St. Moritz Art Masters. E l’India invade l’Engadina
A partire dal 22 agosto, l’Engadina ospita in trenta differenti sedi un itinerario espositivo a cura di Reiner Opoku. Per dieci giorni, la cittadina svizzera celebra l’India, dal modernismo classico agli interventi site specific, dai giovani talenti agli artisti internazionali. Artribune ha intervistato il curatore Berlin-based.
Dopo la scorsa edizione, dedicata alla Cina, al suo settimo anno di vita St. Moritz Art Masters celebra l’India. Sotto la direzione artistica del curatore di residenza berlinese Reiner Opoku, quest’anno il programma della rassegna prevede alcuni itinerari da non mancare, eventi legati sinergicamente gli uni agli altri tra sedi espositive pubbliche e private.
A partire dai progetti site specific realizzati da Shilpa Gupta all’Hotel Castell di Zuoz, di Subodh Gupta alla Chiesa protestante di St. Moritz e di Nalini Malani all’Engadin Museum, bisognerà attraversare una collettiva di lavori della Stellar International Art Foundation, collezione privata della famiglia Choudhrie, esposizione sull’arte moderna indiana con opere di M.F. Husain, Paresh Maity e Jayasri Burman; per giungere infine all’iter principale, il volano di questa settima edizione. Si tratta di India: Maximum City, curata da Birgid Uccia, ospitata dalla Chesa Planta a Zuoz, che presenta le opere di dieci artisti emergenti (Pablo Bartholomew, Amshu Chukki, Pratul Dash, Ranbir Kaleka, Reena Saini Kallat, Manish Nai, Gigi Scaria, Mithu Sen, Sooni Tarraporevala, Hema Upadhyay), ricognizione sugli aspetti sociali, politici, architettonici ed economici della città. Inoltre, il riposizionamento dell’opera di Martin Kippenberger, Portable subway entrance, sarà l’occasione per collegare tutte le sculture ambientali disposte sul territorio in un unico Percorso delle sculture. I lavori già esistenti di Olaf Breuning, James Turrell, Roman Signer e Hubert Kiecol potranno così essere fruiti durante tutto l’anno, così come la nuova opera di Leiko Ikemura, Usagi Kannon, recentemente installata sul lago di St. Moritz.
Ma Art Masters non è solo sinonimo di arte e, dal 25 al 30 agosto, in programma al Kino Scala, sarà aperto un ciclo di proiezioni che animerà il meglio della filmografia indiana degli ultimi cinquant’anni (1958-2013). Inoltre, per la prima volta, alla Chesa Planta a Samedan verrà mostrata una selezione di trenta opere, tra dipinti, fotografie e sculture, provenienti dalla Bilderberg Collection, a cura dell’artista tedesco Christoph Steinmeyer.
Artribune ha analizzato, assieme al direttore artistico di St. Moritz Art Masters, i caratteri principali del blasonato appuntamento svizzero.
Quali sono le tematiche principali che avete messo in rilievo, attraverso i diversi progetti espositivi convergenti sull’India?
Raccontare l’India significa compiere una ricognizione totalizzante su una realtà complessa, attraversata da moltissimi livelli di lettura, ma allo stesso tempo sinonimo di contemporaneità. Siamo particolarmente orgogliosi di lavorare con una profonda conoscitrice dell’India come Birgid Uccia e con lo specialista del cinema Matthias Brunner e l’artista Christoph Steinmeyer, curatore di diverse mostre all’interno dei percorsi offerti.
Come siete riusciti a ricreare e a unire le pietre miliari del vostro progetto sull’India in così tante sedi?
Sicuramente ogni singolo allestimento è un incontro tra Oriente e Occidente, proprio come la mostra a distanza tra Jitish Kallat e Julian Schnabel. Da non perdere anche Subodh Gupta, che propone il suo lavoro School alla Chiesa Protestante, luogo che l’anno scorso aveva ospitato Ai Weiwei, mentre Nalini Malani verrà introdotta in diverse sedi, attraverso molteplici lavori anche all’Engadiner Museum.
Per quale motivo è stata scelta l’India come territorio estetico di riferimento? È una selezione che in qualche modo segue o asseconda i mercati?
Per la terza volta realizziamo un focus dedicato a Paesi specifici, come Brasile e Cina, ma quest’anno l’arte contemporanea indiana ci è sembrata brillasse maggiormente, diventando un campo spirituale, riflettente l’intera varietà di scenari paralleli e amplificati.
Tra collezioni pubbliche e private, come avete gestito i principali prestiti delle installazioni? A quale altra tipologia di kermesse europea potrebbe essere paragonata Art Masters?
La regione dell’Engadina detiene in sé molteplici potenziali, confermati anche dalla concentrazione di energie internazionali veicolate da gallerie, collezionisti e amanti dell’arte che spesso gravitano qui intorno. Questo particolare aiuta a costruire collaborazioni con istituzioni ben radicate in Engadina e curatori connessi internazionalmente con il mondo dell’arte. St. Moritz Art Masters è un festival dell’arte e della cultura atipico e assieme radicato profondamente al paesaggio che lo ospita: per questo motivo non crediamo di appartenere ad alcuno specifico altro format in Europa.
Potresti descrivere l’iniziativa Walk of Art?
È per noi fondamentale prestare grande attenzione a un largo numero di lavori esistenti e preesistenti a ogni edizione di St. Moritz Art Masters. Per questo motivo abbiamo combinato e collegato metaforicamente varie realtà presenti in Valle, in una sorta di cammino che guidi verso una riconfigurazione dei lavori presentati, come gli scorsi anni. L’itinerario collega luoghi dislocati nella natura, nelle chiese, nelle case private e nelle gallerie, da Maloja a S-chanf, e offre progetti e di esposizioni di arte contemporanea internazionale, come la nuova sede della galleria Robilant+Voena di St. Moritz, che ospiterà la mostra di Jitish Kallat e Julian Schnabel. Da ricordare anche Billy Childish alla Chiesa francese di St.Moritz, Francesco Clemente (con una sola installazione) alla palestra di St. Moritz, artista presente con i suoi lavori indiani anche alla Galleria Bischofberger; Manish Nai alla Galleria Karsten; Smriti Dixit al Museo Andrea Robbi di Sils Maria; Philipp Keel a Villa Flor a S-chanf
Ginevra Bria
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