Georgia: Do It by Yourself
Qualche tempo fa vi abbiamo raccontato con un reportage la scena artistica nelle capitale dell’Azerbaijan, Baku. Ora siamo andati nel Paese confinante, la Georgia, per capire come si muove Tbilisi. Dove, invece del Governo, sono le istituzioni indipendenti e i centri privati che lavorano per far crescere la scena dell’arte contemporanea nel Paese e proiettarla a livello internazionale.
La notizia che il Ministero della Cultura georgiano ha cancellato la partecipazione nazionale alla Biennale di Architettura di Venezia ha sollevato preoccupazioni e critiche tra gli esponenti della scena artistica e culturale del Paese. La vicenda è evoluta con un colpo di scena dietro l’altro. Da ultimo l’artista Tamuna Chabashvili, l’antropologa Data Chigholashvili e l’architetta Gvantsa Nikolaishvili, insieme alle curatrici Lucrezia Cippitelli (protagonista su questo numero di Artribune Magazine della rubrica Brain Drain) e Katharina Stadler, hanno annunciato di voler completare il progetto Tblisi In/Sights. Lo hanno dichiarato sul blog Artleaks: “Lo presenteremo alla Nectar Gallery di Tbilisi nell’ottobre del 2014. Crediamo fermamente nella forza e nella struttura di questo progetto, e il fatto che la partecipazione alla Biennale sia stata cancellata ci ha deluso profondamente. Ma continueremo a lavorarci in autonomia”. Tblisi In/Sights, concepito intorno al tema della Biennale, Fundamentals, era piaciuto ai curatori, così come tanti consensi li aveva raccolti la Loggia Kamikaze di Gio Sumbadze e Thea Djordjadze, presentata nell’ambito della 55. Biennale d’Arte del 2013. Esempi entrambi di creatività, professionalità e visione internazionale.
Questa volta però il Padiglione della Georgia non sarà visitabile a Venezia. Il progetto prevedeva la costruzione di uno spazio d’interazione fisica con il territorio: l’interno di una casa e un archivio personale, un progetto in divenire, inserito perfettamente nel territorio veneziano, frutto di una residenza in loco di alcuni mesi. Il Ministero della Cultura aveva previsto, in aggiunta, la collaborazione dell’artista Khatuna Khabuliani con la sua Mirror Facade Structure. Adesso gli artisti si domandano dove finiranno i fondi che erano stati allocati – 60mila euro, in parte messi assieme dalla stessa squadra di artisti e curatori – e chiedono spiegazioni: “Le comunicazioni estremamente vaghe del ministro hanno procurato molte tensioni: un approccio più chiaro e un interesse generale a collaborare trasversalmente per contribuire al successo del Padiglione della Georgia avrebbe portato a un grande risultato a livello internazionale”.
“Incidenti” come questo sono tipici di contesti politici e culturali complessi e in profonda trasformazione. Per la scena artistica di un Paese come la Georgia, che ha ottenuto l’indipendenza nel 1991 e che ha vissuto per anni nella totale mancanza di stimoli per la creatività individuale, quella che si sta prospettando è la sfida più grande: affrancarsi da un periodo di profonda stasi per recuperare fiducia e ricominciare da capo. La sua capitale, Tbilisi, è bella e caotica: graziosamente classica in certi quartieri, brutalmente comunista in molti edifici pubblici e strutture residenziali, tremendamente decadente e affascinante al tempo stesso in molti angoli e piazzette del centro, piena di parchi e viali alberati. A visitarla si respira una carica di ottimismo, grazie a un popolo friendly e orientato al piacere (è risaputo che le cene conviviali a casa di una famiglia georgiana possono durare ore e ore, tra un gaumardjos, un brindisi, e l’altro).
Dieci anni fa l’elettricità qui era un lusso, oggi le sue nuove architetture di notte scintillano di migliaia di luci al led: come il Ponte della Pace, l’opera pubblica diventata il simbolo del nuovo corso del Paese, che nel cuore della città congiunge le due sponde del fiume Mtkvari, firmata dall’architetto italiano Michele De Lucchi, che a Tbilisi ha progettato anche il nuovo palazzo presidenziale e il Ministero degli Interni. I cantieri sono ovunque, come se la capitale si stesse preparando per una edizione delle Olimpiadi. Le strade ventose della città vecchia pullulano di bar e ristoranti, come quelli di Rue Chardin, diventata in pochi mesi una delle strade più alla moda della città, in cui gli abitanti di Tbilisi si mescolano ai turisti e agli internazionali che lavorano qui, in un’atmosfera da movida operosa.
La faccia del Paese è stata trasformata nell’arco di una notte, grazie all’ascesa al potere dell’ex premier Misha Saakashvili e alla pacifica Rivoluzione delle Rose, che nel 2003 ha rimpiazzato il leader di lungo corso Shevardnaze. Oggi, sei anni dopo la guerra tra Russia e Georgia, scoppiata per placare le regioni secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud, il Paese continua nel suo tortuoso percorso di modernizzazione. “Con una posizione geopolitica di importanza strategica, crocevia tra Europa, Russia e Asia centrale, per la Georgia questo è il momento di fare delle scelte”, scriveva il New York Times qualche mese fa, “di portare avanti riforme che mostrino in modo trasparente la capacità di governare, e un’apertura più ampia a collaborazioni in ambito economico e culturale con l’Occidente”. Ma le scelte politico-culturali non sembrano ancora andare in questa direzione, e l’episodio del Padiglione alla Biennale non è isolato. Sempre il Ministro della Cultura ha autorizzato di recente la compagnia di proprietà russa RMG Gold a fare escavazioni nel sud della Georgia, a Sakdrisi-Kachagiani, sito considerato dagli archeologi come una delle miniere d’oro più antiche al mondo, con resti e oggetti risalenti al III millennio a.C., e questa decisione ha portato alla rimozione del vice-ministro della cultura, Marine Mizandari, che assieme ad artisti ed attivisti come Group Bouillon, Kote Jincharadze si stava battendo per preservare il luogo.
La mancanza d’attenzione da parte delle istituzioni nel supportare i progetti culturali e artistici e nel sostegno agli spazi espositivi è il problema più macroscopico. È infatti in gran parte grazie a iniziative personali di artisti e curatori, a istituzioni autonome e indipendenti che la scena dell’arte contemporanea in Georgia si sta mantenendo viva. Uno dei pochi musei pubblici, la National Gallery di Tbilisi, è stata chiusa a lungo, e dalla sua riapertura manca d’investimenti in nuove acquisizioni. Possiede una buona collezione di opere dei primi anni del XX secolo, tra cui una vasta selezione di dipinti del primitivista Niko Pirosmani, celebre per aver affrescato le facciate delle case della città vecchia con scene di tavolate conviviali.
Una delle più importanti iniziative private nata negli ultimi anni è il CCAT – Centre for Contemporary Art Tblisi. Fondato e diretto dal curatore e artista Wato Tsereteli, presenta un programma di mostre, offre residenze ad artisti e corsi per studenti in varie discipline. “Quando ho cominciato a interessarmi al mondo dell’arte qui non c’era niente, nessun supporto a livello istituzionale”, ci racconta Wato durante la nostra visita. Dopo aver aperto un centro dedicato alla fotografia e vari altri tentativi, nel 2007 è riuscito a ottenere da una banca privata la bellissima location lungo le rive del fiume Mtkvari dove sorge attualmente il centro e che un tempo ospitava un’azienda di servizi. Assieme al suo team ha raccolto fondi da artisti e agenzie governative internazionali, come la Swiss Agency for Development and Cooperation, per poter risistemare gli spazi e aprire il centro. “Essere riusciti ad avviare un’iniziativa privata, senza il supporto del governo, ma che non fosse qualcosa di underground, è stato motivo di grande soddisfazione. Ho sentito per la prima volta che il termine democrazia non ha solo a che vedere con le elezioni, ma piuttosto con la responsabilità e l’impegno del cittadino, di tutti noi, nel costruire qualcosa di importante per la società”. Mentre visitiamo il centro, costituito da una galleria espositiva al piano terra e da aule e stanze dedicate ai corsi e alle residenze al primo piano, Wato ci racconta che il CCAT si focalizza su un programma di mostre ma continua a investire molto su progetti di formazione, con una struttura di master di diversi livelli in più discipline. “La parte di educazione per adulti viene finanziata da un’organizzazione tedesca, la TVV International”, continua Wato, “mentre un’organizzazione privata austriaca supporta le attività di ricerca del centro, e ora stiamo cercando di ottenere dal Ministero della Cultura un supporto costante su alcuni progetti, e dovremmo riuscirci. Per me questo centro è un modello di come l’arte e l’educazione debbano andare di pari passo, di come un progetto universitario possa essere collegato a un museo. Una regola del centro è che ogni artista che viene qui a fare una residenza debba in qualche modo essere coinvolto anche nell’insegnamento dei corsi dei master”. La formazione accademica pubblica è infatti unanimemente considerata scarsa e inefficace: “A Tblisi abbiamo un’Accademia ma purtroppo gli studenti fanno solamente lezioni teoriche, senza attività pratica, e tutto in modo totalmente decontestualizzato, senza studiare la storia, la politica, la geografia del Paese. È uno spreco di energia e di soldi, e non porta gli studenti a sviluppare una coscienza reale delle cose”.
La pensa allo stesso modo Nini Palavandishvili, curatrice e una delle menti dietro a GeoAIR, istituzione fondata nel 2003 e altro fiore all’occhiello tra le realtà indipendenti che operano nel Paese. “L’Accademia non invoglia gli studenti ad aprirsi, ad approfondire l’arte contemporanea di altri Paesi, a essere curiosi. Nonostante oggi grazie a Internet ognuno possa capire cosa gli accade intorno, questo comunque non basta. Purtroppo agli opening delle mostre in città, agli workshop che vengono organizzati, la partecipazione è piuttosto limitata. Forse la questione è che in Georgia l’arte contemporanea è un ambito ancora di nicchia”. GeoAIR sta facendo la sua parte per ampliare gli orizzonti. Nata da un’idea dall’artista Sophia Tabatadze, con sede in un piccolo appartamento di una via secondaria poco dietro Rustaveli Avenue, il viale più elegante della città, GeoAIR porta avanti diverse attività: organizza un programma di residenze d’artista, in partnership con diverse altre istituzioni internazionali, ha strutturato e aggiorna l’unico archivio esistente di tutti gli artisti georgiani contemporanei, realizza progetti artistici legati agli spazi pubblici di Tblisi, con un approccio socioantropologico e partecipativo. Anche GeoAIR è finanziata da una rete di partnership internazionali: “Per le nostre residenze collaboriamo con istituzioni olandesi e con la sede georgiana della Soros Foundation. Cerchiamo di far interagire quanto più possibile gli artisti internazionali che invitiamo con gli artisti e i curatori locali: cerchiamo di far nascere collaborazioni, perché in molti casi sono gli sviluppi e la sostenibilità gli aspetti più interessanti”.
Se in Georgia – a differenza dell’Azerbaijan, che sta vivendo una fase di forti investimenti nell’arte contemporanea – mancano fondi e anche la consapevolezza del governo dell’importanza di sostenere la cultura, nei fatti non esistono nemmeno leggi che regolino le donazioni culturali e le possibili detrazioni per la sponsorizzazione dell’arte. “In questa prospettiva”, commenta Wato Tsereteli, “è un nostro dovere articolare bene i progetti, per riuscire a far capire, non solo ai funzionari governativi ma anche ai privati, la loro importanza, e il perché dovrebbero finanziare iniziative artistiche. In generale il livello professionale è ancora basso, siamo un Paese giovane e da poco indipedente. C’è ancora bisogno di tempo per renderci conto delle nostre potenzialità, mettere assieme buone proposte e far capire l’importanza della cultura”.
Nel 2011 l’artista e fotografo Guram Tsibakhashvili, frustrato per la mancanza di spazi dedicati all’arte contemporanea, ha deciso di costruire un museo con scatole di cartone, un’installazione e al tempo stesso un atto di protesta contro la mancanza d’interesse e investimento del governo nell’arte contemporanea. Il fatto che Tblisi non abbia un museo permanente di arte contemporanea è infatti uno dei nodi critici che la città e il sistema culturale devono affrontare. “Mi piacerebbe tanto che anche qui ci fossero spazi espositivi come l’Heydar Aliyev Centerdi Baku”, ci racconta Nini Palandashvili, “ma non credo che in Georgia ce ne sia bisogno. Ci sono così tanti spazi che potrebbero essere utilizzati, non occorre avere una nuova architettura firmata da una star come Zaha Hadid. Per me è molto importante investire fondi in contenuti, nella crescita dei giovani, piuttosto che in bellissime architetture. Meglio riconvertire un edificio dell’epoca sovietica. Anche perché a cosa serve avere un’architettura scintillante se poi non hai contenuti da esporre?”. Dal canto suo, Wato Tsereteli aggiunge: “Penso che prima di tutto occorra mettere assieme una vera collezione, cercando di recuperare tutta l’arte dagli Anni Ottanta agli Anni Zero, che è andata perduta o che è danneggiata, e successivamente trovare un luogo dove esporla. Sono per un’evoluzione graduale, non mi piacerebbe che ci fosse a Tblisi un museo importante solo per la sua architettura”. E poi manca una riflessione analitica sulla storia recente e sulle pratiche artistiche del presente: “Un museo servirebbe anche a conservare le opere degli artisti georgiani più importanti degli ultimi decenni. Permetterebbe di fare ricerche e di avere un approccio più analitico al fare arte”, aggiunge Nini. “Anche perché non esistono ancora riviste di arte contemporanea e una documentazione in lingua georgiana che permetta ai giovani di fare ricerche e approfondire”.
Alla nostra domanda sul ruolo dell’arte contemporanea oggi in Georgia, Wato ci risponde che “il problema, come in tutto il Caucaso, è che durante il regime sovietico non esisteva un pensiero indipendente. Per me il ruolo dell’arte contemporanea oggi è proprio quello di aiutare l’individuo a recuperare fiducia in se stesso e a capire che può fare anche senza l’aiuto del governo, con la creatività e le idee”. Le attività di istituzioni autonome come il CCAT e GeoAir sono un modo per dimostrare come portare avanti un’iniziativa privata in modo creativo. Rispetto alla situazione del vicino Azerbaijan, in Georgia dunque le condizioni della cultura e dell’arte contemporanea sono ben diverse: “È vero che entrambi i Paesi hanno un ingombrante passato sovietico, ma la scena dell’arte contemporanea azera è in grande evoluzione soprattutto grazie a forti investimenti statali in musei e fondazioni”, conclude la curatrice Nini Palavandishvili, “e non esiste arte contemporanea che non sia in qualche modo legata a iniziative governative. Qui possiamo dire di essere più liberi, ma c’è ancora tanto da fare”.
Vista in questa prospettiva, la Georgia è un paese particolarmente stimolante: “Siamo privilegiati”, conclude Wato Tresteli, “abbiamo ancora tutto da costruire. In Europa avete tutto, avete tradizioni millenarie che per certi aspetti possono essere anche una prigione. Da noi questo non c’è, dobbiamo ricominciare da capo, e abbiamo l’occasione di sviluppare un nostro concetto di arte”.
IL CCAT E LA FORMAZIONE ALTERNATIVA
Il CCAT è un’organizzazione non profit indipendente, il cui obiettivo principale è sostenere lo sviluppo dell’arte contemporanea in Georgia e in tutto il Caucaso. Diretto e fondato nel 2007 da Wato Tsereteli, curatore ma anche artista e musicista appassionato. “All’inizio abbiamo aperto un centro di fotografia dove abbiamo organizzato diverse mostre anche con artisti europei”, racconta Wato, “assieme ad attività educative. Nel 2005 credevo che avrebbe funzionato meglio un contesto più informale, e allora ho aperto un bar dove facevamo party ogni weekend, e al tempo stesso mostre sia di arte che di fotografia. Poi nel 2006, mentre ero a Bucarest per un seminario nel palazzo di Ceaușescu,ho incontrato diversi curatori e personaggi del mondo dell’arte dell’Est Europa che mi raccontavano di avere ottenuto spazi gratuitamente da privati. E ho pensato che potevo farlo anch’io: è così che ho ottenuto da una banca l’attuale sede del CCAT, lungo le rive del fiume Mtkvari, nel cuore di Tblisi”.
Il centro agisce come hub in Georgia, ponte di collegamento tra organizzazioni con gli stessi obiettivi in altre parti del mondo, e vuole stimolare la ricerca nell’ambito della cultura visiva contemporanea. “Uno dei nostri progetti più importanti”, prosegue Tsereteli, “è focalizzato sul recupero dell’arte rimossa in epoca sovietica e in gran parte dimenticata a causa della censura. È tempo per la Georgia di iniziare a confrontarsi con il suo passato travagliato”.
Le principali attività del centro sono quattro: espositiva, di ricerca, networking e formazione. Nella galleria di 150 mq si organizzano fino a otto mostre l’anno e un progetto audio-video ogni quattro mesi. Uno dei focus prioritari al momento per il CCAT è l’educazione degli studenti, attraverso corsi che il fondatore definisce Informal Masters, con lo scopo di fornire una formazione alternativa all’Accedemia d’arte di Tblisi, considerata troppo teorica e spesso decontestualizzata. Al momento sono attivi sei corsi: mediation and context production, audio & sound art, fotografia, pittura e disegno, videoarte, scrittura critica.
Nelle intenzioni del fondatore e della sua squadra, il CCAT dovrebbe diventare sempre di più una risorsa vitale e imprescindibile per la scena culturale di Tbilisi. L’entusiasmo del team, gli spazi e i riconoscimenti che stanno ottenendo promettono bene.
GEOAIR: L’AFFACCIO CAUCASICO SUL MONDO
GeoAIR è stata fondata nel 2003 a Tblisi da Sophia Tabatadze, Nini Palavandishvili, Sophia Lapiashvili e Data Chigholashvili. L’organizzazione gestisce e sostiene progetti di scambio internazionale con l’obiettivo di rafforzare il mondo dell’arte in Georgia e in tutto il Caucaso, riuniendo artisti provenienti da diversi background culturali e cercando contesti di progettualità comune.
“Lavoriamo insieme ai soggetti e alle organizzazioni internazionali che condividono i nostri stessi obiettivi”, racconta una delle fondatrici, Nini Palavandishvili. “È un progetto multidisciplinare che prevede la salvaguardia dei monumenti storici, per i quali coinvolgiamo ad esempio studenti di antropologia; realizziamo poi interventi in spazi pubblici, con i quali cerchiamo di comunicare con la gente e coinvolgerla il più possibile. Oltre a questo, dal 2010 abbiamo attivato un importante progetto di residenze d’artista, come evoluzione naturale del nostro network artistico”. Per queste ultime, GeoAIR collabora con istituzioni olandesi come il Prins Claus Fund, con la Soros Foundation – Open Institute Georgia, con istituzioni francesi e austriache, e offre la possibilità ad artisti, curatori e produttori di cultura di vivere per un certo periodo a Tbilisi e utilizzare questa piattaforma come punto di partenza per costruire reti, incontrare artisti, istituzioni culturali e curatori provenienti dalla regione.
“Non siamo semplicemente un ostello ma agiamo da mediatori, da facilitatori di contatti, che vengono poi sviluppati, cercando di rendere il network sempre più sostenibile. Recentemente abbiamo collaborato per la prima volta anche con l’Italia, con il festival ‘Pulse’ di Schio, con cui realizzeremo uno scambio”. GeoAIR ha realizzato anche il primo archivio-database in assoluto degli artisti georgiani e del Caucaso: si chiama Archidrome Contemporary Art Archive e serve da luogo virtuale e fisico di presentazione degli artisti e dei loro portfolio: un luogo di ricerca, incontri, dibattiti e presentazioni pubbliche.
Tra i vari progetti a cui l’organizzazione lavora in questo momento c’è Cooking Imaginations. Tbilisi Migrant Stories, sul tema dello sradicamento e della vita delle comunità di immigrati di Tbilisi, che attraverso il medium del cibo e delle tradizioni culinarie raccontano le loro storie, con interviste, cooking show e interventi in televisione. Mentre per il progetto Spaces, dedicato agli spazi pubblici, GeoAir sta mappando i mosaici dell’era comunista a rischio di distruzione e scomparsa: un lavoro intenso di ricerca e documentazione visiva delle opere e degli edifici del Modernismo sovietico; un progetto per il quale hanno coinvolto l’artista e ricercatore ucraino Oleksandr Burlaka.
“GeoAIR”, racconta con entusiasmo Nini, “è una finestra che ti dà l’opportunità di guardare da questa parte della barricata, per condividere esperienze e attivare un confronto che possa essere di beneficio sia agli artisti internazionali interessati a questa zona del mondo, sia ai curatori, agli artisti e al pubblico locale”.
Lisa Chiari e Roberto Ruta
www.cca.ge
geoair.blogspot.com
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19
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