Short Theatre. Ovvero la rivoluzione delle parole
Short Theatre, festival romano dedicato alle arti performative, giunge alla nona edizione. Dal 4 al 14 e il 25 settembre, una “rivoluzione delle parole”. Per mettere in primo piano il linguaggio e le sue (dis)articolazioni, la relazione tra potere e retorica, la fondazione di una topologia del discorso. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico, Fabrizio Arcuri.
Partirei dal titolo: La rivoluzione delle parole. Come si pone questo tema rispetto alle recenti riflessioni sulla necessità di una rifondazione del discorso come atto di rifondazione delle pratiche?
Short Theatre nasce da un’occupazione. Abbiamo occupato il Teatro India per sottrarlo alla decadenza e alla sua trasformazione in sala prove e magazzino. Allora il direttore artistico era Giorgio Albertazzi, il quale candidamente rivelò che quello spazio non era adatto al suo teatro ma a forme espressive legate alla contemporaneità. Assessore e Sindaco di quel tempo ci assicurarono che il teatro avrebbe riaperto i battenti con la direzione a Giorgio Barberio Corsetti, regista più in uso alla contemporaneità. Tanto bastò per uscire dall’occupazione. Lo Stabile tentò di far dirigere separatamente la sala grande (Teatro Argentina) dall’India ma ciò non fu possibile e le ragioni tuttora restano poco chiare. Presumo alla base ci fossero problemi di ordine economico relativi alla distribuzione del budget tra le due sale.
Di fatto il Teatro India riaprì, e presentai un progetto di “manifestazione”. Da lì è nato Short Theatre. Tutto questo per dire che il festival, sin dalla sua nascita, cerca di aprire una maglia all’interno del sistema teatrale chiuso e arroccato. La sua ragion d’essere sta proprio nella possibilità di tessere, in modo prioritario, un dialogo con la comunità come luogo di confronto. E credo che la parola sia il luogo dello scontro massimo. È il terreno dove si sono combattute le vere battaglie. La parola è il luogo del fraintendimento, della retorica e della poesia, si dice in Giulio Cesare di Shakespeare. Le parole possono cambiare il mondo più delle armi, per quello occorre prendersene cura.
Un’attenzione all’evento del linguaggio,ai meccanismi della comunicazione orale, alla prammatica della conversazione è centrale nella ricerca di Joris Lacoste che ha preso forma nel progetto L’Encyclopédie de la Parole. Il lavoro Suite N°1 “ABC” èpresente a Short Theatre grazie a un progetto congiunto tra Italia e Francia e una collaborazione con Santarcangelo dei Teatri e Contemporanea Festival di Prato…
In questi anni il senso è stato quello si creare una sorta di stato d’eccezione. Un luogo che si riconoscesse in nuove regole, una sorta di stato temporaneo che, nella scorsa edizione, abbiamo chiamato La democrazia della felicità. Oggi questo spazio – che appare temporaneamente, in un certo periodo dell’anno – dotato di sue proprie regole, ha un “popolo”.
Per la nuova edizione ci siamo interrogati su quale potesse essere il suo linguaggio, quali i suoi codici. Quando abbiamo visto Suite N°1 “ABC” di Joris Lacoste, performance corale dell’Encyclopédie de la Parole, è stato chiaro che potesse essere il nostro manifesto per la sua capacità di rendere evidenti i meccanismi della comunicazione e i rapporti di potere che la sottendono. Si tratta davvero di uno spettacolo imponente con undici performer e undici “invitati” in scena, avevamo bisogno di partner per riuscire a ospitarlo. Da lì la collaborazione con Santarcangelo e quella più e quella più consolidata con il network Finestatefestival attraverso il progetto TransArte, di cui facciamo parte insieme a Contemporanea Festival di Prato, Festival Internazionale della Creazione Contemporanea di Terni, Festival Internazionale di Andria Castel dei mondi, B.motion/Opera Estate Festival Veneto e Approdi di Cagliari. L’operazione ha ricevuto anche il sostegno del TANDEM Roma-Parigi.
Come “la rivoluzione delle parole” percorre gli altri progetti del palinsesto?
Credo che il filo rosso che collega tutti i lavori presenti nel festival è la totale assenza di convenzioni preordinate. Ogni lavoro azzera quella che si può considerare “una convenzione di genere” (teatro, danza, performance) per stabilirne una nuova alla ricerca di una sintonia possibile con lo spettatore. Il lavoro di Yan Duyvendak, Please, Continue (Hamlet) trasferisce il processo per omicidio mutuato da un fatto di cronaca realmente accaduto all’interno di un teatro con giudici, avvocati veri e spettatori che devono giudicare e analizzare le dinamiche degli eventi, percorrendo il senso più intimo dell’Amleto di Shakespeare e consegnandolo direttamente all’esperienza personale di ciascuno. Marzo di Dewey Dell è un fumetto-manga-coreografato che gioca con una serie di stereotipi della contemporaneità mentre il testo scorre come se fosse una traduzione simultanea della coreografia. JESUS di Babilonia Teatri è un rap disarmante e irriverente sulle nostre contraddizioni e il nostro ostinato, spesso inconsapevole, rapporto con il senso di colpa. Accademia degli Artefatti, con la mia regia, presenta lo spettacolo negato, chiuso dietro il sipario degli insulti al pubblico di Peter Handke. Una lezione sulla sicurezza negli ambienti di lavoro è il progetto dei Portage, un delirio populista per bocca di una trans (Eva Robin’s) quello che Andrea Adriatico trae da Ein Stück di Elfriede Jelinek, scegliendo di trattare la retorica del comizio politico. China vs Tibet è uno scontro tra identità e culture: un’avanzata di gattini dorati cinesi contro le immobili campane tibetane materializzano, nello in uno straordinario concerto minimalista di Mirto Baliani, un conflitto fisico prima che geografico. Non poteva mancare Mariangela Gualtieri che, senza dubbio, è la testimone più rappresentativa di come si possa svuotare di retorica la parola per restituirle un senso puro, immediato, elementare. Si tratta di progetti nazionali e internazionali che percorrono strade insolite e percorsi inusuali per marcare spazi di possibilità in cui costruire un nuovo discorso con gli spettatori. In questo senso la parola tenta un’ennesima “rivoluzione”: la ricostruzione di un rapporto tra i pensieri.
Uno spazio particolare è dedicato alle pratiche d’incontro attraverso i tre laboratori al Teatro Argentina…
I tre laboratori, che avranno esiti spettacolari, sono rivolti alla comunità. Da qualche anno cerchiamo di costruire dei luoghi di confronto non solo in termini di visione ma anche di partecipazione. Cerchiamo progetti capaci di coinvolgere persone e così condividere percorsi, non solo pensieri. Oltre al progetto degli spagnoli El conde de Torrefiel, che coinvolgono sei performer italiani nel loro lavoro La chica de la agencia de viajes nos dijo que habìa piscina en el apartamento, EVERY-BODY: “do you love me?” del coreografo e performer Antonio Tagliarini e La Maison d’antan di Oscar Gomez Mata della compagnia L’Alakran cercano persone comuni di tutte le età, per portare un condensato di realtà all’interno della finzione.
Ma come si può vedere dalle attività esistono altri percorsi sempre rivolti alla comunità degli spettatori curiosi che hanno voglia di approfondire, penso al progetto della casa dello spettatore di Giorgio Testa che costruisce percorsi di visione tematici all’interno della programmazione o agli incontri con filosofi, politici, scrittori e artisti che approfondiscono il tema del festival a cura della redazione dei Quaderni di Teatro di Roma (che ci auguriamo continuino il loro prezioso lavoro di riflessione e approfondimento nella redazione dello Stabile che al momento l’ha misteriosamente sospesa).
Il nostro sforzo maggiore va nella direzione di ricucire lo strappo in atto tra la società e l’arte. Questa è l’utopia che ci muove: dimostrare che esiste un luogo dove chi fa teatro, arte, danza e musica fa politica, si occupa, in definitiva, della società. Questo significa che, invece di assistere a decorativi riallestimenti di classici, è possibile dare spazio a qualcosa che parla di noi, oggi.
Short Theatre e i suoi luoghi: La Pelanda, Teatro India e Teatro Argentina…
I luoghi del festival sono della città. Sono spazi centrali in quartieri popolari recuperati dal degrado: una ex fabbrica del sapone e un ex mattatoio. Si aprono al quartiere e quindi al mondo attraverso un processo di osmosi con la città.
Hanno delle caratteristiche in comune: sono aree circondate da mura proprio come se fossero delle città medievali. All’interno una zona all’aperto si presta al dj setting e a quello che potremmo definire uno spazio di socializzazione e decompressione (ristoro e ricreatività) e poi ci sono i capannoni che, in entrambi i casi, forniscono quattro palcoscenici da 150 posti circa. Altre costruzioni annesse si prestano a istallazioni e performance che non prevedono l’assetto tradizionale platea/palcoscenico. Durante l’anno l’India ospita una stagione di teatro con due sale, sotto la direzione del Teatro di Roma, mentre la Pelanda accoglie mostre di arte contemporanea che non fanno parte della collezione permanente del Macro.
Naturalmente e per le sue caratteristiche Short Theatre trasforma e reinventa questi spazi che si rivelano così in altre forme e nel pieno delle loro potenzialità.
Short Theatre ospita l’Ecole des Maîtres, un corso internazionale di perfezionamento teatrale per attori europei, e vanta numerose partnership…
Short Theatre non solo ospita ma è partner dell’Ecole des Maître, giunto alla XXIII edizione. Io sono nella commissione selezionatrice degli attori che ne prendono parte ogni anno. Questo significa entrare in contatto con altre pratiche e poter dare l’opportunità a performer e attori di conoscere altri modi di lavorare e, naturalmente, altri modi di vedere il mondo. In questi anni abbiamo conosciuto e collaborato con Rafael Spregelburd e Costanza Macras, e i loro lavori sono stati visti e apprezzati. Significa contribuire a cambiare e ampliare la visione a chi questo mestiere lo pratica dall’interno, gli attori appunto.
AreaO6, che produce il festival, è socio del Premio Scenario. Facendo parte della commissione zonale del Lazio da oltre dieci anni, ospitiamo i quattro lavori vincitori. FABULAMUNDI. Playwriting Europe, progetto europeo di confronto sulla drammaturgia contemporanea di cui siamo partner, anche quest’anno è presente con quattro mise en space di giovani autori tedeschi e francesi agite da registi e attori italiani. Inoltre negli ultimi cinque anni siamo stati tra i co-organizzatori del progetto europeo IYMT – International Young Makers in Transit che selezionava nuove effervescenze creative da tutta l’Europa, facendole circolare nei festival membri. E sono felice di poter dire che la Commissione Europea ha appena confermato che il progetto potrà continuare con più ampi obiettivi nel prossimo biennio sotto il nome di IYMA – International Young Makers in Action.
Alla luce di queste cose, credo che il nostro ruolo sia proprio quello di offrire occasioni di sguardi nuovi da tutti i punti di vista.
Piersandra Di Matteo
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