Il collezionista, l’artista e la curatrice. Intervista con Andrei Tretyakov
Si chiama Andrei Tretyakov ed è fra i più importanti collezionisti al mondo. Ha raggiunto Genova per vedere la mostra di Andrei Molodkin, “Transformer No. M208”, in corso a Palazzo Ducale fino al 24 agosto. È giovane, informale, disinvolto e, soprattutto, entusiasta. La curatrice della mostra, Linda Kaiser, lo ha intervistato per noi.
Sei parente del fondatore della celeberrima Tretyakov Gallery di Mosca?
No, o forse sì. In effetti non si sa: mio padre fece ricerche sulle origini della sua famiglia, ma non riuscì a risalire molto indietro, a causa del regime dell’Unione Sovietica.
Tu dove e quando sei nato?
Sono nato nel 1978 in Kazakistan, uno stato transcontinentale tra Europa e Asia, una ex Repubblica dell’Unione Sovietica.
Come e perché hai iniziato a collezionare arte?
Sull’onda di una passione di famiglia. Mio padre è un collezionista di arte antica e io, mentre studiavo Finanza all’università, ho iniziato a interessarmi all’arte. Papà ha sempre comprato quello che gli piaceva, senza seguire una linea precisa. Io vivo a Londra dal 2001 e, da allora, sono stato coinvolto nella comunità artistica. Poi ho incontrato Ilona Orel, la direttrice dell’omonima galleria parigina, che stava facendo un bel lavoro nel far conoscere in Occidente l’arte post-sovietica.
Così hai conosciuto Andrei Molodkin?
Esattamente. Mi innamorai subito delle opere di questo artista. Nel 2009 fondai la sede londinese di Orel Art in Howick Place. La mostra d’inaugurazione, Liquid Modernity, aperta in aprile, fu la prima personale di Molodkin sul suolo britannico. E lui, in quello stesso anno, avrebbe rappresentato la Russia alla 53. Biennale di Venezia. In quel momento pensai davvero a “sperimentare” con l’arte, l’underground, gli artisti russi…
E poi come si sviluppò la tua partecipazione attiva al sistema dell’arte?
In un paio di anni compresi che il mio interesse era rivolto agli artisti che operano in un contesto sociopolitico, come Kendell Geers, Marina Abramovic, David Birkin, Santiago Sierra, Ai Weiwei, oltre naturalmente ad Andrei Molodkin. Decisi allora di fondare a Londra un’organizzazione non profit, a/political, che supporta e promuove gli artisti che lavorano in questo settore.
Già il nome scelto, a/political, è particolarmente simbolico.
Sì, perché scritto così, con lo slash che separa la “a” dall’altra parola, ha un doppio significato: indica una dualità, quella stessa che si ritrova nell’utopia e nella distopia. Ci si sente nella politica (a political) ma, allo stesso tempo, non direttamente coinvolti (apolitical).
Qual è il programma di a/political?
Non abbiamo agende particolari, ma lavoriamo contemporaneamente con molti artisti – di recente, ad esempio, Peter Kennard –, che scelgo insieme ai progetti pilota da seguire, come la Société Réaliste, un collettivo franco-ungherese con base a Parigi.
La tua collezione rispecchia quest’ottica?
Indubbiamente. Io cerco artisti che – non necessariamente attivisti – abbiano qualcosa da dire, come quelli che prendono parte all’iniziativa Artraker: Awarding Creativity in Art & Conflict,che premia chi s’impegna e risponde alla guerra per mezzo dell’arte. La collezione di circa 200 opere, che nel frattempo ho costruito, parte dagli inizi del XX secolo, dalle foto di Alexander Rodchenko. Mi piace movimentare le opere attraverso la partecipazione a mostre significative, in corso anche in questi giorni, in giro per il mondo.
Parliamo di Andrei Molodkin?
Per me è un artista unico. Esprime un “minimalismo politico” capace di trasmettere un forte messaggio. Andrei cresce e si sviluppa di continuo, è sempre “on the edge”, sul limite: è come un radar che, attraverso i temi dell’economia, del denaro, del petrolio e dell’energia, capta il movimento politico globale. Lui reinterpreta l’economia del mondo con una sinergia perfetta di forma e sostanza. Le sue opere sono anche esteticamente bellissime.
Che ne pensi di questa prima mostra personale di Molodkin in uno spazio pubblico in Italia?
Già al Museum Villa Stuck a Monaco, nella mostra Liquid Black del 2012, Molodkin aveva instaurato un “dialogo” fra arte antica e arte moderna; ma qui, nel Palazzo Ducale di Genova, scatta davvero un feeling nel subconscio. Si tratta di una vera e propria esperienza emozionale: quando si entra nel Salone del Maggior Consiglio, il mondo diventa “obsoleto”, ci si sente piccoli. Nella Cappella del Doge, poi, il simbolismo della croce, che l’artista fa interagire con l’ambiente, ha un effetto anche fisico ancora più forte.
Come trovi la scena londinese per l’arte contemporanea?
Bisognerebbe separare l’art market dall’arte in generale. Le opere prodotte oggi sono molto “concertate”. Negli ultimi anni, la gente mira a un’arte decorativa, alla moda, che non faccia pensare. A Londra chiunque apre gallerie o acquista arte, ma non necessariamente perché la capisce. L’art market supporta questo sistema attraverso la moda, i party glamour e i meccanismi sociali, che non hanno praticamente niente a che vedere con l’arte.
E le gallerie?
Le grandi gallerie multinazionali, come Gagosian e la White Cube, sono molto commerciali e mettono in mostra ciò che è facile da vendere, non i giovani su cui scommettere, per cui non si vedono artisti interessanti, ma sempre gli stessi. Le giovani gallerie londinesi sono superficiali oppure, dopo che hanno lanciato due o tre nuovi artisti – che non vendono –, hanno problemi economici a continuare l’attività. Nella capitale inglese l’arte rimane, comunque, un elemento di dibattito e di conversazione “sociale”.
Quali sono, secondo te, i Paesi oggi più interessanti nella “produzione” dell’arte?
La Spagna, ad esempio, con Santiago Sierra e il collettivo Democracia. Negli Stati Uniti accade sempre qualcosa di notevole. Poi ci sono il Sudafrica; gli artisti, in generale, che rispondono alle crisi e ai conflitti; il Medio Oriente; la Cina con Ai Weiwei.
Cosa ricerchi in particolare nell’arte?
Trovo importante la Street Art e mi piace molto la Black Music sudafricana, ma quello che amo di più è quando le arti si fondono, gli artisti si sentono liberi e non ci sono confini. Ammiro il mix di video, musica, film, street performance; l’esplorazione dei nuovi media digitali e delle tecnologie, che oggi permettono costi ragionevoli e possibilità illimitate.
Linda Kaiser
Genova // fino al 24 agosto 2014
Andrei Molodkin – Transformers No. M208
a cura di Linda Kaiser
PALAZZO DUCALE
Piazza Matteotti 9
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[email protected]
www.palazzoducale.genova.it
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