Un’arte molto animata. Due o tre cose sull’animazione italiana d’autore oggi
C’è sempre molta diffidenza verso il cinema d’animazione in generale. Troppi credono sia un genere “per bambini” o comunque minore rispetto al cinema “dal vero”. C’è perfino chi confonde ingenuamente computer animation 3d (la cosiddetta CGI, ovvero immagine generata al computer) e film a pupazzi animati. Certo, l’exploit della Pixar ha cambiato molto le cose, avvicinando anche il pubblico degli adulti all’immaginario dell’animazione. Per non parlare del fatto che la grande mostra sulla Pixar allestita qualche anno fa al MoMA di New York ha probabilmente fatto breccia nel mondo dell’arte contemporanea. E in Italia?
Anche nel nostro Paese esiste, accanto all’animazione mainstream, quindi rivolta in particolare ai bambini o di carattere televisivo (le Winx per intenderci, create da Straffi e dalla sua Rainbow, industria del cartoon ubicata nelle Marche), una vasta produzione di film d’autore e/o sperimentali, soprattutto a corto metraggio. Questo tipo di animazione è quasi sempre autofinanziata, utilizza svariate tecniche – da quelle più semplici e artigianali ai software 2d e 3d – può affondare le sue radici nel campo dell’illustrazione oppure avere sbocchi nel mondo delle arti visive o, ancora, essere applicata alle più diverse forme audiovisive: dal video musicale allo spot pubblicitario, dalla sigla televisiva ai titoli di testa dei film. Purtroppo è un’animazione ancora troppo poco conosciuta, se non nei festival di settore, dunque scarsamente diffusa dai network televisivi.
Molti di questi raffinati autori si sono formati all’ISA di Urbino, che ha appena compiuto sessant’anni e che ha sfornato decine e decine di animatori: e infatti si può parlare in qualche modo di “scuola marchigiana”. Altri provengono invece dal Centro Sperimentale di Cinematografia, sia quello di Roma quando vi insegnava ancora Giulio Gianini, sia quello del Piemonte, oggi molto attivo, da cui per esempio è uscito Donato Sansone, uno dei più promettenti creatori (andatevi a vedere Videogioco: a loop experiment su Vimeo).
È negli Anni Novanta che si è consumata la “rottura” con le vecchie generazioni e con il modello “bozzettiano” del disegno animato nostrano. Dal 2000 in poi si sono consolidate le filmografie dei giovani autori già in attività e si sono affacciate altre figure sulla scena. Tra i più noti, anche a livello internazionale, ricordiamo: Gianluigi Toccafondo, famoso per le copertine dei libri Fandango (e la sigla della casa di produzione) ma autore anche di intensi cortometraggi come Essere morti o essere vivi è la stessa cosa o La piccola Russia, caratterizzati da un mix tra fotografico e pittorico, dovuto all’intervento cromatico su fotocopie; Simone Massi, il cui immaginario rurale intriso di sospensioni melodrammatiche e scandito da micronarrazioni è invece visualizzato attraverso un tratto preferibilmente in bianco e nero (matita, china, puntasecca); la pisana Ursula Ferrara, acclamata diverse volte a Cannes con le sue animazioni colorate e minimali (ma lo sperimentale News del 2006, basato su tecniche miste, resta forse la sua opera migliore); di grande valore è anche Roberto Catani, animatore e docente alla scuola di Urbino, premiato all’ultimo festival di Annecy (il più grande festival del settore) con La testa tra le nuvole, affresco crudo e poetico sulle angosce scolastiche di un bambino.
Nel campo del disegno animato eccellono poi una serie di autrici come Claudia Muratori – che ha esordito negli Anni Novanta e i cui film fondono disegno ed elaborazione al computer –, nonché le più giovani Magda Guidi, Mara Cerri (autrici in tandem di Via Curiel 8), Alessia Travaglini, Virginia Mori, Julia Gromskaya (russa ma ormai italiana di adozione) e altre: i loro lavori sono sostenuti da un’eleganza del tratto e da una vivacità ritmica e cromatica, costituita dalla simulazione dei movimenti di macchina disegnati su carta o dai giochi prospettici, dal flusso di un’unica composizione senza stacchi che si modifica continuamente (una veduta che ne contiene un’altra e poi ancora un’altra): uno sguardo vertiginoso e seduttivo che si rivolge in parte a riconosciuti maestri dell’animazione internazionale come lo svizzero Georges Schwizgebel.
C’è poi chi lavora con la stop-motion, animando oggetti o piccole sculture (Beatrice Pucci), oppure lavora sulla successione di immagini fotografiche a lunga esposizione (posa B) ritoccate graficamente, come Basmati, un duo composto dal bolognese Saul Saguatti e dalla francese Audrey Coianitz, molto attivi nel campo della live performance e del vjing. Due autori come Virgilio Villoresi e Cristina Diana Seresini (entrambi operanti a Milano) hanno invece portato il proprio know-how sperimentale nei territori dell’advertisement: il primo crea teatrini tridimensionali popolati anche da sagome fotografiche bidimensionali, rielaborando i dispositivi del pre-cinema (dallo zootropio all’ombrocinema); la seconda si muove con grande abilità tra animazione tradizionale e compositing digitale e si è specializzata nei credits per il cinema, campo colpevolmente poco esplorato. Entrambi hanno realizzato anche videoclip, soprattutto Villoresi (per Capossela, Riva Starr o John Mayer), ma la sfilza di creativi dediti alla videomusica è sterminata e va da Bruno D’Elia ai Direct2Brain, da Michele Bernardi al gruppo Stranemani.
Potrebbe sembrare che l’animazione sia soprattutto ubicata nel centro-nord ma, scendendo a sud di Firenze, troviamo i romani Leonardo Carrano – il cui ultimo film dipinto a mano su pellicola, jazz for a Massacre (realizzato insieme a Giuseppe Spina) è un piccolo capolavoro materico e astratto –, Alberto D’Amico, Mario Verger e altri. Napoletani sono Marco Pavoni, che guarda più al manga giapponese realizzando animazioni in 2d e 3d, e Alessandro Rak, regista de L’arte della felicità, dimostrazione di come si possa realizzare con pochi soldi e molta passione un lungometraggio animato rivolto a un pubblico adulto e incentrato su riflessioni filosofico-esistenziali. Pugliesi sono gli E.G.O. – Ente Gestazioni Oniriche e Igor Imhoff: quest’ultimo straordinario creatore di universi fiabeschi strutturati su elementi simbolici in collage 2d o su architetture 3d popolate da personaggi che sembrano usciti dai videogame.
Diversi animatori si muovono poi nel campo delle arti visive, realizzando parallelamente mostre e installazioni, mentre alcuni artisti contemplano nei loro articolati progetti anche opere di animazione. Pensiamo a Federico Solmi, romagnolo di nascita ma newyorchese di adozione, che crea corrosive satire socio-politiche animate proponendole in alcuni casi su dispositivi led incastonati dentro tele dipinte (quotazione: 35mila dollari) o a Valerio Berruti, riconoscibile per i suoi bambini dipinti e animati a loop, colti nei loro minimi movimenti quotidiani; il più sorprendente di tutti resta l’inafferrabile Blu, street artist che ha girato diversi film d’animazione dipingendo, filmando a passo uno, cancellando e ridipingendo intere facciate di edifici (una tecnica mostruosamente complessa), con risultati spettacolari. Numerose sono poi le artiste-animatrici, da Rita Casdia, autrice di animazioni su carta o pupazzi in stop-motion inseriti in ambienti reali, a Lucia Veronesi, da Izumi Chiaraluce all’artista romana Paola Gandolfi, le cui tele di grandi dimensioni si animano mediante computer originando narrazioni onirico-psicanalitiche (come in Macchina madre).
Difficile sintetizzare un panorama composito e in fermento come quello dell’animazione italiana, ma soprattutto impossibile prevedere – pur con tutte le difficoltà produttive in cui si imbattono questi autori indipendenti – gli sviluppi che un’arte tanto “animata” potrà assumere in futuro. Se solo qualcuno si accorgesse di quanto preziose e vitali siano le loro opere, nel contesto delle immagini in movimento.
Bruno Di Marino
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