Museo Ettore Fico. Una mega-kunsthalle apre a Torino
Siamo andati a visitare il cantiere dell’ormai quasi terminato MEF. Un’occasione per farsi stupire da spazi curati e ampissimi, e da una programmazione che non ha nulla a che fare con uno statico museo “monografico”. Progetto e visione ce li ha raccontati direttore Andrea Busto, in attesa dell’inaugurazione il 21 settembre.
Cominciamo sgombrando un equivoco: Museo Ettore Fico non vuol dire un museo dedicato all’opera di Ettore Fico, giusto?
Il Museo è dedicato alla memoria, alla storia e all’opera di Ettore Fico. Questo però non vuol dire che la programmazione del museo sarà interamente imperniata sulla sua figura. Le mostre si susseguiranno su tematiche e epoche differenti. Vi sarà un occhio di riguardo al contemporaneo. Svilupperemo, in collaborazione con la Fondazione Ettore Fico, di cui siamo i conservatori delle opere del premio omonimo istituito sei anni fa, un programma dedicato ai giovani artisti e ai giovani curatori. Avremo, inoltre, una particolare attenzione alle arti applicate e alle espressioni artistiche non propriamente figurative. Esporremo ciclicamente anche le opere del maestro in contesti che abbiano una proposta culturale allargata e di approfondimento per la sua opera.
Il Museo, la Fondazione, il Premio: in che rapporti sono e di cosa si occupano rispettivamente?
Sono tutte emanazioni del volere della moglie Ines, che si è ispirata alla personalità aperta, generosa e curiosa del marito.
Il Museo conserva le opere di Ettore Fico, quelle degli altri artisti acquisite negli ultimi anni e quelle delle collezioni che sono confluite nel frattempo; si occuperà di produzione di mostre, di cataloghi e di opere direttamente commissionate agli artisti contemporanei.
La Fondazione continua il lavoro di catalogazione e tutela dell’opera di Fico, di tutti i rapporti istituzionali e della promozione dei giovani artisti dentro e fuori il territorio nazionale.
Il Premio, che è una parte fondamentale della Fondazione stessa, continua la sua strada in collaborazione con Artissima e ogni anno individua un’opera particolarmente significativa di un giovane artista internazionale che entra a far parte delle collezioni permanenti del Museo. La giuria è composta ogni anno da importanti critici o direttori di musei italiani.
Ettore Fico in dieci righe: chi era, cosa ha fatto, qual è la sua collocazione storica e di mercato.
Fico è stato un artista che ha vissuto in modo coerente il suo tempo e la sua professione. Ha prodotto in vita, in modo pertinente e continuativo, alcune migliaia di opere che adesso si trovano in innumerevoli collezioni, soprattutto torinesi. Non ha preso parte al dibattito avanguardistico italiano, né prima, né durante, né dopo il Fascismo, ma si è ritagliato uno spazio di grande stima e affetto nel clima artistico italiano. Come lui vi sono altre figure torinesi difficilmente collocabili in un contesto storico preciso. Abbiamo assistito alla riscoperta di Mollino, ora si sta lavorando alla figura di Carol Rama. Domani sarà la volta di Piero Davico, di Franco Garelli e Piero Fogliati. Oggi si riscopre Ettore Fico, le cui quotazioni di mercato sono piuttosto contenute rispetto all’attenzione e alla diffusione presso i collezionisti delle sue opere. Domani, dopo l’apertura del museo, le quotazioni saranno destinate a salire. In previsione anche della pubblicazione del catalogo generale delle sue opere che sarà edito da Silvana Editoriale.
Siamo in Barriera di Milano, a pochi passi dalla Gas Gallery e nello stesso quartiere dove si è trasferita la Galleria di Franco Noero. E dove c’è, in maniera piuttosto evanescente, anche Barriera, luogo noto ai più per la colazione la domenica di Artissima. Come immagini il rapporto col territorio? Nello staff figura una persona dedicata proprio a questo?
Ho immediatamente immaginato una nostra collocazione in dialogo con il quartiere e poi con tutto il territorio cittadino. Il mio timore è stato quello di venire percepiti come un corpo estraneo, così ho immaginato un gruppo di lavoro con funzioni precise per lo sviluppo del MEF in questa direzione. Un responsabile dei rapporti con il territorio è stato inserito nel nostro staff per coordinare un programma di collaborazione con tutte le associazioni culturali di Barriera, che ospiteremo a rotazione ogni giovedì del mese con le loro attività, siano esse di carattere culturale o sociale. La vita di Barriera è molto intensa perché Barriera è molto vasta. Vi sono associazioni che si occupano di video, di cinema, di danza, di letteratura, di socialità, tutte ad alto livello. Con loro svilupperemo un dialogo intenso per trasmettere al quartiere la nostra sintonia con la vita cittadina.
Ho anche avviato un preciso programma con le scuole, che stiamo coordinando da alcuni mesi. Contiamo di dar vita a laboratori che coinvolgano il maggior numero di studenti e che, durante i weekend, ritornino con le famiglie per partecipare ai laboratori pensati proprio per i nuclei famigliari. Un altro dipartimento lavorerà a stretto contatto con le realtà imprenditoriali della zona e a progetti internazionali. Infine abbiamo immaginato un coordinatore degli amici del MEF, che sosterranno il museo e alcune realtà benefiche e non profit piemontesi.
Stringiamo sull’edificio: cos’era in precedenza? E chi ha lavorato al progetto di conversione?
Era un corpo di fabbrica, la parte più imponente di un intero quartiere occupato dalla INCET – Industria Nazionale Cavi Elettrici Torino, che era stato creato negli Anni Cinquanta e dismesso negli Anni Ottanta e che, frazionato, era stato rivenduto a blocchi. Nel 2010 restava invenduta solo quest’ultima porzione che abbiamo acquisito noi. Poi abbiamo impiegato quattro anni, io e l’architetto Cepernich, per definire un progetto e per completare la ristrutturazione. L’idea di base sulla suddivisione dello spazio è stata mia fin dall’inizio, poi con Cepernich abbiamo elaborato i dettagli e lui ha seguito i lavori, le pratiche burocratiche e il cantiere: insomma, ha fatto tutto il resto.
Veniamo ai costi: si parla di 3 milioni di euro. Una cifra incredibilmente bassa se messa a confronto con operazioni simili in città e in altri luoghi d’Italia. Come ci siete riusciti? E visto che parliamo di soldi: che budget avrai a disposizione per la programmazione nel 2015?
Questo è un museo privato che non ha attinto al denaro pubblico. In questo momento di crisi sarebbe stato impossibile attivare un meccanismo di finanziamento diverso da quello delle proprie forze. Così, assunto il ruolo di amministratore – avevo già avuto un’esperienza simile con la ristrutturazione e la gestione di Villa Giulia a Verbania -, ho applicato la regola sempre valida del “buon padre di famiglia”, che non dilapida ma spende bene ciò che ha. E oggi, che il mercato offre molto, si possono ottenere ottimi prezzi e risultati.
Per la programmazione delle mostre 2014/2015 e per la gestione del museo ho in budget circa 700mila euro, ma sono costi variabili che potranno subire variazioni nel corso dell’anno.
Come sono gli spazi espositivi? Perché qui si parla di 2mila mq, non una cosa da poco… Raccontaci anche dei “servizi aggiuntivi”, perché ci sarà anche un bar-bistrot e un bookshop-concept store, giusto?
Gli spazi espositivi sono stati pensati soprattutto per la corretta esposizione delle opere e per il comfort del visitatore. Non vi sono spazi angusti, il percorso è lineare e ad anello. Il vecchio concetto che “ritrovi l’ombrello dove lo hai lasciato” è sempre valido. Ho poi voluto collaborare con un giovane architetto e non con un archistar, per dare la possibilità a un talento emergente di esprimere le sue potenzialità. Inoltre è molto più semplice dialogare con un giovane entusiasta piuttosto che con una superstar oberata di lavoro e sorda.
Il bookshop-concept store è immaginato alla fine del percorso espositivo e corrisponde a una zone lounge del museo in cui, oltre a poter fare acquisti, ci si può rilassare e consultare libri e riviste d’arte. Ho poi chiesto a molti artisti di creare dei multipli appositamente per il museo, cosicché il nostro visitatore possa trovare oggetti unici e particolari.
La caffetteria è stata pensata come un corpo separato ma attiguo al museo. La sua apertura e chiusura saranno indipendenti e la sua accessibilità sarà data da una grande porta comunicante con l’ingresso del museo, che si aprirà in funzione degli orari di apertura degli spazi espositivi. Verranno somministrati cibi di preferenza del territorio con tutte le sue specialità dolciarie e gastronomiche.
Si comincia con una mostra di Ettore Fico, ma già a novembre le cose cambieranno, con un intervento di Alis/Filliol. Parliamo un poco della programmazione: mostre, ma anche didattica, eventi…
Il MEF fin da subito darà l’impressione di un luogo estremamente dinamico e l’ibridazione della mostra storica di Ettore Fico con una di Alis/Filliol ne sarà la prova. Il MEF ha collaborato direttamente con gli artisti e ha commissionato loro una serie di opere inedite e libere dalle gallerie per poter operare direttamente delle acquisizioni per le proprie collezioni. A novembre ci sarà la sesta edizione del Premio della Fondazione. Seguirà a febbraio una mostra dedicata alla plastica come materiale duttile a infinite applicazioni. Il corpus principale delle opere e degli oggetti proverrà dalla collezione di Maria Pia Incutti della Fondazione Plart di Napoli. È una collezione eccezionale e unica nel suo genere, sarà una scoperta per molti.
In estate invece proporremo opere contemporanee che verranno legate al museo da un importantissimo collezionista italiano, Renato Alpegiani. Un corpus di 32 lavori di artisti internazionali, da Danh Vo a Lara Favaretto, da Jimmie Durham a Miroslaw Balka, da Maria Lai a Carol Rama. Su queste mostre innesteremo eventi e laboratori didattici pensati ad hoc per il museo.
Abbiamo inoltre avviato importanti relazioni con istituzioni e fondazioni internazionali, ma è prematuro parlarne perché siamo già alla programmazione del 2016.
Riallarghiamo lo sguardo, coprendo Torino e aree limitrofe. Come vedi la situazione? Potrà il MEF sparigliare un po’ le carte in una città che sembra ingolfata? Qui sono mesi che non si parla d’altro che di Superfondazione, in fondo qualcosa che interessa sì e no qualche decina di persone, e intanto le iniziative scarseggiano…
Mi auguro che il MEF possa dare un nuovo slancio vitale alla situazione torinese, che ha perso in questi ultimi anni il primato di capitale del contemporaneo. Il nostro compito è interagire con le istituzioni esistenti conservando una libertà e un’autonomia proprie. Innanzitutto sarà importantissimo far percepire il MEF come una realtà importante e con eventi di qualità internazionale. La nostra autonomia ci permetterà di avere collaborazioni con chi vorrà dialogare con noi. Abbiamo avviato un tavolo di lavoro con il Comune di Torino e l’assessore Braccialarghe: ci è parso molto interessato a proporci come un museo di riferimento per la città e abbiamo chiesto un incontro con il nuovo assessore alla cultura della Regione, Antonella Parigi, per portare avanti un programma consono al livello qualitativo delle altre realtà cittadine.
Penso che la carta vincente per Torino sia quello di un museo diffuso su tutto il suo territorio, allacciando all’offerta Rivoli e Venaria. Ho invitato tutti i galleristi di Torino e molti di altre città a propormi dei progetti, vedremo.
Sulla Superfondazione non posso ancora esprimere un giudizio perché non conosco a fondo i dettagli, mi auguro solamente che la scelta del direttore avvenga nella più completa trasparenza e legalità. E che sia un italiano.
Marco Enrico Giacomelli
Torino // fino all’8 febbraio 2015
Ettore Fico nelle collezioni
a cura di Marco Meneguzzo e Faye Hirsch
MEF – MUSEO ETTORE FICO
Via Cigna 114
011 853065
[email protected]
www.museofico.it
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