La guerra, in particolare la Grande Guerra, è stata il tema centrale del Festival di Ravenna 2014 ed è uno degli argomenti principali di quello estivo di Salisburgo (fino al 31 agosto). Il ricordo del conflitto non riguarda solo gli spettacoli: sino ad autunno 2015, una mostra di fotografie d’epoca, dipinti e reperti occupano un piano del museo della città, percorrendo la storia della Grande Guerra dalle sue premesse (le due guerre balcaniche) alle sue conseguenze.
Ma è soprattutto una sezione del Festival di Salisburgo a trattare la Grande Guerra. Vengono presentati spettacoli monumentali, come Die letzten Tage der Menschheit/Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus (in versione ridotta, poiché l’integrale richiederebbe sei giorni e sei notti in teatro) o rari come Don Juan kommt aus dem Krieg/Don Giovanni alla Guerra di Ődön von Horváth, Hinkemann di Ernst Toller, Der Abschied di Walter Kappacher.
Sono stati anche commissionati lavori specifici – un’opera lirica e un dramma multimediale – sul tema: donne e Grande Guerra, soggetto su cui si sono esercitate assai poco le arti sceniche ma di largo interesse nelle scienze sociali. Non si basano su elaborazioni drammaturgiche ma sulla drammatizzazione di vicende vere, oggetto di libri, film e documentari televisivi. Delle due, l’opera ha anche un riscontro immediato in oltre 1.300 dipinti e disegni presenti al museo ebraico di Amsterdam. Riguarda, infatti, una pittrice uccisa ad Auschwitz a 26 anni. L’opera è Charlotte Salomon di Marc-André Dalbavie, appartenente alla scuola spettrale francese che fonde tonalità e quel-che-resta-della-dodecafonia per entrare nell’intimo, su libretto di Barbara Honigmann, con regia di Luc Bondy, scene di Johannes Schütz e costumi di Moidele Bickel. The Forbidden Zone di Duncan McMillan è invece coprodotto da altri teatri austriaci e tedeschi, dove sarà in scena dall’autunno. In ambedue i lavori, ciascun interprete parla nella lingua del personaggio che impersona (francese e tedesco in Charlotte Salomon e inglese e tedesco in The Forbidden Zone) ma i sovra-titoli rendono comprensibili canto e dialoghi agli spettatori.
Nella realtà, Charlotte Salomon è cresciuta nella Berlino elegante di Charlottenburg (dove è nata nel 1917). Suo padre, un medico, era considerato un eroe della Prima Guerra Mondiale. Sua madre Franziska era stata crocerossina. Nel 1926 Franziska si suicida durante una fase depressiva. L’evento viene nascosto a Charlotte, la quale crede che la madre sia morta per una influenza. La seconda moglie del padre, Paulinka, è un’importante cantante lirica che si affeziona alla bambina. Con l’arrivo del nazismo, iniziano le discriminazioni (è vietato a Charlotte di ritirare il premio di pittura vinto) e le persecuzioni. Si rifugia dai nonni in Francia, mentre padre e matrigna si nascondono in Olanda. Quando apprende che gli ebrei tedeschi stanno per essere consegnati dalla Francia di Vichy ai tedeschi, è la nonna a suicidarsi. Allora Charlotte apprende del suicidio della madre e di altre donne della famiglia. Per sfuggire a un destino analogo, con l’aiuto di un medico francese si dedica alla pittura e si sposa. Arrestata con il marito, muore ad Auschwitz nel 1943, incinta di quattro mesi e sposata da otto; il marito un anno dopo ai lavori forzati. L’opera non termina con la deportazione, ma con la decisione di Charlotte di superare la nevrosi con la pittura.
Nei fatti, dopo la guerra padre e matrigna ebbero dal medico di Villefranche-sur-Mer il lavoro che Charlotte gli aveva lasciato in custodia: 1.325 tavole dipinte, di cui circa 900 organizzate sistematicamente come le immagini di un Sinspiel (opera in parte parlata e in parte cantata) intitolato Vita? O Teatro? Il padre, morto nel 1976, e la matrigna, deceduta nel 2000 all’età di 102 anni, hanno donato il lavoro al museo ebraico di Amsterdam. Esso tratta più del nazismo che della Grande Guerra, che però è fondamentale a ragione del suicidio di Franziska (che con le vicende connesse occupa la metà del primo atto). In due atti (due ore e mezza senza intervallo) si svolge tra Berlino e Villefranche. La scena è costituita dalle proiezioni dei dipinti di Charlotte e da abili giochi di luce che danno il senso dei differenti ambienti con andamento cinematografico. Il vasto boccascena dell’antica cavallerizza è diviso in dieci pannelli che consentono di spazializzare i vari luoghi da Berlino a Villefranche, un’idea suggestiva ma difficilmente replicabile. Nel complesso, un lavoro commovente e innovativo, anche se la regia ha sollevato qualche protesta.
The Forbidden Zone era il termine che durante la Grande Guerra indicava la zona del fronte occidentale (quello tra Germania e Francia): proibite alle donne per la pericolosità. Il dramma multimediale scritto da Duncan Macmillan e diretto da Katie Mitchell è, in gran misura, tratto da un libro di Mary Borden (1886-1968), un’ereditiera di Chicago molto attiva nella difesa dei diritti delle donne. I testi di Borden vengono interpolati con passaggi da Emma Goldman, Virginia Woolf, Simone de Beauvoir e Hannah Arendt. In un quadro scenico, due donne colte e professioniste – una inglese e una tedesca – vengono invitate a entrare in una Fobidden Zone ancora più vietata della terra di nessuno nella guerra di trincea: i laboratori dove si preparano le armi chimiche. Si rifiutano di collaborare e soccombono, ma il loro lascito morale permane per generazioni. Nel lavoro si vedono donne nella Forbidden Zone per alleviare le sofferenze dei soldati, specialmente di quelli colpiti da armi chimiche. Il tema di fondo è come la Grande Guerra, e l’impiego diffuso di nuove tecnologie, abbia reso possibile l’acquisizione di nuove consapevolezze alle donne in campo economico, politico e sociale.
Alla tristezza senza speranza di Charlotte Salomon, The Forbidden Zone contrappone una visione sofferta ma positiva. Molto efficace l’impianto multimediale con blow up dei passaggi più importanti. Di livello la musica di Paul Clark e i video di Grant Gee. Molti applausi.
Giuseppe Pennisi
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