Apocalisse del reale. O del riciclaggio di eventi artistici
La Ripetizione differente, quarant’anni dopo; When attitudes become form, quarantacinque anni dopo; Programmare l’arte, cinquant’anni dopo… Il riciclaggio di eventi artistici del passato, la loro riabilitazione più o meno eclettica lascia intravedere che l’arte, sottratta al tempo ciclico, è ora preda del tempo riciclabile.
È come se l’arte cercasse nei magazzini della storia una redenzione. Ieri la fuga in avanti dell’arte come alterità con le prime e seconde avanguardie; oggi un’apocalisse retrospettiva: tutto viene ripensato, riproposto, rivisitato, fino alle commemorazioni integrali di mostre storiche. È come se il commento del passato prendesse il posto delle opere. L’arte come esperienza dell’alterità è il nostro referente perduto. Le mostre che entrano nella scena della rivisitazione mediatica sono quelle che escono dalla scena della storia. L’agonia dei referenti è il sintomo eclatante di un vuoto culturale, per cui va bene tutto, pur di sottrarsi a questo vuoto.
Per certi aspetti è come se la totale estetizzazione del quotidiano avesse provocato una sorta di leucemia nell’arte. Il feticismo così passa dagli oggetti e dalle immagini alla storia. Ma è anche una specie di check up della cultura, cosi come vi è un check up del corpo. Una rivisitazione generale della propria storia in assenza di eventi che fanno storia.
A questo punto si pone il problema del rapporto conflittuale fra realtà e finzione. Come vedere questo rapporto alla luce di questo riciclaggio generalizzato della storia? Ora, ogni fatto o esperienza riciclata è un non-evento. Vale a dire una finzione. Se la realtà dell’arte è permeata di finzione, si effettua reduplicando esperienze passate, allora questa stessa realtà è irreale. Molti eventi definiti “contemporanei” somigliano così alle ombre platoniche proiettate sul muro della caverna, questa sì, reale.
In questo scenario, azioni come quelle di Jeremy Deller, di Francis Alÿs o di William Kentridge, per citarne solo alcuni, costituiscono un avamposto, dove l’arte diventa una creazione di realtà, in un mondo dove essa ormai è solo finzione. Apocalisse significa rivelazione, ma anche svelamento, togliere il velo sulla cosa, in questo caso sul reale e sulla finzione.
Scopriamo così che una certa realtà dell’arte è ancora sotto il dominio della finzione. È al di qua dell’apocalisse. Mentre si tracciano nuove proposizioni antagoniste a questo riciclaggio generalizzato, dove l’arte crea realtà. Dunque crea brutte sorprese per l’universo coatto della finzione, ne rivela, appunto, l’impostura.
Marcello Faletra
SAGGISTA E REDATTORE DI CYBERZONE
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #21
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