New York tira fuori gli artigli per le aste autunnali, approfittando del momento favorevole per il dollaro, che gonfia i muscoli non solo nel cambio con l’euro ma anche con lo yen, grazie all’economia americana in piena ripresa. Una piazza sempre più importante ove presentare capolavori d’arte moderna e contemporanea, favorita da enormi afflussi monetari e ora da una crescita valutaria che soddisfa anche i venditori esteri.
A novembre New York sfodera capolavori come Vaso con margherite e papaveri (1890) di Vincent van Gogh, rara occasione in cui un’opera museale appare sul mercato negli ultimo quarant’anni; icone della scultura moderna come una Tête (1911-12) di Amedeo Modigliani o Chariot (1950) di Alberto Giacometti, in asta per la prima volta. Collezioni prestigiose come quella di Rachel Lambert Mellon, una delle famiglie più influenti degli States, o dei celebri mecenati Pierre e Sao Schlumberger, di cui fa parte una magnifica tela di Rothko del 1951, in catalogo da Sotheby’s l’11 novembre, No. 21 (Red, Brown, Black and Orange), conservata in collezione per oltre quarant’anni. Nella stessa asta, un’icona dell’arte americana: Flag del 1983 di Jasper Johns, stimata 15-20 milioni di dollari, la stessa stima di un’opera che nel 2010 raggiunse i 28.6 milioni, segnando il record per l’artista.
Come nel 2010, mentre l’economia mondiale faceva ancora i conti con gli effetti della crisi finanziaria, capolavori di Modigliani e Giacometti passavano sotto il martelletto segnando risultati senza precedenti. Un altro parallelo nella storia del mercato dell’arte è la vendita di capolavori di van Gogh alla fine degli Anni Ottanta, il grande picco speculativo foraggiato dai compratori giapponesi.
In quattro anni il fatturato globale delle vendite all’asta è raddoppiato, con una curva più ripida rispetto al rallentamento del 2009/2010, e la bolla speculativa del 2007 appare minima in confronto alla quantità di denaro che sta affluendo nel mercato dell’arte nell’ultimo anno, il migliore finora in termini di fatturato, crescita dell’indice dei prezzi e record d’artista. Quest’ultimo fattore riguarda soprattutto gli artisti nati nel dopoguerra, considerati un investimento sicuro, guidati da una rete di gallerie influenti che trovano nel mercato d’asta il luogo ideale ove trainare i prezzi.
La crescita del mercato dell’arte ha coinciso con l’eccezionale crescita della ricchezza soprattutto nelle economie emergenti in Asia, Medio Oriente e America Latina. Il numero degli HNWIs – High Net Worth Individuals è aumentato da 7 milioni nel 2003 a 13.7 milioni nel 2013, con una ricchezza totale stimata di 52.6 bilioni di dollari. Se fino a qualche anno fa l’esponenziale crescita di questo dato era concentrata nei Paesi emergenti, la crescita del 2013 è strettamente legata all’aumento della ricchezza nel Nord America.
Le aste dello scorso maggio a New York hanno raggiunto i totali più alti mai realizzati dalle tre leader del mercato – Christie’s, Sotheby’s e Phillips –, oltrepassando nel complesso il miliardo di dollari (escluso il Buyer’s Premium), contro una stima minima iniziale di 968 milioni. E gli States non sono al primo posto solo come miglior piazza, ma anche per i tre artisti dal fatturato annuale maggiore: Basquiat, Koons e Wool rappresentano il 22% del mercato dell’arte contemporanea, con fatturati rispettivamente di 162, 115 e 61 milioni di euro nell’ultimo anno.
Cina e Stati Uniti competono per il primo posto e assieme rappresentano oltre il 60% del fatturato globale del mercato all’incanto, generando il 78% delle vendite totali nel segmento del contemporaneo, mentre l’Europa rimane indietro, al di sotto del 20%. Dire Europa significa parlare delle vendite nel Regno Unito, che rappresenta il 77% del totale, mentre a Parigi spetta il 10% e il rimanente 13% è suddiviso tra Germania, Italia e Svezia (dati Artprice).
L’aumento delle vendite d’arte non è però strettamente legato all’aumento di nuovi ricchi che fanno il loro ingresso in questo mercato. I nomi che gravitano attorno alle salesroom di Christie’s e Sotheby’s o nei corridoi di Art Basel non sono nuovi di volta in volta: si potrebbe parlare di una bolla speculativa guidata da una manciata di compratori, disposti a destinare somme crescenti di denaro nel business dell’arte contemporanea, diversamente da quanto accadde nel 2007, quando questa speculazione era dovuta all’improvviso ingresso di nuovi compratori. E come ogni azione speculativa, questa riguarda un ristretto numero di artisti considerati alla stregua di titoli blue chip, portando un alto grado di monotonia al livello più alto del mercato.
Un dato parla più di altri: fra i 36mila artisti registrati nel mercato d’asta nel settore contemporaneo, meno di 50 hanno superato i 10 milioni di euro (Arts Economics, Dublino).
Il primato newyorchese non indica un rallentamento dell’Asia o degli altri Paesi in gioco, ma rappresenta il luogo dalle migliori premesse per una crescente finanziarizzazione dell’arte. Nel passato il mercato ha raggiunto picchi di tale intensità, ma è la prima volta in cui l’arte contemporanea – e i giovani artisti under 30 – raggiungono i livelli di autori museali, le cui opere sono oramai difficilmente reperibili sul mercato. Si è invertita la legge della domanda e dell’offerta a causa di una manciata di collezionisti e galleristi che non sopravvalutano più la rarità di alcuni autori, ma la speculatività del contemporaneo.
Martina Gambillara
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #22
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