Reportage da Naoshima, l’isola giapponese dell’arte
Tappa obbligata per i globetrotter dell’arte contemporanea, l’isola di Naoshima si trova in un arcipelago paradisiaco del Giappone. La sua icona, ormai celebre in tutto il mondo, è la zucca gialla con pois di Yayoi Kusama, spiaggiata proprio in riva al mare, dove a volte viene addirittura sommersa dall’acqua con l’alta marea. Siamo andati a visitarla per voi…
Naoshima,piccola isola giapponese di pescatori, è riuscita in pochi anni a divenire meta ambita di un turismo d’élite di amatori dell’arte contemporanea, che con fatica raggiunge in gran numero questo straordinario sito. Benesse Art Site Naoshima è il nome con cui la Benesse Holdings Inc. e la Fukutake Foundation, che si occupano di servizi educativi con sede nella città di Okayama, indicano una serie di attività, da loro finanziate, legate all’arte contemporanea che si svolgono sulle vicine isole di Naoshima, Teshima e Inujima nel mare Seto, in Giappone. Naoshima è stata la prima a beneficiare degli investimenti, con numerosi luoghi d’interesse: una cornice unica in cui le opere sono presentate e valorizzate.
Il Benesse House Museum è insieme museo e albergo, con una serie di edifici progettati da Tadao Ando che, come avremo modo di vedere, ha monopolizzato gli interventi sull’isola, con risultati davvero eccellenti. L’albergo vista mare è rivolto a una clientela molto abbiente, essendo arredato interamente con oggetti di design e opere d’arte. Il museo è invece sempre aperto al pubblico e, nella sua ricca collezione permanente, contiene installazioni site specificallestite nei suoi spazi dagli stessi artisti.
Questi ultimi sono tutti celeberrimi: Richard Long, Bruce Nauman, Jennifer Bartlett, solo per citarne alcuni. Ma la cosa più interessante è che l’allestimento non si limita al tradizionale white cube, perché invade lo spazio circostante delle terrazze, del giardino e della spiaggia, con un effetto quasi straniante dove non si è più in grado di stabilire un confine tra ciò che è arte e ciò che non lo è.
Il Chichu Art Museum, ancora una volta opera di Ando, è ancor più straordinario. L’intero museo può essere visto come un immenso intervento site specific. La maggior parte della struttura è infatti ipogea, così da non alterare la natura dell’isola, ma nonostante tutto riceve una gran quantità di luce, che gioca sui profili taglienti e gli angoli acuti dell’architettura, animando le severe superfici in cemento. Il museo accoglie in via permanente pochi artisti: Claude Monet, James Turrell e Walter De Maria. Di Turrell troverete le stanze di luce, presentate anche alla 54. Biennale di Venezia, che in un primo momento appaiono dei monocromi bidimensionali, ma dopo essere letteralmente entrati nel “quadro” si rivelano stanze poco profonde pervase da luce colorata. La monumentale installazione di De Maria, intitolata Time/Timeless/No Time,presenta invece una sfera nera di circa due metri di diametro e ventisette sculture in legno di forma allungata e dorata, illuminate esclusivamente dalla luce naturale proveniente dal soffitto, con continui mutamenti nella percezione d’insieme della grande sala. L’attenta cura nell’allestimento delle opere e nella loro integrazione armonica con l’architettura trova la sua massima espressione con i dipinti di Monet, di cui sono presenti alcune ninfee di grandi dimensioni, non facili da esporre in quella architettura così spigolosa. L’escamotage utilizzato è davvero raffinato: il pavimento è costituito da un elegante mosaico bianco, le cui tessere hanno gli angoli stondati. Questo stesso modulo, il quadrato con angoli stondati delle tessere musive, è poi ripetuto nel perimetro della sala e nel controsoffitto, che lo rende così evidente, in modo che funga da raccordo con le atmosfere impressioniste dei dipinti.
Un altro museo che vale la pena di citare è quello dedicato all’artista giapponese Lee Ufan e alle sue opere dagli Anni Settanta a oggi. Anche in questo caso l’architetto si diletta a stupire il pubblico con un ingresso scenografico, costituito da una lunga scala costeggiata da un alto muro che impedisce ai visitatori in entrata di vedere il mare. Quest’ultimo appare all’improvviso in fondo alla scala, lasciando tutti con il fiato sospeso.
L’iniziativa più significativa dell’isola rimane però l’Art House Projectche si svolge nel distretto di Honmura e comprende sette case tradizionali giapponesi restaurate e valorizzate con l’intervento di artisti contemporanei. Un progetto che ci costringe a vivere l’arte in modo nuovo. Le abitazioni sono infatti dislocate nel distretto residenziale e per raggiungerle bisogna avventurarsi tra le case, chiedere informazioni e infine perdersi tra la gente dell’isola che conduce la sua vita di tutti i giorni e, come sempre in Giappone, è più che disposta ad aiutare il prossimo. Il percorso comincia nell’Honmura Lounge and Archive, una ex cooperativa, ora ristrutturata dall’architetto Ryue Nishizawa, per ospitare una libreria e un centro informazioni riguardo alle iniziative della Benesse.
La prima casa interessata è Kadoya,vecchia di duecento anni, ora ristrutturata con materiali rigorosamente locali, e valorizzata con l’intervento di Tatsuo Miyajima, Sea of Time ’98, la cui realizzazione ha coinvolto i residenti locali. Una serie di numeri scorrono incessantemente sotto un leggero strato d’acqua che invade il pavimento della casa a segnalare lo scorrere inarrestabile del tempo. Minamideraè invece una struttura nuova che rende omaggio a un antico tempio che si trovava in questo sito e accoglieva un tempo la comunità. Disegnata da Ando per ospitare un’opera di James Turrell, è progettata perché non vi sia alcuna infiltrazione di luce. Si viene accompagnati nella sala e aiutati a trovare delle sedute (è davvero molto buio!) dove si rimane fermi per qualche minuto. Se inizialmente la percezione dell’ambiente è totalmente falsata dal buio, dopo un po’ cominciamo a intravedere uno schermo sulla parete di fondo, come fossimo al cinema. Ci viene chiesto di avanzare verso lo schermo fino a toccarlo, per scoprire ancora una volta che si tratta di un vero e proprio ambiente a cui potremmo addirittura accedere.
L’intensità della luce non è mai variata, ci spiega il nostro accompagnatore, è solo un effetto del nostro sguardo che, abituandosi al buio, ci ha mostrato progressivamente la luce e infine la realtà dello spazio.Kinzaè una piccola casa il cui tetto e supporti sono rimasti integri, mentre il resto dell’edificio, mura comprese, è stato trasformato, utilizzando tecniche tradizionali, in un’unica grande opera d’arte. L’antico santuario Edo Go’o Shrineè stato ristrutturato e integrato da Hiroshi Sugimoto, che ha idealmente collegato terra e cielo con una scala di vetro che dal tempio penetra il terreno per giungere in una stanza sotterranea, mentre la casa della famiglia Ishibashi,che un tempo prosperava nell’industria del sale, è stata allestita con meravigliosi pannelli riproducenti cascate d’acqua con un’impressionante resa mimetica.
Gokaisho ospita invece un’opera di Yoshihiro Suda, che ha scolpito nel legno dei fiori di camelia, giocando sull’impossibilità di distinguere le riproduzioni dai fiori originali, il cui albero è piantato nel giardino della casa. L’ultima e più curiosa è forse la “casa del dentista”, Haisha, trasformata integralmente da Shinro Ohtake, con uno stile eclettico che rielabora efficacemente numerose suggestioni. La Statua della Libertà che buca il pavimento per imporsi sui due piani della casa è davvero impressionante.
Prima di lasciare l’arcipelago vale la pena di visitare le vicine Teshima e Inujima, che ospitano rispettivamente un museo dell’artista Rei Naito e dell’architetto Ryue Nishizawa – che ha la forma di una goccia d’acqua e si affaccia sulle risaie a picco sul mare – e un sito di archeologia industriale ora musealizzato che si fa portavoce di una nuova sensibilità per l’ambiente e le sue risorse. Anche nella piccola Inujima, che forse qualcuno ricorderà nel video di Fiona Tan esposto al Maxxi l’anno scorso, si è cercato di dar vita a un analogo Art House Project in un clima ancor più surreale per il minor afflusso di turisti.
L’eccezionalità di questi interventi sta nella natura unica del contesto in cui le opere si insediano in totale armonia con la natura e con la tradizione del Giappone. Le opere d’arte sono presenti in tutta l’isola di cui occupano indiscriminatamente ogni luogo, perché il contatto con la vita possa alimentare sempre la loro forza e rinnovarle ogni giorno.
Giovanna Fazzuoli
http://www.benesse-artsite.jp/en/
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