L’ultimo giorno di Pasolini. Intervista con Abel Ferrara e Willelm Dafoe
Chiudiamo con questa doppia intervista il nostro speciale sulla 71° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, all'indomani della consegna dei Leoni. Nessun premio per il "Pasolini" diretto da Ferrara, ma sono in molti ad aver apprezzato il film. Noi abbiamo incontrato il regista e l'attore protagonista, Willelm Dafoe. Ecco come ci raccontano il loro Pasolini...
Le aspettative erano alte e forse il Pasolini di Abel Ferrara paga un titolo che fa pensare a un film biografico, quando invece narra soltanto le ultime ventiquattr’ore del grande cineasta e scrittore italiano, picchiato a morte e investito la notte del 2 novembre 1975 su una spiaggia di Ostia. Lavorando a contatto con le persone che lo hanno visto poco prima della tragica fine, Ferrara ricostruisce le frasi dette, le cose fatte e i progetti in sospeso dell’ultimo Pasolini. Usando eventi e visioni. Come quel progetto di film intitolato Porno-Teo-Kolossal, proposto a Eduardo e di cui Ferrara prova a immaginare la scena clou: un’orgia procretiva tra gay e lesbiche.
Il film però non esalta e il pubblico di Venezia resta tiepido, vagamente critico, indeciso tra gli onori da tributare alla figura di Pasolini e al talento di Ferrara, che chiama un eccellente Willelm Dafoe come protagonista, e il desiderio di capire di più e meglio la figura e la storia di un intellettuale così lucido, complesso e anticipatore. L’autore de Il cattivo tenente e Occhi di serpente, che ormai vive in Italia, ha parlato con i cugini di Pasolini, ha coinvolto Ninetto Davoli, ha ripercorso l’ultima intervista con Furio Colombo e filmato quanto “ha potuto”, essendo la vita una questione di “necessità”. Come spiega questa doppia intervista: Ferrara e Dafoe ci raccontano il loro Pasolini.
Abel Ferrara, come mai questo film? Lei concorda con le idee espresse da Pasolini?
Concordo con lui al 100%. Specie con l’idea che un individuo possa fare la differenza. È un’idea potente.
Il film si muove su piani diversi. Chi è Pasolini per Abel Ferrara?
È come un diamante con tante facce, da una parte il poeta, dall’altra il giornalista che inneggia alla rivoluzione e poi un omosessuale dichiarato che vive liberamente, ma anche un uomo che abita con la madre. Il senso di tutto ciò sta nel suo equilibrio. Magari la gente non può percepire o immaginare questo equilibrio, e forse non è neppure un equilibrio, non lo so, ma puoi davvero vedere come brilla.
Perché è importante ricostruire il giorno della morte?
Perché dopo quarant’anni lui è ancora qui, le sue idee sono ancora qui. Nelle ultime ventiquattr’ore va in Francia per visionare Salò, torna a Roma e rilascia un’intervista a Furio Colombo, pranza con i cugini, la madre e Laura Betti, cena con Davoli, poi incontra Pelosi con cui si reca a Ostia.
Quanto conta la sua vita privata?
È parte della sua estrema libertà, anche intellettuale. Va considerato che non era facile essere un gay dichiarato in quel periodo. Il 1975 è stato un anno sconvolgente per tutti, anche per New York: la città andò in bancarotta e lì fu girato Taxi driver. Un anno magico.
Il film non cerca di ricostruire chi e cosa vi sia dietro l’omicidio di Pasolini. Perché?
Ho parlato con tutti i suoi cari, ma non ho mai chiesto chi lo abbia ucciso. Non sono neppure andato da Pelosi. Abbiamo scritto un dramma in un certo modo, non credo che importi chi sia l’assassino. Lasciamolo andare, dimentichiamo la tragedia, quello che conta è che Pasolini è ancora nella nostra vita, privata e politica.
Nel suo privato, tende a credere alla tesi dell’omocidio su commissione?
La domanda è oscura così come la sua vita è affascinante, ma non importa davvero: che sia stato il suo karma, un incidente o la CIA.
Potrebbe essere stata anche la CIA?
Potrebbe, in quel periodo hanno ucciso il presidente di una nazione dopo averlo rapito in una casa in pieno centro città.
Il film non prende posizione.
Il fatto che mi interessa è che Pasolini sia sceso in strada in cerca di una cosa che per lui era primaria. Era in giro perché voleva qualcosa, ha trovato un ragazzo.
Un ragazzo di vita.
Quando ho parlato con Naldini, suo cugino, mi ha detto che nel 1975 piazza Cinquecento era un posto magnifico, libero, dove si incontravano gli omosessuali. Era come un’isola di libertà nel mezzo di una società autoritaria.
Pensa che a Pasolini sarebbe piaciuto il suo film?
Chi lo sa, lui era un comunista ma stava dalla parte dei poliziotti, era contro la borghesia ma era un borghese. Chi lo sa.
Come ha lavorato sul personaggio con Dafoe?
Gli ho detto “dobbiamo fare questo film”, lui ha fatto le sue cose ed io le mie. Non potevo dirgli come recitare, gli ho dato libertà di lavorare. Ognuno di noi ha studiato Pasolini dal proprio punto di vista.
Ninetto Davoli è la figura presente nella vita come nei film di Pasolini, a lui dedica un doppio ruolo, e il Ninetto giovane lo interpreta Riccardo Scamarcio. Sembra un gioco delle parti.
Ninetto non è un’immagine, nel suo volto avverti davvero che era il migliore amico di Pasolini. Pensa a Pasolini o a Rossellini… hanno questi personaggi che sono così veri.
Lei era interessato a lavorare su dati accertati, su oggetti veri.
Certo, pensa che Ninetto lo abbiamo torturato, letterlamente. Siamo andati a casa sua ed abbiamo razziato i suoi mobili e i suoi vestiti. Graziella, la cugina, ci ha dato la sua agenda, appuntata a mano da lui. È stato incredibile.
Willelm Dafoe, come ha lavorato sul personaggio?
Non lo so, non è stato un film convenzionale, nel senso che non ho trovato uno scritto da recitare. Ho lavorato con Abel già tre volte, ci conosciamo bene. Pasolini si basa su un’idea, un desiderio. È stata una gioia vera immergermi nei molti aspetti della sua vita.
Trova che le idee di Pasolini siano ancora attuali?
Lui parla molto della libertà forzata e lo trovo profetico rispetto a ciò che sta accadendo all’individuo e alla società oggi. È bellissimo il modo in cui attacca quello che reputa sbagliato, usando la sua vita personale così come la poesia, i film o l’attività politica.
Cosa le piace di più della sua figura, del suo pensiero?
L’idea che il comfort raggiunto dalle masse sia una specie di cospirazione, la sua riflessione sul consumismo ed il materialismo, che sono connessi alla sessualità.
Pasolini è come un diamante dalle molte facce, dice Ferrara.
Ha concepito dei mix molto forti, girando in Africa e usando ragazzi del posto, cercando di trovare qualcosa di più essenziale, qualcosa che non fosse condizionato dalla cultura: una umanità pura. Questo spiega il suo amore per le persone semplici.
Quanto i più giovani possono capire questo film?
I giovani di oggi mi paiono poco propensi ad entrare dentro il messaggio di Pasolini, mi paiono più orientati al comfort.
Lei interpreta Pasolini in privato: come considera la sua sessulità?
Era una parte del suo pensiero e ne ha scritto in modo poetico e personale.Una libertà sessuale che faceva il paio con la libertà intellettuale. Mi sento frustrato quando perdiamo la nostra abilità nel dire quel che vediamo, perché siamo ossessionati da ciò che vogliamo vedere. Sono davvero interessato a questa idea che la gente inventi le proprie piccole narrazioni, autoreferenziali e superficiali, per darsi una spiegazione.
Ha molto visto e letto Pasolini, quale suo film ha amato di più?
La passione secondo San Matteo, mi impressionò. La prima volta che lo vidi non conoscevo molto il cinema italiano e ho apprezzato l’uso dei non attori e la semplicità: una strana miscela di devozione e di sacrilegio.
Nicola Davide Angerame
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