Palermo, Zac e i Cantieri. Cronaca di un’occasione persa
Padiglioni resuscitati e di nuovo sigillati. Opere abbandonate tra topi e umidità. Un progetto di gestione evaporato. L’assenza di direttori. Così naufraga (per ora) il rinascimento dei Cantieri Culturali alla Zisa, a Palermo. Metafora di un fallimento amministrativo. Sette testimonianze fuori dai denti, legate al centro per le arti visive Zac e al Cinema De Seta. Un’analisi degli errori fatti, per una nuova strategia da mettere a punto. Insieme al giovane assessore-artista, appena nominato da Leoluca Orlando…
Era il maggio del 2012. Leoluca Orlando veniva incoronato per le terza volta sindaco di Palermo, riconquistando una città logorata da una lunga stagione di mediocrità politica e culturale. A votarlo, in un ballottaggio plebiscitario, target lontanissimi: dalle nuove generazioni bisognose di un rassicurante appiglio, all’esercito dei precari in cerca di benevolenza nuova, passando per la più matura élite artistica e intellettuale, gonfia di nostalgia. Il tributo elettorale liberò una scarica adrenalinica tra le arterie di una cittadinanza esasperata.
La memoria correva fino alla seconda metà degli Anni Novanta. Tempi di vacche grasse e di primavere energiche, di laboriosi pionieri e di audaci sperimentazioni; tempi ai margini di un’epoca buia, scandita da fatti di mafia e arretratezze provinciali. Era il 1996. A Palermo nascevano i Cantieri Culturali alla Zisa. La cittadella dell’arte, ricavata nell’ex complesso industriale Ducrot, recuperava alcuni capannoni in disuso per destinarli a mostre, spettacoli, concerti. Un miracolo. Mai affidato, però, a una forma giuridica stabile – un museo, una fondazione, un consorzio pubblico/privato – e così soggetto agli input spontanei di questo o di quel sindaco, di questo o quell’assessore. I dieci anni della giunta di Diego Cammarata segnarono una progressiva caduta: i Cantieri morirono, poco a poco.
La primavera orlandiana del terzo millennio sancì la rinascita di questo luogo. A partire da due spazi nuovi di zecca ma mai inaugurati, lentamente scivolati nell’oblio. Si aprirono così le porte di Zac, centro per le arti contemporanee, e del De Seta, primo cinema d’essai comunale. Fermento, energia, desiderio. Qualcuno ci credeva davvero, qualcun altro no. Ma era il caso di darsi una chance.
Zac venne affidato a un comitato scientifico, arruolato a titolo gratuito e composto da artisti, curatori, galleristi, docenti, figure istituzionali:Alessandro Bazan, Francesco De Grandi, Daniela Bigi, Emilia Valenza, Gianna Di Piazza, Luciana Giunta, Eva Di Stefano, Paolo Falcone, Francesco Pantaleone, Antonella Purpura, Alessandro Rais, Sergio Troisi. Partì un laboratorio con un’ottantina di artisti, individuati in assenza di bando e coinvolti per ben sette mesi (dicembre 2012-luglio 2013): al termine, una grande collettiva, senza un concept, né una selezione, né una forma omogenea, salutò il battesimo espositivo del gigantesco hangar e di un secondo padiglione collaterale, nell’attesa che un progetto museale venisse consegnato dai curatori e avviato dall’amministrazione. Una mostra un po’ così. Confusa e felice, già segnata da lamentele interne, ma con la speranza che qualcosa potesse accadere, all’indomani.
“Si trattava di progettare il futuro spazio del museo, disegnarne la struttura, suggerire risorse e indicare le linee culturali”, ci spiega Eva Di Stefano, saggista, ricercatrice, docente d’arte contemporanea all’Università di Palermo. “Ma invece di un documento ci siamo ritrovati a dover realizzare in fretta e furia una mostra d’apertura a costo zero, che occupasse lo spazio per mesi. Un’avventura che poteva anche funzionare se ci fossero state le condizioni organizzative, che però mancarono del tutto: non c’erano referenti certi e personale addetto, era problematico anche ottenere i materiali di base, le lentezze e inadempienze burocratiche erano all’ordine del giorno”.
Ci va giù duro, la Di Stefano: “Oggi posso dire che l’unica cosa indovinata di ZAC è il suo nome agile e divertente. Cosa ha rappresentato? Una trappola per gli artisti e il comitato scientifico. Più che un esperimento artistico è stato un esperimento psico-sociale: metti cento persone in uno stanzone senza indicazioni e senza mezzi di sussistenza e sta a vedere cosa succede. Va detto che ci sono state ottime prove di resistenza: l’artista palermitano resiste al caldo, al freddo, alla mancanza di cessi…”. Deprimente. Desolante.
E il futuro? “Per prima cosa l’amministrazione dovrebbe dare una risposta agli artisti che hanno ancora lì dentro le opere: un atto di rispetto. Ci vorrebbe quindi un unico direttore competente, dotato di strumenti per agire, personale e risorse finanziarie, magari anche un tavolo di consulenti, ma non più la trappola collegiale di un comitato di volenterosi e disarmati operatori. E bisognerebbe pensare a rimodulare l’interno del padiglione, rendendolo più funzionale per esigenze espositive multiple”.
Le fa eco Sergio Troisi, autorevole giornalista e critico d’arte, anche lui testimone diretto di una disillusione progressiva. “Il nostro progetto di governance è stato esposto nelle linee generali all’assessore alla cultura Francesco Giambrone già nel maggio 2013. A dicembre è scaduto il nostro incarico, mai rinnovato. La mia sensazione è che durante quei mesi non tutti i rami dell’amministrazione operassero nella stessa direzione, anzi. Alcuni problemi, come quelli relativi all’agibilità dello spazio, alla guardiania, alla gestione del personale, sono rimasti irrisolti. Lo stesso spazio ha evidenziato difficoltà tecnico-strutturali di base, non risolvibili in tempi brevi. L’entusiasmo e la partecipazione di tutti sono stati l’elemento positivo, interamente vanificato dal modo con cui l’esperienza è finita in un cul de sac, temo frustrando iniziative analoghe per i prossimi dieci anni”.
Una cornice di paralisi semipermanente, con la necessità di un piano economico colossale, adeguato alle dimensioni e le ambizioni del complesso. Per una città sull’orlo del dissesto economico, praticamente un’utopia. Tutta colpa della precedente amministrazione e della sua pesante eredità? Agli inizi, forse. Ma a due anni e mezzo dalle elezioni quel grado zero è assordante come e più di prima. “Ad oggi”, aggiunge Troisi, “la generale apertura di credito di cui la giunta Orlando aveva beneficiato si è esaurita, senza contare il tema dell’assenza di risorse e dal patto di stabilità che bloccano gli enti locali. Anche per queste ragioni temo che i Cantieri, a quasi vent’anni dalla loro invenzione quale possibile polo culturale, siano oggi una scommessa perduta”.
Ancora dal gruppo di curatori, la testimonianza di un artista, Francesco De Grandi: “Zac è stato un esperimento per un’idea di museo-laboratorio dove tutte le componenti che reggono un museo (compresa la comunità artistica e quella cittadina) potessero avere una voce in capitolo. Insieme agli artisti il comitato scientifico ha donato all’amministrazione un’energia e una vitalità che raramente si vedono tra le bianche mura di un museo. Zac è stato luogo di transito di artisti internazionali, curatori, filosofi, cineasti, direttori di museo, confrontatisi con il tessuto urbano sul lavoro e sui progetti, innescando uno scambio e una circolazione di idee eccezionale”. Bilancio positivo, dunque, per quel che riguarda dinamiche sociali, motivazioni, attività parallele. Ma l’origine del naufragio dove stava e dove va arginata? “Rigiro la domanda a un’amministrazione che non ha saputo difendere e valorizzare questo tesoro, alla schiera di custodi e funzionari stipendiati che non sono stati in grado di risolvere i problemi amministrativi quotidiani. Noi tutti, dal comitato fino all’ultimo degli artisti, attendiamo ancora risposte. E attendiamo che le innumerevoli promesse fatteci vengano mantenute”.
A pochi mesi dall’inaugurazione della mostra-contenitore,una cortina stagnante aleggiava sui due grandi padiglione serrati, in cui fluttuavano, tra infiltrazioni di pioggia e impietose solitudini, decine di opere bloccate in un limbo odoroso di muffa. Di commenti rammaricati degli artisti ne abbiamo raccolti parecchi. Uno su tutti quello diLuca Lo Coco: “Avevamo trasformato il grigio squallido di un capannone industriale in vivido colore. Eravamo laboratorio d’arte, fornace creativa sempre attiva. ZAC ha saputo tradire gli artisti perché non si è mai innamorato di loro e ha avuto il coraggio di pugnalarli, con freddezza. Da estraneo non ha compreso il valore dei doni ricevuti, e con meschina negligenza ha permesso che un magnifico giardino fiorito marcisse senz’acqua”.
La negligenza, l’assenza d’amore. Non c’è retorica in questa denuncia. Molta rabbia semmai, e il senso di una disillusione che pesa. “Zac ha abbandonato le opere dei suoi artisti, le ha lasciate marcire, mangiare dai topi, ha permesso che i colombi le firmassero con i propri escrementi. Ha esposto la creatività in luoghi non idonei, non si è preoccupato della tutela di sculture, dipinti e installazioni creati da giovani che avevano investito di tasca propria. Opere dilaniate, simboli di un amore non corrisposto, il cui epilogo ha il sapore di tradimento”.
In quei luoghi, la scorsa estate, sono state rinvenute tracce di eternit: il secondo padiglione è stato sigillato, mentre partivano le indagini. La minaccia ecologico-sanitaria come ultimo atto di una deriva stolta.
A fine ottobre 2014 l’architetto Giuseppe Marsala, direttore tecnico-artistico dell’intero plesso dei Cantieri- sempre a titolo gratuito, vezzo politico scorretto e falsamente virtuoso – ha consegnato le sue dimissioni. Il suo nome era circolato, nelle scorse settimane, tra i papabili assessori alla Cultura, dopo il passaggio di Francesco Giambrone all’Ente Teatro Massimo. Rumors infondati. “I Cantieri erano completamente abbandonati”, ci spiega. “Abbiamo dato il via all’operazione Zac forzando una serie di anomalie, per prima la mancanza di un certificato di agibilità, che tutt’ora non c’è: se avessimo atteso i tempi della burocrazia non avemmo ancora aperto. Le situazioni di emergenza, però, devono avere un termine. Servono tutte le carte a posto e serve un modello di gestione, con dei contenitori amministrativi efficienti”.
Ma l’attestazione del fallimento c’è o no? “Chiamare questa esperienza un fallimento è un errore. Non abbiamo avuto strumenti, risorse ed apparati necessari, ma Zac resta il modello da cui ripartire. Quello che salverei? L’idea di cultura come azione dal basso, con i giovani artisti che, in quanto comunità, hanno avuto qui un luogo, una voce, una casa. Questa resta la mission politica dei Cantieri, voluta da me e dall’ex assessore Giambrone. Adesso manca la cornice. E il primo a riconoscerlo è il Sindaco, che sta sostenendo l’ipotesi di una Fondazione. Le mie dimissioni? Hanno senso proprio nell’ottica di un cambio di passo. La dimensione della gratuità, necessaria per ripartire, non deve protrarsi. Occorre avviare un percorso che valorizzi le professionalitàe il lavoro. Il mio gesto vuole solo accelerare questo processo di cambiamento, affinché i Cantieri possano diventare un’opera compiuta e dal futuro solido”.
E all’indomani di questa dipartita c’è già chi va all’attacco, preparando una lettera aperta per il Comune. Parliamo della neonata associazione Lumpen, lanciata da un gruppo di operatori palermitani nel campo delle arti visive, del cinema, del teatro, della tv, stretta intorno alla figura di Franco Maresco. “Riteniamo doveroso porre la questione di questa struttura al centro di un dibattito cittadino”, ci spiega uno dei fondatori,Francesco Guttuso, autore e regista. Che aggiunge: “Nel caso di Zac è mancata una selezione ferrea degli artisti. Troppa democrazia. L’Arte e la Democrazia difficilmente vanno d’accordo. Anzi, mai. Vogliamo parlare del Cinema De Seta? A parte alcune incomprensibili scelte strutturali dell’architetto, lo spazio è bellissimo ed è una risorsa per la città. Cosa manca? Una guida! Un paio di anni fa autorevoli firme nazionali avevano chiesto di affidare a Maresco la direzione artistica. Cosa è successo? Niente. Il De Seta è rimasto un contenitore senza progettualità, un cinema parrocchiale, un’Aula Magna scolastica adibita a convegni e proiezioni varie. Al di là di qualche rara eccezione, il livello è molto basso. Palermo merita di più”.
Torna, insistente, l’esigenza di un capitano al timone di questi spazi, oltre le logiche buoniste e ruffiane della cooperazione del basso, della gratuità, della rete non profit volontaria. La democrazia liquida, in casi come questi, è un’illusione perniciosa. Probabilmente furba. Sicuramente economica: ma a quale prezzo reale?
Fin qui le analisi del già fatto. Lo sguardo critico, la riflessione dolorosa sulle falle, i vuoti, le istanze. L’obiettivo? Provarci, di nuovo. E ci proverà – assicura – il giovaneAndrea Cusumano, che a sorpresa ha occupato la poltrona vacante di assessore alla cultura. Un artista. Un pittore. Un uomo di teatro, da anni assistente di Hermann Nitsch, tornato dall’estero per onorare l’incarico. Scelta coraggiosa. A cui, ancora una volta, si guarda con speranza. “L’idea è di far diventare i Cantieri una fondazione partecipata, possibilmente entro la fine dell’anno”, ci racconta. Tempistiche assolutamente improbabili, ma l’obiettivo è quello giusto. “Serve un chiaro piano di gestione e di risorse che possa consentirne la sostenibilità e garantirne l’apertura nel tempo. Vorrei coinvolgere più soggetti internazionali, ho già avuto contatti con il Libano, la Germania, il Regno Unito. Va rintracciata un’identità per questo posto”.
Parole responsabili, dietro cui si intravede una logica, opposta al vizio dell’improvvisazione. Ma il tema, al di là dei buoni propositi, è uno: dove sono le economie? “Le risorse finanziarie sono poche, ma questo non giustifica la stasi, la rinuncia. Il modello assistenzialista legato al portafoglio pubblico è finito. Occupazioni, autogestioni? Sono segnali positivi che arrivano dalla gente, ma si tratta di strategie d’emergenza, non di pratiche sostenibili. Dobbiamo guardare ad altri modelli e far sì che cittadini ed amministratori collaborino in maniera strutturata, insieme al privato”.
Cusumano prova a esercitare uno sguardo lungo. E se sul piano dei principi fa chiarezza, su quello della concretezza chiede“tempo” e “pazienza”. Il tema delle direzioni artistiche per Zac e del De Seta, ad esempio: “In questa fase potrebbe rivelarsi un boomerang. Non voglio affidare a nessuno uno spazio che non abbia ancora la possibilità di essere gestito con successo”. L’appello alla fiducia, contro il pessimismo diffuso, è la chiosa di questo statement.
E intanto Palermo, che ha bucato le prime selezioni per la candidatura a Capitale della Cultura 2019e che Legambiente inserisce tra le dieci città meno vivibili d’Italia, continua a girare in tondo, tra povertà, sporcizia, incuria, incapacità gestionali, assenteismi e inefficienze dirigenziali. Una città in sofferenza, che sta provando a sanare un buco economico clamoroso e che si incastona nella più opaca architettura della macchina Regione, luogo di dittature burocratiche, immobilismi, sprechi, assenza di progettualità. Una matrioska di congegni infernali che stritolano la migliore volontà del singolo di turno.
E auspicando – per provocazione – l’avvento di un commissariamento radicale, che piombi sull’isola ad azzerare la cancrena, il nemico resta quel sistema ottuso che sfracella ogni buona iniziativa contro la solita muraglia di pigrizia, corruzione o imbecillità. Perché quello che la Sicilia genera, la Sicilia distrugge; quello che la Sicilia intuisce, poi rinnega; quello che la Sicilia può, non fa. Mentre s’avvicina e s‘allontana, a intermittenza, il tempo di una primavera feroce e visionaria.
Helga Marsala
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