Quei bambini che giocano
un giorno perdoneranno
se presto ci togliamo di mezzo.
Perdoneranno. Un giorno.
Ma la distorsione del tempo
il corso della vita deviato su false piste
l’emorragia dei giorni
dal varco del corrotto intendimento:
questo no, non lo perdoneranno.
Vittorio Sereni
Lo strappo: lo scarto riconoscibile guardando qualunque collezione di arte contemporanea italiana. La frattura “avviene”, compare con regolarità tra Anni Ottanta e Novanta. Prima di allora, un insieme molto coerente e dignitoso di ricerche; dopo, negli ultimi venti-venticinque anni, un disorientamento. Che non è una semplice distorsione prospettica: al tempo stesso, qualcosa di più e di meno. Emerge un desiderio forte, potente di conformismo; uno schiacciamento; una compressione generalizzata; un’abrogazione dei contenuti e dei percorsi (attraverso la banalizzazione?). Non è solo il punto di vista: o meglio, considerata da qui, da questo punto spazio-temporale, la discontinuità si fa sempre più evidente e lampante. L’abdicazione (inconsapevole?): opere tutte uguali, tutte ugualmente modeste. In maniera disperante. Ma che cosa è successo? La timidezza; l’assenza di ambizione; la scomparsa del desiderio di voler fare le cose in grande, le cose grandi.
È interessante notare come il modello disfunzionale per eccellenza (la “città d’arte”: Firenze, Venezia) venga ostinatamente declinato anche su scala minore, nonostante l’inoltrarsi nella crisi dovrebbe di fatto suggerire l’adozione di politiche e pratiche molto più sostenibili, realistiche, efficaci. A livello elementare, la “cultura dell’emergenza” – una nostra specialità – fa sì che si opti costantemente per il breve termine, per la comoda rendita di posizione, per lo sfruttamento intensivo, invece che per il medio-lungo termine e per l’investimento cognitivo (faticoso, scomodo, a volte anche doloroso).
Un futuro scavato dentro il presente: impalcature, ponteggi, sostegni hanno costruito negli ultimi anni un’intera estetica. Non solo del terremoto, ma del presente italiano. L’aspetto del nostro presente, del nostro contemporaneo, è sostanzialmente questo: duro, distopico, cyberpunk, precario. L’elemento più instabile, ciò che sarebbe destinato a essere rimosso dopo la ricostruzione, è divenuto l’unico e ultimo elemento fisso dei nostri paesaggi urbani. Dei nostri paesaggi fisici e mentali.
Abbandonare, consegnare al degrado e alla rovina; lasciare che tutto crollasse, o fosse sul punto di crollare: questo è ciò che è avvenuto tra gli anni Novanta e oggi in Italia.
Il problema fondamentale, e il più grave, dei discorsi per così dire “professorali” sulla cultura è quello di non tenere conto della realtà. Del contesto di riferimento che si è venuto a creare negli ultimi decenni – a livello di produzione e di fruizione culturale, di percezione diffusa della cultura, di rapporto tra cultura e società. Cioè, si parte sempre dal presupposto che la realtà sociale abbia subìto una deviazione, una distorsione (che viene assunta come dato acquisito) – ma non ci si preoccupa minimamente di indagare, analizzare, scandagliare questa distorsione fondamentale come processo storico e culturale. Di conoscerla: per criticarla. Invece, si sorvola sul fenomeno, per ribadire contenuti che appartengono a un’epoca precedente, nella speranza che la loro pura e semplice riaffermazione (a livello di mero statement, di retorica) sia condizione sufficiente per la loro riappropriazione collettiva.
Non è così, ovviamente. Nel contesto di una gigantesca mutazione che ci riguarda – tutti: nessuno escluso – è perfettamente inutile continuare a descrivere “come eravamo” (nostalgia), ma piuttosto occorre descrivere in maniera approfondita, adeguata, precisa la mutazione stessa. Il suo funzionamento interno; le sue implicazioni; i riflessi sull’identità individuale e collettiva; le ripercussioni sul nostro spaziotempo esistenziale, sulle precondizioni che governano il vivere comune; gli schemi di comportamento che essa ha generato e che continua a generare.
Descrivere cioè l’intero sistema di relazioni e di influenze reciproche tra ideologia politico-economica, spazi urbani, immaginario culturale e psiche collettiva.
Christian Caliandro
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