Giorgio Faletti, attore, pittore e romanziere. Addio, signor tenente
Si è spento, a Torino, in ospedale. Dopo aver combattuto il suo male, come sempre aveva combattuto le sfide della vita e del lavoro. Eclettico, talentuoso, ironico e brillante, Giorgio Faletti aveva dedicato alla scrittura, e poi anche alla pittura, gli ultimi quindici anni di passione e di fatica…
“Non sono presente alla conferenza stampa di presentazione di Passepartout. Purtroppo a volte la vita ci mette molto più ingegno e molto più impegno nel mettere i bastoni fra le ruote piuttosto che nell’aiutare gli essere umani a realizzare i propri desideri. In questo momento sono all’estero, dove mi sto curando per un guaio di salute piuttosto rilevante e che spero si risolva nel migliore dei modi”. Parole scritte nel maggio scorso, da Giorgio Faletti. Parole con cui l’attore, scrittore e musicista piemontese, nominato presidente della Biblioteca Astense nel settembre 2012, iniziava una lettera di scuse, scritta da una clinica di Los Angeles: assente alla presentazione di un festival della sua amata Asti; assente per malattia; assente perché i desideri, a volte, sono vinti dal destino.
E quel destino è arrivato, dopo tre mesi esatti, mettendo più di qualche bastone tra le ruote. Mettendo la parole fine. Come nel romanzo più crudele. Giorgio Faletti, outsider assoluto e artista poliedrico, è morto oggi, 4 luglio, alle Molinette di Torino. Aveva solo 63 anni, e il peso della malattia, lui, lo conosceva bene. Da un po’ di tempo aveva scoperto di avere un cancro e l’aveva combattuto, con tenacia, rispondendo alla morte con l’ostinazione della vita. Ma quella sensazione di stare sul limite, di doversi riacciuffare per i capelli, di dover far fronte alla paura, l’aveva già scontata, molti anni fa. All’indomani dell’uscita del suo primo libro, Faletti venne colpito da un ictus: era il 2002 e alla gioia del successo la vita rispose con un blackout improvviso: “Il momento in cui caddi a terra, l’ episodio patologico, è una cosa che in qualche modo scivola via. Perché è un lampo. Un mal di testa e in un istante il buio. Dopo mi sono svegliato in una sala di rianimazione accanto ad altre persone intubate, in coma. Le macchine facevano un casino indiavolato e io mi ricordo di aver pensato: “Ma dove mi hanno ricoverato, a Las Vegas, in mezzo alle slot machine?“. Eccola, la sua ironia. Che era anche la sua forza, misura di una intelligenza profonda e di una sintesi straordinaria tra la consapevolezza – anche dolorosa – delle cose e la leggerezza con cui scorrono, in certi casi, il desiderio, il sentimento, la volontà, l’istinto vitale.
Era così, Giorgio Faletti. Pieno di contraddizioni, pieno di talenti. E proprio l’ironia fu il suo marchio di riconoscimento, agli inizi di una carriera sorprendente. Debuttò come attore e cabarettista negli anni Settanta, in una Milano che fu fucina di eccellenze e di amicizie: Diego Abatantuono, Teo Teocoli, Paolo Rossi, Massimo Boldi, tutti passati da celebre locale Derby. Poi, negli anni Ottanta, arrivò il successo popolare, grazie all’indimenticabile Drive In di Antonio Ricci, trasmissione che segnò un’epoca nel bene e nel male. Interpretava il personaggio di Vito Catozzo, un poliziotto meridionale ingenuo, panciuto e un po’ sbruffone. Ma non aveva voglia di fare il caratterista a vita, Faletti. Che dentro aveva il fuoco, l’inquietudine, moltissime energie da spendere. Ed eccolo a Sanremo, venti anni fa, nelle vesti di cantante. A parlare, guarda un po’, di un giovane in divisa: Signor Tenente, inedito rap drammatico ispirato alle stragi di Capaci e Via d’Amelio, è la voce di un appuntato di vent’anni, che dopo i fatti di mafia siciliani confessa la sua paura, con una genuinità disarmante. Il pezzo, che ha un testo bellissimo e un ritmo ipnotico, entra nelle teste e nei ricordi di tutti e diventa, in un lampo, un’icona della musica pop italiana. L’album in cui fu inserito, “Come un cartone animato”, vinse un disco di platino.
Attore e musicista, ma anche scrittore. La terza vita di Giorgio è tutta dedicata a questo nuovo innamoramento: la letteratura. Io Uccido, il suo primo thriller, diventa subito un best seller, apprezzato dalla critica, amatissimo dal pubblico. Ma non fu uno di quei casi in cui un divo del piccolo schermo si mette a scrivere e sforna un libretto, per hobby o per vanità. Era davvero l’inizio di un’altra carriera, con quattro milioni di copie vendute, traduzioni in venticinque lingue e riconoscimenti internazionali. Giorgio Faletti, con la sua scrittura avvincente, tra il giallo psicologico e il noir metropolitano, era un romanziere. Da allora avrebbe pubblicato, sempre per Baldini & Castoldi, Niente di vero tranne gli occhi (2004), Fuori da un evidente destino (2006), Io sono Dio (2009), Appunti di un venditore di donne (2010) e poi, nel 2011 Tre atti e due tempi e nel 2012 Da quando a ora, stavolta per Einaudi.
Poi, un’altra folgorazione. Infaticabile, attaccato alla vita grazie a una curiosità che si nutriva di coraggio, Faletti qualche tempo fa si scopre pittore. La quarta vita di un eterno debuttante, come gli piaceva dire: “La cosa peggiore che puoi fare a te stesso è porti dei limiti. A volte le cose succedono per caso, ma bisogna sentirsi liberi mentalmente”. Così raccontava, in una recente intervista a Repubblica, aggiungendo: “Dipingere mi ha sempre incuriosito, anche se non osavo. Guardavo con ammirazione chi sa usare matite e pennelli. Poi ho scoperto che mi piaceva davvero, davanti a una tela mi sento libero, posso esprimermi con i colori, giocare con i collage, usare i giornali, gli animaletti di plastica. Quando vedo un negozio di giocattoli entro sempre a curiosare“. Esprit ludico, qualche grammo di incoscienza, allergia alla noia e ancora desiderio. Tenendo sempre i canali aperti, verso il mondo. Ne vengono fuori piccole tele delicate e insieme energiche, in cui la gestualità guida l’esercizio di un equilibrio sottile tra astrazione e riferimenti iconografici: bandiere, aeroplanini, zebre giocattolo, spartiti musicali, tracce, incastri, evocazioni. E una serie di mostre, con bravi curatori come Nicola Davide Angerame e Martina Corgnati.
Giorgio Faletti è stato un combattente, uno che ha vissuto la sua vocazione a 360 gradi, fuori dai cliché e oltre l’intorpidimento della ripetizione stanca. Finché giunse la malattia, a mettersi di traverso. Un uomo amabile a amato, con quella fierezza e quella malinconia, con la dolcezza e la severità che gli si disegnavano in viso, tra gli occhi azzurri e il sorriso autentico. Occhi pieni di consapevolezza. “A volte immaginare la verità è molto peggio che sapere una brutta verità. La certezza può essere dolore. L’incertezza è pura agonia”: sono le sue ultime parole, scritte ieri, su Facebook, da una stanza d’ospedale. E stavolta, il blackout, è stato fatale: nessun risveglio, in un parco di slot machine a Las Vegas. Migliaia i messaggi di cordoglio che viaggiano sul web, in queste ore. L’agonia è finita, ma le belle storie raccontate restano, insieme all’amore delle persone.
Così cantava, vent’anni fa, nella pelle di quel giovane carabiniere, ad insegnare il senso della paura e della gioia, insieme; e così canterebbe oggi, ancora, sottovoce: “Forse possiamo cambiarla ma è l’unica che c’è / Questa vita di stracci e sorrisi e di mezze parole / Fosse cent’anni o duecento è un attimo che va / Fosse di un attimo appena sarebbe com’è / Tutti vestiti di vento ad inseguirci nel sole /Tutti aggrappati ad un filo e non sappiamo dove”.
Helga Marsala
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