È ancora l’era dei gruppi? Intervista con E il topo
Nasce come “artist run magazine”, e già dal nome è tutto un programma: E il topo. Poi si ferma e recentemente riparte di gran lena. Pubblicando un manifesto su un quotidiano. Coreano. Abbiamo cercato di far luce in questa intervista.
E il topo: ma che nome è?
Quale nome migliore se non elevarsi a quello di un roditore onnivoro, capace di adattarsi a ogni condizione di vita, furbissimo, intelligentissimo, insinuante, tenace, infingardo e supponente. Martire della sperimentazione e veterano della fuga. Animale socievole, ecco il rinforzo alla E di congiunzione, che vuole includere e coinvolgere.
Il 26 giugno è uscito il manifesto su un quotidiano… sudcoreano: perché?
E Il Topo, o alcuni dei Topisti, come è facile da immaginare, sono là dove il “rosicchiare” abbonda e le trappole scarseggiano, dove succede e c’è qualcosa. L’Asia, Corea compresa, è la nuova casa del mondo, e come ogni buon inquilino si è accorta subito del topo.
Okkay ora basta girarci attorno: hai poche righe per spiegare cos’è E Il Topo?
E Il Topo nasce agli inizi degli Anni Novanta come artist run magazine. Fondato sul coinvolgimento e l’inclusione, ha profeticamente registrato lo spirito e l’attitudine di un’intera generazione di artisti anticipando quelle che qualche anno dopo furono registrate come le esperienze dell’arte relazionale.
Nel 1996 interrompe la sua attività per rinascere nel 2012 con una serie di nuove pubblicazioni, aggregando intorno a sé giovani artisti per poi trasformarsi in movimento a cui aderiscono artisti, teorici e musicisti di almeno tre generazioni. Un movimento intergenerazionale che annovera oltre ai fondatori di E Il Topo: Armando della Vittoria, Gabriele Di Matteo, Piero Gatto, Franco Silvestro e vedovamazzei, i canadesi Iain Baxter e Guillaume Clermont, l’americano, Steve Piccolo, l’argentino Martin Gimenez, la brasiliana Debora Hirsch, i francesi Y Liver (David Liver e Rugiada Cadoni) e Frederick Liver, il musicista giapponese Gak Sato, due storici dell’arte come Marco Bazzini e il francese Fabien Pinaroli oltre agli italiani Aldo Spoldi, Mattia Barbieri, Francesco Fossati, Pietro Montone, Monica Mazzone, Luca Pozzi, Stefania Galegati e Francesco Locatelli.
Quanto di Fluxus c’è nel progetto?
Diremmo proprio nulla. Quello che E Il Topo potrebbe avere in comune con Fluxus, ma potremmo anche citare Dada, è l’energia che non è solo generazionale.
Artisti, musicisti, storici dell’arte ecc.: sembra un’avanguardia. Lo è?
E Il Topo non è né avanguardia né retroguardia. Forse di questi termini rimane solo la guardia, ovvero quel manipolo che osserva per vigilare, che non tenta di anticipare o di essere in prima linea ma piuttosto di essere presente e attivo in tutte le dinamiche del mondo. Come recita il primo punto del Manifesto: “E Il Topo, come ciechi, cerca l’eco dell’urlo che ha sollevato il mondo”.
Cos’ha fatto finora E Il topo?
Partiamo con un po’ di storia, dal ‘92 al ‘96 ha pubblicato 11 numeri della rivista coinvolgendo artisti del calibro di Art Club 2000, Stefano Arienti, Massimo Bartolini, Vanessa Beecroft, Maurizio Cattelan, Mark Dion, Dominique Gonzalez-Foerster, Grazia Toderi, tra gli altri, lo spirito e l’attitudine di una generazione di artisti sul punto della definitiva consacrazione internazionale di pubblico e critica. La rinascita avviene nel 2012 ad opera di alcuni giovani artisti e con l’acquisizione da parte del MoMA di tutti i numeri pubblicati per la sua collezione.
Oggi la nuova rivista, in continuità di grafica e di formato con la prima serie, viene presentata con performance del movimento a New York (White Box e Printed Matter), Berlino (Supportico Lopez), Parigi (Palais de Tokio con il Cneai, La Monnaie con Rob Pruit) e a Londra (Raven Row Gallery con Iain Baxter&). Nel 2013 il Cneai (Centro Nazionale Arti e Immagini) di Parigi ha dedicato una mostra storica a E Il Topo in collaborazione con la Biblioteca di Lione. Nel 2014 anche il Frans Masereel Centrum di Kasterlee in Belgio, dedica una mostra storica alla rivista con una performance del movimento. Attualmente siamo impegnati virtualmente negli eventi collaterali di Manifesta 10 a San Pietroburgo in Russia oltre che in alcuni festival.
Se mi viene in mente Maus quanto sono fuori strada?
Quando iniziarono le pubblicazioni della rivista nel 1992 uscì in Italia anche il secondo capitolo di questo romanzo a fumetti, ma fu solo un caso… tra Spiegelman e noi non c’è comunanza sull’idea del topo. Comunque ogni possibile altra paternità o casualità è possibile assumerla come nota al punto 10 del Manifesto.
Dove andrà a rosicchiare E il topo nel prossimo futuro?
Lo sai che i topi tendono a non farsi vedere e ad agire nella penombra. Detto questo, un’anticipazione per quanto riguarda il 2015. Saremo lontani dai banchetti dell’Expo milanese, – troppe trappole! – e consumeremo la prima grande mostra del movimento al Nuovo Museo d’Arte Contemporanea del Frac di Rennes in collaborazione Le Cabinet du Livre d’artiste dell’Università di Rennes.
Cosa fare, se ci si sente abbastanza roditori da voler entrare nel gruppo?
Che E Il Topo voglia coinvolgere è un’assoluta verità, arriva direttamente dal nucleo fondatore. Si diventa automaticamente Topista per conoscenza e frequentazione, laddove esistano le condizioni e si crei subito una sintonia. Adesso, però, siamo più interessati alla ricerca di altri gruppi con cui entrare in relazione e creare contatti. A noi piacerebbe che più che entrare ne E Il Topo, cosa comunque possibile, nascano altri gruppi con cui condividere l’art. 5 del nostro Manifesto: “Tutto ciò che i topisti possiedono non è loro benché ciò che non possiedono di fatto è loro”.
Marco Enrico Giacomelli
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