Dicono di lei (la Biennale di Koolhaas). Parte prima
Ormai i lettori di Artribune Magazine si sono abituati ai nostri “talk show” su carta (e poi su web) intorno a temi importanti e attuali. Sul numero estivo, l’argomento era la Biennale di Architettura in corso a Venezia e diretta da Rem Koolhaas. Qui trovate la prima tornata di opinioni, con nomi come Pippo Ciorra, Gianluigi Ricuperati, Marina Engel, Giuliana Bruno…
La Biennale è stata un’esperienza strana. Mi è piaciuto molto il modo in cui Koolhaas ha impostato la questione dei padiglioni nazionali, che ha permesso di accedere a un vasto e in qualche caso esaltante patrimonio di modernità, occidentale e non, più o meno assorbita. Anche Monditalia contiene elementi di interesse, che si apprezzano una volta superato l’inevitabile fastidio che ci assale quando qualcuno viene a casa nostra a dirci come dobbiamo rappresentarla. Infine gli Elements, che hanno funzionato molto bene come dispositivo pro-tabula rasa nei confronti delle biennali precedenti e anche della confusione disciplinare degli anni precedenti. Poi però affiora il fatto che l’autore è decisamente più portato al remix che alla tabula rasa (e più ai cataloghi che alle mostre) e si rimane lievemente interdetti. Spiazzati da uno che ha basato tutta la sua autorevolezza sulla sapienza nel tenere selvaggiamente insieme disciplina e realtà e che alla Biennale ha deciso di separarle e di proporre gli elementi primari (?) agli architetti e tenere da parte la realtà per OMA. Non è detto che la rescissione funzioni, ma vale la pena parlarne.
PIPPO CIORRA
architetto e curatore
Credo che le menti di prim’ordine, intelligenti infraleggenti, per cui conta soprattutto la capacità di leggere – il presente, il passato, il possibile, il costruito, l’immaginario – non possano che uscire eccitate e ricche dalla Biennale. 1. Elements totalmente rivelatorio, proprio perché taglia fuori l’egolatria degli architetti che spesso sono gli ultimi a capire qualsiasi cosa. Merito anche di ispiratori come Manfredo di Robilant, che ha firmato alcuni dei libri meglio riusciti, come quello delle finestre, uno sguardo finissimo che vorrei subito portare a insegnare a Domus Academy. 2. Padiglioni eccellenti, finalmente costretti a uscire da temi anti-culturali. 3. Una Tabula Rasa completa: tanto che forse bisognerebbe per un paio di edizioni non fare la Biennale d’Architettura ma dedicarsi ad altre discipline, come la Letteratura, e sacrificarla allo stesso modo. Girando per la Biennale ho pensato spesso a quel bellissimo film di Tarkovskij, Sacrificio. Il sacrificio di chi vuole comunque tutto.
GIANLUIGI RICUPERATI
scrittore, direttore di Domus Academy
La sezione Elements da sola vale il viaggio a Venezia. Ci accompagna in un percorso poetico e spettacolare attraverso gli elementi che sostanziano l’architettura costruita. Il tutto condito con una buona dose di ironia, il che non guasta. Grande entusiasmo anche per le incursioni di musica, danza, teatro e cinema: emozionante. Piuttosto irritante invece la sezione Monditalia. Al di là dell’indubbia qualità di alcune ricerche e installazioni, il quadro generale sembra mal orchestrato, frammentario, e soprattutto confezionato per un certo pubblico internazionale. La selezione dei film parla da sola. Ma l’Italia aveva davvero bisogno di un’immagine da cartolina, alla To Rome with Love per intenderci?
EMILIA GIORGI
curatrice
La Biennale di Koolhaas è una mostra “d’autore”. Colta, forse a tratti addirittura un po’ saccente, poco indulge alla spettacolarità. Appassiona alcuni, incuriosisce, intriga, istruisce (addirittura). Non soddisfa, invece, tutti quelli che si aspettavano i megaprogetti e le archistar globali, al centro di molte edizioni passate. E invece hanno trovato un’unica star: Koolhaas, appunto. Ma un input forte rimarrà di questa mostra, nella pratica di molti (auspicabilmente, di giovani, studenti e neoprofessionisti): la visualizzazione del fatto che la formazione e la pratica del buon architetto, oggi più che mai, non può prescindere dal contributo e dalle suggestioni di arti visive, cinema, musica, teatro, danza, e ancora di politica, economia, tecnica. Architettura come esperienza del mondo e impegno nel mondo. Sono (anche) questi i suoi “fondamenti” imprescindibili. Per una Biennale di Architettura è un esito né ovvio né banale.
ALESSANDRO MARTINI
storico dell’architettura
L’architettura senza architetti, tranne uno… Ma forse solo Koolhaas e il suo team di stretti collaboratori potevano riuscire in questa impresa, mostrando falsi soffitti, abbattendo muri di gesso, alzando pavimenti e persino investigando l’evoluzione della toilette, tramite un’analisi molto seducente degli elementi architettonici e della situazione attuale. Tuttavia, non è chiaro cosa Koolhaas suggerisca che si faccia di tutto ciò in futuro. Il padiglione francese, La modernité, promesse ou menace?, curato da Jean-Louis Cohen, secondo me era eccezionale, con il suo accostamento di Mon Oncle di Jacques Tati’s con la tragedia di Drancy.
MARINA ENGEL
curatore
La Biennale di Rem Koolhaas ragiona sugli elementi strutturali dell’architettura, esibendo una forma di materialità attenta alle potenzialità e alle connessioni che tali elementi possono esprimere, anche virtualmente. In questo senso, essa riconosce l’importanza delle forme di rappresentazione che virtualmente ci raccontano il mondo materiale degli spazi, in particolare la fotografia di Wolfgang Tillmans e la storia del cinema. Nel padiglione centrale, sulla superficie di uno schermo cinematografico, strati di storia sociale emergono dalla materia architettonica e dalla superficie stessa di oggetti consunti e di spazi urbani vissuti e raccontati.
GIULIANA BRUNO
docente di visual and environmental studies
harvard university
“The contemporary corridor is ironically a confirmation of our worst fears about the corridor as a lonley, blank, interminable passage…”. Su una mensola, lungo il mio corridoio spropositato – che, come in molte case milanesi degli Anni Trenta, sembra un’affascinante presa in giro rispetto alle proporzioni dell’appartamento – stanno apparecchiati in bella e colorata fila i quindici libricini “fondamentali” della mostra Elements. Mi capita di visitarli spesso nelle ultime settimane e di estrarne frasi come questa: mi sembrano le migliori installazioni della Biennale appena inaugurata. Probabilmente mi aspettavo un discorso spaziale più azzeccato ed efficace, sia nella mostra centrale di Koolhaas, sia nel lungo percorso che srotola un po’ faticosamente le ricerche – alcune molto interessanti – di Mondoitalia. La cosa positiva è che probabilmente, più che in ogni altra edizione, questa Biennale non sta nella mostra, ma nella discussione (non scontata) che sembra si stia generando attorno ad essa. Spero si accenda ulteriormente, si articoli e produca.
VALENTINA CIUFFI
giornalista, semiologa
Dopo tante biennali fatte di immagini accattivanti e autoreferenziali, dopo il generoso tentativo di David Chipperfield, che nella sua mostra del 2012 aveva cercato – senza trovarlo – un territorio comune, Koolhaas propone giustamente questa durissima “disconnessione” dall’architettura contemporanea, e tutto ciò non è affatto scontato. Questa Biennale così brutale, così trash, rimarrà scolpita nella memoria molto più dei bellissimi plastici, dei bellissimi disegni e delle bellissime fotografie delle precedenti edizioni.
FRANCESCO NAPOLITANO
architetto
a cura di Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #20
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