La calura estiva che svuota le città stana anche l’urban art. Memori di Tour Paris 13, grattacielo parigino destinato all’abbattimento e temporaneamente “occupato” dall’opera di ottanta street artist – la storia ve l’abbiamo raccontata in presa diretta -, una decina di writer della penisola ha dato vita a Torret 14.Set: un casolare disabitato nella campagna di Sant’Agata de’ Goti, precisamente in località Torretta (da cui l’ironia toponimica del progetto).
Ma può un’arte urbana trasferirsi in campagna, acquisendo stabili suggestioni, o si tratta solo di una villeggiatura? “Non la chiamerei villeggiatura, perché abbiamo campeggiato in maniera molto spartana”, scherza biodpi, ovvero il saticulano Fabio della Ratta, che ha organizzato l’evento in collaborazione con South Italy Street Art e Maleventum Consortium. “Alle spalle c’è l’esperienza del progetto ‘Ortika’, la cui prima edizione, nel 2007, aveva proprio questo tema. L’urban art si appropria di spazi consumati dal loro stesso grigiore, questo può avvenire anche in campagna, dove si annida gran parte della nostra storia”.
L’insufficienza esistenziale che preme sui muri dei sobborghi americani chiedendo memoria, spingendo il writer a fare del suo nome forma in una letterale rivolta all’anonimato, in Italia si fa sentire tra vecchie masserie appenniniche, premendo sulle pareti cerebrali di una nazione de-agriculturalizzata. “Sul gruppo Facebook attraverso il quale ho organizzato l’evento ho postato delle foto dei vecchi abitanti della casa e di parenti. Non ho chiesto o imposto a nessuno degli artisti di usarle, ma alcune hanno subito catalizzato l’attenzione”.È così che gli avi di biodpi, o quantomeno le loro immagini, sono diventati il tramite tra la vecchia casa solitaria e la nuova occupazione iconica.
“È stato bello sapere che in questi giorni alcuni vicini e parenti dei miei bisnonni, incuriositi, si siano recati a visitare la casa”.Sì, ma cosa direbbero i bisnonni guardando l’operaio con il birillo segnaletico sulla parete proprio di fronte a loro? “Credo che, dopo aver raccontato loro la situazione dei lavoratori ‘contemporanei’, si sarebbero fatti una grassa e forse amara risata. Per loro, che vivevano di un’agricoltura di sussistenza, il concetto di alienazione non esisteva. Poco cibo, ma anche pochi birilli…”.
Chiediamo infine a biodpi cosa gli piacerebbe diventasse Torret 14 nel futuro. La struttura è in grado di ospitare attività o necessiterebbe di una ristrutturazione in grado di mettere a rischio l’esperimento artistico? “Vorrei organizzare a fine estate un aperitivo ‘radical-local’, con tanto di aglianico e prodotti della zona, magari abbinati a un reading che faccia risuonare le opere e la casa… Nel futuro mi piacerebbe che Torret diventasse una residenza artistica per tipi rigorosamente spartani, amanti della natura e del vivere ‘slow’. Per quanto riguarda la struttura, piuttosto solida, mio nonno mi raccontava fieramente che è stata costruita da un muratore/architetto con l’aiuto di parenti e vicini. La casa è frutto di una sapienza rustica ma antica, quindi credo che ci voglia molto più di un aperitivo per buttarla giù”.
Alessandro Paolo Lombardo
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati