Musei e paesaggi culturali. Verso ICOM 2016
Il patrimonio culturale italiano non sta solo nei suoi musei, ma anche, e forse soprattutto, al di fuori. Chiese, monumenti, testimonianze del passaggio dell’uomo, paesaggi urbani e naturali rivestono tutti un ruolo privilegiato nei processi di costruzione e rielaborazione della nostra identità storica e attuale. Quali alleanze strategiche fra musei e associazioni per proteggere il patrimonio non musealizzato, evidenziando le connessioni con le collezioni? Se ne parlerà a Siena il 7 luglio, in un convegno nazionale in preparazione di ICOM 2016.
Museums and Cultural Landscapes è l’appuntamento mondiale della museologia che nel 2016 richiamerà professionisti da tutto il mondo per confrontarsi attorno a questo tema in occasione della 24esima Conferenza Generale di ICOM, che vedrà Milano e il nord Italia giocare il ruolo di baricentro. Con l’assemblea degli istituti museali del Veneto, tenutasi presso la cornice fiorita del Museo Civico di Bassano del Grappa appena rinnovato, la comunità regionale ha dato avvio al confronto sul tema del rapporto fra museo e paesaggio culturale, che ICOM Italia si proporrà di indagare in due principali direzioni, ovvero: “In che misura i musei non hanno il dovere di assumere anche la funzione e il ruolo di centro d’interpretazione del territorio e della comunità di cui sono parte ed espressione? In che modo, attraverso quali mezzi, iniziative, proposte musei possono contribuire a diffondere la conoscenza del patrimonio culturale presente dentro e fuori le loro mura?”.
Questi quesiti si desumono dal documento preparatorio per la General Conference, a cura di Daniele Jalla e Giuliana Ericani, che evidenzia il ruolo attivo del museo nei processi di tutela, interpretazione e pianificazione urbanistica del territorio.
ICOM 2016 è un’occasione d’oro per ricucire le matasse di un filone museologico forte nel nostro Paese, ma anche per confrontarsi con istituti internazionali su possibili modelli di gestione, al di là dei consueti sterili paragoni sui numeri di visitatori e quote d’incasso, che causano più frustrazione che stimolo fra chi anche in Italia si sforza di valorizzare il patrimonio dando vita a progetti partecipati per creare un impatto sul territorio.
Un esempio? Il Museo di Storia Naturale di Venezia, punta di diamante all’interno del circuito dei Musei Civici veneziani, aprirà nel 2016 nove nuove stanze dedicate al tema della Laguna e al rapporto fra uomo e ambiente. Ce ne parla Mauro Bon, responsabile scientifico del museo: “Il progetto intende coinvolgere cittadini, pescatori, associazioni culturali, artigiani e tutte le molteplici realtà che vivono, conoscono e lavorano in laguna per creare, già dalle fasi iniziali, un progetto partecipato che porti a un percorso espositivo in cui il visitatore potrà trovare continui collegamenti all’ambiente lagunare. Si vuole creare un gioco di rimandi reciproci fra museo e territorio per fornire una nuova chiave di lettura della città. La sfida è quella di creare un allestimento in cui la comunicazione possa coinvolgere il visitatore indipendentemente dal livello culturale, dall’età o dal bagaglio esperienziale posseduto; un museo accessibile a pubblici diversi, uno spazio di tutti e per tutti, un patrimonio da utilizzare con tempi e modalità diverse, un luogo reso vivo e vivace da tutti coloro che lo arricchiscono con la loro personale esperienza”.
Da queste parole si evince l’evidente impatto sociale di un museo, e forse anche la possibilità di riallacciare il tema di Museums and Cultural Landscapes ai nuovi trend della museologia internazionale comuni a tutte le culture, quindi sostenibilità, nuova epistemologia, partecipazione, audience empowerment/development e inclusione sociale.
Queste istanze stanno acquisendo sempre più rilievo non solo in ambito museale; a ben guardare sono infatti l’antifona che risuona all’interno di tutto il programma quadro Creative Europe 2014-2020, una fetta piuttosto grossa – se non l’unica rimasta – nella torta complessiva dei fondi destinati al settore culturale. Quindi non perdiamo l’opportunità per fare rete anche in quel senso e aprire il confronto sul ruolo attivo delle comunità nei modi di “fare museo”.
Se accettiamo l’idea che il significato del patrimonio non risiede unicamente nella storia scritta ma anche nella memoria e nelle storie (personali e collettive) di coloro che lo vivono – e prima o poi forse dovremo farlo in maniera capillare, o la percezione del valore sociale dei musei e di intere professionalità finirà per svanire per sempre – potremo interrogarci su quali nuove voci (anche non esperte) vorremo introdurre all’interno dei nostri musei. E perché no, magari anche rendendole visibili negli apparati interpretativi degli allestimenti permanenti, spingendoci oltre i confini della didattica per agganciarci al tema dell’accessibilità cognitiva e dare la possibilità alla collettività di costruire un significato personalmente rilevante fra le mura di un museo indipendentemente dalla presenza di un mediatore o di un’audioguida, nonché dal bagaglio culturale, esperienziale e sociale di chi visita. Idee che già hanno rivoluzionato approcci comunicativi nella museologia scientifica, archeologica e antropologica, ma che mancano quasi totalmente nei nostri musei di arte non contemporanea.
ICOM 2016 potrebbe essere quindi anche l’occasione per aprire il dibattito sul ruolo delle nuove professioni museali emergenti e che lavorano in sinergia con chi conserva, studia e ricerca le collezioni per permettere agli istituti della cultura (ovunque nel mondo) di avere una rilevanza sociale nella contemporaneità. Parliamo di professionisti che si occupano di Visitor Studies, Outreach, Audience Development, Interpretaton ed Exhibition Design; sensibilità che trovano un gelido riscontro in un Italia che quest’anno si è persa dietro alla questione del mancato riconoscimento delle professioni (più tradizionali) sino a consumarsi l’anima.
In ultima battuta, occorre ricordare che l’assemblea di Bassano ha offerto anche un utile momento di dialogo riguardo alla questione della crisi delle direzioni e della scomparsa di personale tecnico-scientifico nei musei; problemi oggi cruciali per il Paese, come ha evidenziato con chiarezza Luca Baldin, coordinatore regionale di ICOM, in un recente contributo sulle pagine del Giornale dell’Arte. Quanti conservatori, ricercatori, bibliotecari e archivisti lavorano oggi nei nostri istituti? Quanti direttori con competenze gestionali dotati di una solida sensibilità umanistica e culturale risiedono ai vertici dei musei locali? Chi ci guiderà verso ICOM 2016? Assessori e Comuni a chi pensano di affidare la messa a sistema dello scenario variopinto (e comprensibilmente spesso in conflitto) delle professionalità che dovrebbero trovare spazio all’interno di un museo (o di una rete museale) affinché funzioni? Questi interrogativi necessitano di risposte urgenti, nonché di una decisa presa di posizione politica e istituzionale, forte del sostegno di ICOM Italia e delle principali associazioni museali di riferimento. Aspettiamo il 2016?
Nicole Moolhuijsen
http://www.icom-italia.org/
http://network.icom.museum/icom-milan-2016/
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