Televendita parigina. Videoarte in asta
All’Hôtel Drouot di Parigi, tempio della commercializzazione dell’arte, sono arrivati 159 pezzi di videoarte. Sono prodotti da artisti storici come Stan Brackhage, Fred Forest, Tony Oursler, o da più giovani artisti come Gregory Chatonsky, Frank Ancel o Zenchen Liu. È un problema? L’opinione di Lorenzo Taiuti.
Il problema della commercializzazione del video era stato sollevato sin dalla sua nascita con le sperimentazioni di Nam June Paik e Wolf Vostell, e si era relativamente risolto con l’inserimento da parte di Vostell di piccoli monitor in tele-installazioni, mentre Paik li collocava in installazioni che indagavano le possibilità segniche e spettacolari del mezzo. Si pensava a un ruolo stabile del video, in quanto frammento “audiovisivo e cinetico”, all’interno dell’apparato espositivo delle arti visive. E invece ora riappare una focalizzazione del video come “videoarte”.
A parte le tante analisi sullo specifico video e sulla sua condizione di confine fra linguaggio e linguaggi, sono le tecnologie stesse a parlare. I video sono presentati in edizione limitatissima e in svariate forme: videotape, dvd, usb key, boxset, e a volte come mini-video-installazioni. La varietà dei supporti rende bene la sua qualità metamorfica e liminale. Ma il centro della notizia resta la commerciabilità dell’oggetto.
L’Hôtel Drouot è luogo carismatico e da lì sono passati Picasso e Hirst. Cosa accadrà alle fragili forme del video? Addio ai Creative Commons? Addio alle videoteche free su Youtube e Vimeo? Una volta che un supporto viene battezzato economicamente dal mercato cambia status, collocazione, senso. Il graffitismo di Banksy ne è un esempio evidente.
I prezzi vanno dai 50 ai 500 euro per un video di Barbara Kruger, e alla stessa cifra è quotato il video di Hervé All White Light, venduto in una chiavetta usb con “firma incisa”. Si sale a 1.000-1.500 euro per la cassetta mini-dv di Frank Ancel, mentre si opera di contrasti nel lavoro di Fred Forest: il video di una performance è venduto a tiratura di 120 e al prezzo di un euro l’uno, mentre il dvd “opera unica e originale” realizzato con Portapack Sony nel 1973 è quotato 100-120.000 euro.
Le regole della casa d’aste suonano quasi ironiche quando applicate a un medium simbolo finora di libertà e ricerca senza confini: “La SVV MCA si riserva d’interdire l’accesso alla sala di vendita a tutti i compratori potenziali per giusti motivi”. Si aprono nuovi orizzonti o si chiudono i cancelli di un mercato sempre meno sensibile ai propri prodotti? Come dicevano i vecchi serial televisivi degli Anni Cinquanta: “Only Time Will Tell”.
Lorenzo Taiuti
critico di arte e media
docente di architettura – università la sapienza di roma
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #18
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