La Rete dei poeti
Che fine ha fatto la poesia? In un’epoca fatta di pragmatismo e velocità, esiste ancora spazio per l’espressione profonda tipica del linguaggio poetico? Sembrerà strano, ma viviamo in un’epoca profondamente romantica, e il web pullula di giovani fan di Walt Whitman e Jack Kerouac. Non ci credete? Leggete qui.
“Internet è un gioco che solo i poeti possono vincere. Se la sfida è commuovere le persone usando soltanto 140 caratteri, o 6 secondi, o 500×500 pixel, il nostro linguaggio dovrà essere carico di significato. Quello che cerco di fare, quindi, è spingere più poeti, nel senso romantico del termine, a usare queste nuove piattaforme”. A parlare è Steve Roggenbuck, intervistato da Adrian Chen per il sito web americano Gawker. Roggenbuck, 26 anni, originario del Maine, è per sua stessa definizione un “internet poet”, ossia un poeta dell’era di Internet. Sono già quattro anni che la sua attività di scrittura e performance tiene migliaia di follower attaccati al monitor. Il suo lavoro viaggia su piattaforme come Twitter, Facebook e Tumblr, ma trova la massima espressione nei video che il giovane artista posta regolarmente su Youtube. Difficile descriverli; potremmo dire che fanno pensare a cosa avrebbero fatto i poeti della Beat Generation se avessero avuto una webcam.
Kenneth Goldsmith, noto poeta americano fondatore dell’archivio online UbuWeb, li ha definiti, in un recente articolo uscito sul New Yorker, “un incrocio tra Walt Whitman e Ryan Trecartin”, mettendo in evidenza due delle caratteristiche essenziali del linguaggio di Roggenbuck: l’ispirazione storica di stampo romantico e l’attitudine ipercontemporanea al formato del blogging. I suoi video sono reading, ma anche confessioni davanti alla webcam; sono performance di stampo concettuale, ma anche semplici clip girati da un teenager nella sua cameretta.
Ma Roggenbuck non è l’unico artista alle prese con il rinnovamento del linguaggio poetico. Esiste infatti un intero movimento, chiamato Alt Lit (Alternative Literature), formato da una comunità di scrittori, poeti e performer impegnati nella creazione di un nuovo modo di scrivere, raccontare, pubblicare, comunicare. I risultati di questa sperimentazione sono molto diversi tra loro, e spesso difficili da giudicare, specie se visti attraverso la lente della critica letteraria tradizionale, ma la vitalità del movimento è impossibile da ignorare. Questa nuova generazione di scrittori si sta abituando a lavorare all’interno di un flusso continuo, fatto di post, aggiornamenti di status, tweet e immagini macro (foto che circolano con sovrapposto del testo, spesso vergato a caratteri cubitali).
Questi autori apprezzano e utilizzano la forma-libro, spesso ricorrendo, per motivi pratici ed economici, al print-on-demand, ma non hanno problemi a disseminare la propria scrittura su molteplici piattaforme. Ciò che li accomuna è l’urgenza di comunicare, insieme a una sincerità estrema, che rende le loro espressioni toccanti e talvolta scomode. Non a caso, c’è chi ha individuato una sottocorrente della Alt Lit chiamata New Sincerity, corrente di cui fa parte lo stesso Roggenbuck insieme a Tao Lin, scrittore, poeta e sceneggiatore di origine taiwanese residente a New York. I due, insieme a molti altri colleghi, hanno di recente pubblicato un’antologia con la casa editrice indipendente Boost House, gestita da un collettivo di scrittori che ruota attorno a Roggenbuck. Il libro, significativamente intitolato The YOLO Pages (Y.O.L.O. è un acronimo usato sul web che sta per “you only live once”, ossia “si vive una volta sola”), è una collazione di poesie, brevi storie, tweet, fotografie, screenshot e collage fatti con Photoshop.
Le ispirazioni e i precedenti storici che possiamo ravvisare in queste pagine sono numerosi: dalla poesia immaginista a quella surrealista, dagli esperimenti futuristi e Dada a quelli della Beat Generation. In questo senso, si tratta di un movimento profondamente (e consapevolmente) postmoderno, ma la componente genuinamente romantica, unita a quella che sembra una fame insaziabile di verità e di connessione umana, rende lo scenario diverso e interessante. Questa banda di ventenni entusiasti, rumorosi e pronti a “succhiare il midollo della vita”, per dirlo alla Thoreau, fanno pensare alla generazione di artisti che il critico americano Dave Hickey si augurava di incontrare nel prossimo futuro dalle pagine di Air Guitar, indimenticabile raccolta di saggi pubblicata nel 1997.
Hickey, lamentandosi di un sistema dell’arte ormai asettico e di una visione artistica sterile perché fin troppo “seria”, scriveva: “Mi piacerebbe vedere un gruppo di ventitreenni piantagrane diventare così entusiasta, così rumoroso e così preso da qualche nuovo genere stupido, distruttivo e seducente di cultura visuale, da farmi alzare indignato, sputare vetriolo e lamentarmi dell’auto-indulgenza delle giovani generazioni e di tutti i loro prodotti”.
Sembra che il web abbia partorito questa nuova generazione di piantagrane, nella letteratura come nelle arti visive. E lo spettacolo è appena iniziato.
Valentina Tanni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19
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