Fotografare oggi. Davide Monteleone da Carmignac alla Saatchi Gallery di Londra
La Russia e la Cecenia, terre nelle quali ha speso anni a fotografare. E poi la fotografia in sé, con tutte le sfide e le opportunità che le nuove tecnologie presentano a un linguaggio sempre attuale. Questi i temi della nostra conversazione con Davide Monteleone, vincitore della quarta edizione del Carmignac Gestion Photojournalism Award. Ora in mostra alla Saatchi Gallery di Londra.
Hai vissuto e lavorato a lungo nell’ex Unione Sovietica, di cui hai conosciuto diverse aree. Quale idea ti sei fatto del caos che sta travolgendo l’Ucraina, ma soprattutto della posizione che la Russia sta assumendo sullo scacchiere internazionale?
Una domanda complicata a cui è difficile rispondere: c’è gente che scrive trattati su questioni come queste! La cosa di cui sono preoccupato ora, avendo passato molto tempo in Russia e avendo là diversi amici, è che a pagare siano come al solito le persone comuni. È un popolo che ha sofferto tanto, che ha subito un lungo isolamento e che solo adesso, diciamo dall’inizio del Duemila, cominciava a vivere la possibilità di un’integrazione con l’Occidente che ora sembra essere nuovamente preclusa. Ho paura che la Russia torni in uno stato di isolamento: condizione che non fa bene a nessuno, né a loro né a noi. Quello russo non è un popolo facile con cui rapportarsi per noi occidentali, con ogni persona ci si confronta secondo parametri che non sono quelli a cui siamo abituati.
Come sei riuscito a calarti nella loro realtà e a lavorare in quelle aree su progetti certo non leggeri sotto il profilo sociale?
Credo di aver scoperto di essere più russo di quanto non mi aspettassi, e forse è per questo che il mio legame con quel Paese dura da così tanto. Per me la Russia è un po’ un amplificatore di modalità sociali, sentimenti ed emozioni che in realtà ho dentro: e che si esprimono goffamente in Italia, mentre lì sono assolutamente accettate.
Da Occidente guardiamo alla Russia come una nazione con un’identità ben delineata e precisa, dimenticando la sua natura fortemente multietnica: fattore questo che determina, poi, buona parte delle sue problematiche interne. Dei tanti popoli che abitano il Paese con quale hai avuto meno difficoltà a sintonizzarti?
Diciamo che non ne ho incontrati tanti, alla fine mi sono occupato principalmente di una Russia europea – quindi a dominanza slava ortodossa – e poi del Caucaso, dove sì ci sono tantissime etnie, ma non paragonabili a quelle che incontreresti viaggiando in tutto il Paese. Sì, le etnie esprimono valori sociali e culturali diversi le une dalle altre: ma poi, come ovunque nel mondo, è l’individuo a fare la differenza.
E quale luogo, invece, hai trovato più stimolante?
Evidentemente il Caucaso, sennò non ci avrei passato così tanto tempo. Perché è un’area che storicamente non è sempre appartenuta alla Russia, quindi ha tradizioni sociali e religiose che sono diverse da quelle slave e ha avuto sempre difficoltà a integrarsi con il resto del Paese, già ai tempi dell’Unione Sovietica e prima ancora all’epoca degli Zar. È un po’ un microcosmo, che ha subito un appiattimento negli anni del regime comunista e che ora, con le politiche di Putin, sta conoscendo una sorte simile.
Come cambia il lavoro del reporter alla luce dell’avanzare della tecnologia? E della democratizzazione dell’immagine: oggi che chiunque può scattare agevolmente, anche solo con uno smartphone…
La democrazia sembra sempre bellissima, quando ti tocca da vicino scopri però quanto possa fare male! La difficoltà di adesso è che si naviga sempre a vista: non c’è certezza che ci sia un cliente domani, che i referenti rimangano gli stessi, addirittura che la professione sopravviva. Certamente la situazione è instabile, complicata, ma allo stesso tempo offre tantissime possibilità. Bisogna un po’ arrangiarsi e adattarsi, quotidianamente.
Il ricorso crescente, da parte degli organi di informazione, a immagini non professionali – pensiamo alla fotografia ma forse soprattutto al video amatoriale usato per raccontare la cronaca in presa diretta – che cosa può comportare in termini di cultura dell’immagine stessa?
Credo che quel genere di informazione non abbia mai creato davvero una cultura dell’immagine, questa si è sempre veicolata attraverso altri canali: e oggi c’è una quantità di festival, mostre, fiere, libri fotografici in circolazione come mai prima d’ora. Quindi forse la cultura dell’immagine si sviluppa più adesso di quanto non abbia fatto in passato; il problema semmai è che la quantità di materiali fa perdere l’attenzione: un gran numero di fotografie, un bombardamento tale, rischia di distrarre il pubblico. È più difficile allora che possano emergere immagini che sono di qualità e che dovrebbero in qualche modo durare un po’ più a lungo.
Il tema della manipolazione dell’immagine è centrale in questo dibattito sulla fotografia? Pensiamo solo alle critiche ricevute da Paul Hansen per aver “aggiustato” i colori dell’immagine con cui ha vinto il World Press Photo 2013…
Quello della sofisticazione dell’immagine è un tema talmente complicato che non si può ridurre alla manipolazione delle tonalità cromatiche o dei chiaroscuri. È evidente come, se si parla di fotogiornalismo, l’aggiunta o la sottrazione di informazioni non è qualcosa di gradevole: parliamo anzi di qualcosa di eticamente sbagliato. Però ho paura che in questo momento si stia arrivando alla caccia alle streghe, per cui tutti sono colpevoli. Forse bisognerebbe valutare caso per caso, capire quali sono le motivazioni, giudicare se effettivamente c’è una mistificazione o meno. Diciamo che la fotografia mente sempre, non è mai del tutto onesta.
La questione sta allora forse su quanto essa menta, e quanto siamo disposti a perdonarle.
Il problema non è nemmeno questo, non credo si possa pensare di stabilire addirittura – come è stato proposto – organismi che stabiliscano regole in materia. Il nodo è semmai quello del tradimento: e si entra cioè nel merito della questione non tanto se si mente o meno. Ma se non si dichiara la menzogna.
Francesco Sala
Londra // fino al 3 novembre 2014
Davide Monteleone – Spasibo
Catalogo Kehrer
SAATCHI GALLERY
King’s Road
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http://www.fondation-carmignac.com/photojournalism-award/
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