alla Gamec abbinati a grandi tessuti colorati sparsi per il museo. Meglio quando l’opera non pretende di portarci dove non può, ma solo dove può, e non è poco.
Voto 5
Francesco Gennari
Tra il molto concettuale e l’ironia. In sculture sussurrate cala elementi naturali, e quindi biodegradabili. Preleva sommessamente dalla biografia personale. Forse troppo carico di un simbolismo che pretende eccessivamente. Per molti aspetti ricorda un certo poverismo intelligente. Ultimamente visibile solo nella sua galleria di riferimento (Zero…) che per molti suoi artisti sembra voler fare un’opera da museo. Pochi dati disponibili ultimamente.
Voto 5
Nicola Gobbetto
Rielabora – secondo un aggiornato mainstream – prima le fiabe, poi la vita di un famoso ballerino di danza classica. Anche in questo caso il giovane artista sembra chiamato a un’archeologia delle proprie ossessioni personali, con le suggestioni che furono della cameretta adolescenziale. Anche in questo caso tutto potrebbe andare bene: perché non elaborare la Cavalleria Rusticana o il Lago dei Cigni?
Voto 4
Paolo Gonzato
Anche in questo caso, un preparato artigianale dell’arte contemporanea, con momenti molto vicini alla disillusione pop Anni Novanta. Tutto troppe leccato, preparato, sistemato. In una parola: “cool”. Accademico, anche se a volte con un buon artigianato. Artigianato non è un’offesa, quando è consapevole, come gli ho visto fare recentemente.
Voto 4,5
Massimo Grimaldi
Emerge con interessanti riflessioni su arte e artista, poi negli ultimi anni si perde un po’, come se la cosa migliore al mondo fosse donare tutto a Emergency. Come se un chimico o un grande scrittore iniziassero a donare tutto a Emergency. Vince chi dona di più? Sicuramente poco aiutato dal deserto critico italiano, anche se nelle grazie (che ormai contano poco) della Galleria Zero… Praticamente la galleria sembra diventare per molti giovani il momento per la benedizione museale. Meglio agli inizi.
Voto 5,5
Alberto Garutti
Grande maestro dei garuttini di prima, seconda e terza generazione. Ha contribuito, forse non volontariamente, tra Anni Novanta e Anni Zero, a creare canali chiusi e privilegiati che hanno, da una parte, cristallizzato precocemente i suoi alunni (Perrone, Berti, Galegati, Frosi, Grimalid, Rubbi, Tuttofuoco) e dall’altra parte soffocato altri artisti fuori da questa cerchia. Il risultato è che, al di là dei garuttini, la situazione italiana è anche peggiore. Il suo lavoro contribuisce alla scesa dal piedistallo di arte e artista, per andare incontro al pubblico. Come dice lui, con atteggiamento “etico e amoroso“. Esprime sicuramente una temperatura specifica. A volte troppo ruffiana e opportunista, quasi sembra che ti voglia prendere in giro da quanto vuole andare incontro al pubblico.
Voto 6
Piero Golia
Dopo qualche lavoro da piccolo Cattelan, emigra a Los Angeles e lavora bene sulle pubbliche relazioni. Il filo del lavoro è quasi completamente perso. Ma sembra essere consapevole che tutto può andare se presentato nella cornice giusta. Il cubo di cemento con il finto oro spagliuzzato dentro, all’ultimo Padiglione Italia. Insomma, un atteggiamento tra Cattelan e Hirst. Stancante, e alla fine gravemente inconsistente. Ma fare l’aperitivo con il direttore di Gagosian sembra davvero essere la cosa più importante.
Voto 4
Stefania Galegati Shines
Anche lei fra le promesse Anni Novanta, debitrice dell’unica sensibilità che animava molti garuttini rendendolo un gruppo chiuso. Quella chiusura ha fatto sì che fossero tante copie dello stesso artista plasmato e stimolato dal maestro Garutti. Dopo l’inizio degli Anni Zero si è persa e negli ultimi anni ritorna, con questo piglio da etnografa intelligente e scanzonata. Anche lei poco consistente. Non a fuoco. Se non in una certa italianità poverista tra gioco, poesia e colore.
Voto 4
Francesca Grilli
Opere scollegate, se non con forzature enormi. Estremamente omologata e mimetizzata a un forma di artigianato dell’arte contemporanea, abusato e prevedibile. Anche nel suo caso sembra che le pubbliche relazioni contino più di tutto. Peccato perché la passione e la voglia ci sono.
Voto 3+
Invernomuto
Anche loro giocano abilmente con immaginari che pescano nel passato o nel mito. E poi li strapazzano, con soluzioni formali accattivanti. Troppa importanza all’immaginario: perché non Harry Potter? Non c’è bisogno di nuove citazioni e immaginari, ma di atteggiamenti e modi per risolvere e affrontare la contemporaneità. L’immaginario diventa come il bimbo che non si vuole mai staccare dal suo idolo e pretende di andare in giro sempre vestito da Harry Potter. Alla lunga deve imparare a crescere.
Voto 5
Norma Jeane
Anche lui promessa Anni Novanta. Buona intuizione del potlatch (oggetti elettrici portati all’autodistruzione). Poi anche lui perduto. Vive all’estero. Buona apparizione a una recente Biennale, con pongo che il pubblico poteva manipolare fino a far rigonfiare i battiscopa e a ottenere con la partecipazione del pubblico un gran caos. Significativo. Dati al momento insufficienti.
n.c.
Andrea Kvas
Una sana archeologia dell’arte informale estremamente di moda fra i più giovani (Becheri, per esempio). Non si sa quanto consapevole. Giovani Indiana Jones. Spesso esagerazione che cercano stampelle fuori dalla tela, scivolando nel laboratorio didattico pazzo e fuori dalla righe.
Voto 4
Luisa Lambri
Buona idea fotografica declinata in tutte le salse.
Voto 6-
Armin Linke
Lavoro sull’archiviazione fotografica, estremamente sopravvalutato. Molto grave che non si ponga il problema della selezione, ma cerchi di archiviare tutto, in un caos paralizzante. Non ha alcun senso contribuire all’inquinamento e alla sovrapproduzione proponendo l’ennesimo archivio (internet stesso lo è) ma servono modi e criteri per gestire tale sovrapproduzione-inquinamento.
Voto 3
Renato Leotta
Anche lui su e giù per immaginari e scelte formali alla moda. Molto attivo come curatore e animatore di uno spazio a Torino.
Voto 4
Claudia Losi
Una certa delicatezza del fare, che però non trova e non ha trovato un punto, un compimento. Delicata, ok, ma forse troppo. Un po’ inconsistente.
Voto 4,5
Luca Rossi
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