Storia di ordinaria follia. Protagonisti: una strada statale e un’antica sinagoga
Andare in vacanza può non essere sempre piacevole. Soprattutto se vai in un posto meraviglioso, con un mare stupendo, una storia fantastica, un patrimonio artistico notevole e scopri che lo Stato sta facendo di tutto per togliertelo. Piccolo e raccapricciante reportage da Bova, in piena Grecanica.
In Calabria, fra le acque limpide dello Jonio e le prime pendici dell’Aspromonte, si estende una porzione di terra ricca di storie e di culture, un’area geografica sconosciuta ai più e che viene chiamata con il nome di Grecanica. Qui infatti una minoranza linguistica parla ancora un dialetto ellenofono, un’evoluzione del greco dorico e bizantino, ricevuto in eredità dal passaggio dei mercanti e guerrieri spartani, calcidici ed achei in fuga dal Mar Egeo quasi tremila anni fa che da queste parti – e pure un po’ più in là, sulla costa orientale della Sicilia ed in Puglia – fondarono una nuova comunità, la Magna Grecia.
Al centro di questo territorio c’è una piccola città, si chiama Bova, ed è considerata uno dei borghi più belli d’Italia, immersa com’è fra vigneti e bergamotti, circondata da pascoli di capre, da gelsi e da ulivi secolari. Eppure, come se non bastasse, questa comunità e questi territori nascondono incredibili tesori archeologici sotto le proprie case, fra le colline, sotto al mare. A Umbro, per esempio, sono state ritrovate tracce di un insediamento risalente al Neolitico ed all’Età del Bronzo; a San Niceto, su un’altura rocciosa, resiste al tempo una piccola chiesetta di origine bizantina; a Bova Marina, l’antica Delia, sono emersi i resti di una residenza romana di epoca imperiale, e in contrada Amigdalà gli archeologi si sono trovati di fronte a un miliario – una colonna in pietra, la famosa “pietra miliare”, destinata a scandire le distanze delle strade – dell’età di Massenzio, l’imperatore che governò nel primo decennio del 300 dopo Cristo.
Basterebbe questo piccolo elenco di meraviglie naturali e storiche per far di Bova e del suo comprensorio un punto di riferimento per lo sviluppo culturale ma anche economico di una Regione sempre in difficoltà, che però non sembra intenzionata a sfruttarne le ricchezze, e tantomeno sembra voler sentir parlare di creare un indotto e un profitto dalla potenzialmente fertilissima “industria culturale” che si trova proprio sotto casa.
Tutto qui? Eh no, purtroppo. Il bello, si fa per dire, deve ancora arrivare. Perché se non si sviluppano politiche economiche adeguate è un peccato, un errore strategico, ed è figlio di una visione miope e arretrata che vede nel nostro patrimonio artistico, archeologico e paesaggistico un problema da amministrare e non una risorsa da valorizzare; ma qui a Bova Marina, in località San Pasquale per la precisione, lo Stato e le sue istituzioni hanno alla fine commesso davvero un delitto clamoroso, e alla luce del sole, contro le nostre terre e contro la nostra storia, ed è un fatto molto grave, oltretutto perché pochi ne sono a conoscenza. E ne sono inorriditi.
Nel 1983, quando l’Anas, la società che gestisce la rete stradale e autostradale italiana, decide di avviare un riammodernamento della Strada Statale 106 – la cosiddetta Jonica, perché percorre il litorale della Penisola da Reggio Calabria verso Taranto – vengono scoperti a San Pasquale i resti di un insediamento ebraico del quarto secolo dopo Cristo, distrutto da un incendio intorno al 590. Un piccolo museo costruito accanto al sito conserva molti oggetti qui ritrovati: un’ansa timbrata con il simbolo della menorah, un tesoretto di monete d’argento, stoppini per lampade, ma soprattutto un meraviglioso mosaico lì ricostruito, stilisticamente simile a quelli prodotti nel Nordafrica, e raffigurante simboli sacri agli ebrei come il cedro, lo shoffar o corno d’ariete, e il Nodo di Salomone. Si tratta certamente della decorazione di un’aula di preghiera, e quindi, secondo gli archeologi e gli studiosi di cultura ebraica, siamo di fronte a una vera e propria sinagoga.
E fin qui tutto bene, anzi meraviglioso. Ma c’è di più: da un punto di vista storico, a San Pasquale sono riaffiorati i resti della più antica Sinagoga d’Europa, seconda solo a quella ritrovata a Ostia Antica, in provincia di Roma, nel 1961. Da un punto di vista religioso, l’area è un punto di riferimento per gli ebrei di mezzo mondo e qui, proprio qui, l’allora rabbino capo di Gerusalemme si disse convinto di poter trovare nella zona possibili resti di altre sinagoghe. Basterebbe scavare ancora un po’… Ma non ci sono i soldi, si disse.
Quindi, ricapitolando: in questa sperduta parte d’Italia si ritrovano a convivere tracce di uomini primitivi, di Greci, di Romani, di Ebrei e noi ritroviamo reperti archeologici, naturali e artistici. Di fronte a questo enorme “capitale”, ci viene da pensare, qualunque uomo o ente o istituzione di buon senso avrebbe confezionato un museo d’avanguardia, creato posti di lavoro, cercato sponsor per mantenerli, pubblicizzato il luogo, creato eventi ad hoc, mandato mail, contattato esperti, storici dell’arte, televisioni ecc. Tutto pur di valorizzare l’area, portare gente, dare aria all’economia locale e lustro alle nostre ricchezze.
E invece cosa è successo? Di quale delitto stavamo parlando poco fa? Se non volete rovinarvi la sorpresa, guardate le foto e capirete da soli. In sostanza, l’Anas, la Regione Calabria, il Governo e non sappiamo chi, anziché proteggere e mettere in salvo il sito, e visto che prima della cultura, della storia e dell’arte, ci sono le automobili, i tir e gli appalti, hanno pensato bene di andare avanti nella costruzione e nel riammodernamento della SS106. Direte voi: avranno spostato comunque il cantiere, cambiato almeno il progetto urbanistico, magari finanziato i lavori di scavo? Nient’affatto, niente di tutto ciò. Hanno pensato bene di non voler sprecare tempo e denaro, e così la Statale l’hanno posizionata proprio sopra l’antica sinagoga. Anzi, la strada a due corsie le fa proprio da tetto, mentre i piloni di cemento armato, di nobile origine novecentesca, sono davvero dentro al perimetro del vecchio quartiere ebraico. Non è forse così che si proteggono le cose che si amano?
Max Mutarelli
http://atlante.beniculturalicalabria.it/schede.php?id=48
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