Se è complesso asfaltare una strada o riparare un tetto di un asilo con le casse vuote, è ovvio che qualsiasi altra pratica sembra eretica e non concedibile. Superflua. E ci sta. Per superare evidenti criticità, la via possibile è quella dell’aggregazione d’area. Un po’ come le reti d’impresa, anche le comunità pubbliche cominciano a costruire percorsi per condividere bilanci, spese, costi fissi. E soprattutto progettualità. Un modo per superare la frammentarietà locale e continuare a offrire una prospettiva di vita adeguata ai propri abitanti.
Uno degli esempi più significativi è il percorso dei Comuni del Camposampierese. Un gruppetto di municipi, undici, ad alta densità imprenditoriale, tra Padova e Treviso. La visionarietà di quei sindaci, che rappresentano l’arcobaleno dei partiti italiani, è stata di intuire che possono farcela solo assieme, superando le beghe quotidiane e i singoli indirizzi di paese. Qualche anno fa si sono uniti in una federazione, poi hanno lanciato un marchio d’area ampio che qualifica l’attitudine turistica di un’area, la Valle Agredo.
Ma la vera intuizione è stata di affidarsi a giovani professionisti ad alto tasso contemporaneo come i veneziani Tankboys (dall’ultimo catalogo di Vezzoli per Qatar Museum alle collaborazioni con le maggiori istituzioni internazionali, a un’assidua produzione indi), che hanno curato il percorso estetico-progettuale, creando il marchio d’area e tutte le azioni di sintesi che ne conseguono. È nata così una nuova città di oltre 100mila abitanti. Con caratteristiche locali ma profondamente connessa al mondo, per codici e impianti. Nelle loro parole e nei fatti è l’inizio di una progettazione amministrativa ma anche culturale.
Queste sono buone, obbligate pratiche per rivedere anche la progettualità culturale. Unire visioni, budget, strategie, finanziamenti per offrire aggregazioni culturali ampie, di senso. Nel pubblico come nel privato.
Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto
direttore scientifico del corriere innovazione
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19
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