Da Off Site Art ad ArtBridge, da L’Aquila a New York. Ecco come nasce un progetto sull’arte emergente
Una conversazione con Rodney Durso, presidente di ArtBridge, accolto a L’Aquila per gli ultimi preparativi prima del lancio di Off Site Art. Previsto nei giorni della festa aquilana della Perdonanza, a fine agosto.
A L’Aquila è da poco approdato Off Site Art, un progetto che mette a fuoco l’arte emergente a cura di Veronica Santi e che prevede una giuria d’eccezione composta da curatori e critici di stampo internazionale: Ida Panicelli, Cecilia Alemani, Giuseppe Lignano e Cecilia Guida. Off Site Art ha chiuso la sua prima call agli artisti il 9 luglio. Obiettivo: reclutare talenti, italiani o residenti in Italia, per esporre opere in grande formato che andranno a coprire le impalcature della città a “cantiere aperto” per eccellenza. Dietro tale programma vi è ArtBridge, un’organizzazione non profit nata New York nel 2008 grazie al suo fondatore Rodney Durso, dalla quale Off Site Art mutua scopo e modalità di esposizione. L’intento è ridare vita ai luoghi piagati dai cantieri e dai siti di costruzione, ma anche donare una chance a talenti che stentano a essere segnalati in una città sempre in movimento e in cui la concorrenza è feroce.
A spiegarci come funziona ArtBridge è lo stesso Rodney Durso, che abbiamo incontrato nell’aquilano mentre è intento a monitorare l’evoluzione di Off Site Art.
Com’è nata ArtBridge e qual è il suo scopo?
Ho dato vita ad ArtBridge per due ragioni: la prima è concedere la possibilità agli artisti emergenti di esporre, dato che è davvero difficile a New York; e la seconda è abbellire il paesaggio urbano, poiché a New York vi sono molte costruzioni in corso e i ponteggi sorgono ovunque. Per me c’erano due problemi da risolvere: queste impalcature a vista e gli artisti che hanno bisogno di opportunità; per cui, tenendo a mente tali problematiche, ho creato ArtBridge e sento di aver dato una soluzione a entrambe le questioni. Si possono sospendere opere di artisti sui ponteggi e in tal modo si abbellisce anche la città, dando loro l’opportunità che non hanno avuto prima.
Sul sito di ArtBridge si legge: “L’arte deve ispirare il carattere sociale e fisico del quartiere in transizione”. Ci spiega?
È molto importante per noi creare una connessione tra l’arte e la periferia. Così, piuttosto che un’arte casuale, si punta su una che possa connettere i siti di costruzione e legarli a una nuova idea di sviluppo. Noi aiutiamo a unire il circondario e le persone che vi abitano in un nuovo sviluppo. Capita che spesso gli artisti siano cacciati via a causa delle dinamiche delle nuove costruzioni; ma noi diamo un’occasione di ricongiungersi di nuovo a questi luoghi in una maniera positiva.
ArtBridge sta raggiungendo i propri scopi a New York?
Assolutamente sì, anche se non abbiamo ancora tante opportunità. Ci sono molti posti in cui poter fare il nostro lavoro, ma il problema è: chi paga? Il punto della questione è cercare chi finanzia questo progetto. A New York sono spesso i costruttori e i proprietari dell’edificio a pagare per la realizzazione delle opere da realizzare, ma in alcuni casi non seguono l’arte, non sono interessati; se tutto va bene, hanno interesse nel rallegrare la periferia e nel renderla piacevole mentre le costruzioni vanno avanti.
Per cui sì, stiamo raggiungendo i nostri obiettivi, ma su una piccolissima scala. Abbiamo organizzato numerose mostre a New York, ma per arrivare al centinaio abbiamo bisogno di finanziamenti.
Cosa si aspetta da L’Aquila? Come procederà secondo lei qui ArtBridge con il progetto Off Site Art?
C’è una storia dietro L’Aquila, mio cugino si è sposato qui e qui lavora come insegnante all’università, ragion per cui frequento questa città dal 2006; sono venuto anche dopo il terremoto ed è la quarta volta che sono qui. Quando venni dopo il terremoto, pensai che era una città ideale per il progetto ArtBridge; era vuota, al pari di una città fantasma, e le costruzioni sorgevano in ogni dove. E pensai: è un ottimo modo per riportare l’attenzione sul centro cittadino e ripopolarlo; se possiamo organizzarvi una mostra d’arte, sarà frequentato da più persone.
Penso che ArtBridge porti anche colori, luce, vita, eccitazione a quella che fino a poco tempo fa era una città fantasma. È già molto diversa dall’ultima volta che sono stato qui, a ottobre: ci sono nuovi negozi, ma spero che possiamo aiutare. Naturalmente non sarà così semplice, ma è importante anche fare quel poco che si unirà ad altri piccoli gesti.
Quali benefici trarrà L’Aquila dal lavoro che state svolgendo?
Il beneficio maggiore è per gli artisti, ovvero raggiungere una visibilità attraverso l’esposizione su larga scala; alcuni artisti di ArtBridge hanno poi esposto in gallerie, altri hanno venduto le proprie opere o hanno rilasciato interviste. Probabilmente possiamo raggiungere le stesse cose qui. Se tutto va bene, diamo la giusta occasione agli artisti emergenti e questo è un grande traguardo per ArtBridge.
Un altro fattore importante è il materiale su cui stampiamo le opere, un telone di vinile, così, dopo l’esposizione (che coincide con la chiusura del cantiere), tagliamo l’opera in piccoli pezzi e li vendiamo dentro una borsa, come “message bag”. Ogni borsa è davvero unica, perché contiene un pezzo di opera aquilana; la gente può acquistarle e i soldi ricavati andranno a sostenere l’organizzazione nel suo work in progress a L’Aquila; l’arte avrà così una vita anche dopo l’esposizione.
Martina Lolli
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