Borgo Piccolomini a Roma. Un parco d’arte a pochi metri dal Vaticano
Sta nascendo. È un progetto ambizioso. Trasforma un pezzo di città abbandonata in un paradiso di biodiversità, natura, paesaggio e arte. Generando ricchezza e posti di lavoro. Potrebbe già esserci ma non c’è perché, come al solito, la burocrazia ci sta mettendo lo zampino. Ecco la storia di un bel progetto a Roma
Dirupi, boschi fitti, salite, valli, ruscelli limpidissimi, sorgenti, antiche ciminiere di vecchi opifici e fornaci, alberi secolari e vastissimi altipiani in cui sembra di toccarla, la Cupola di San Pietro in Vaticano, lontana non più di mille metri in linea d’aria. Otto ettari mozzafiato nel cuore della città di Roma, una oasi ambientale, naturale e paesaggistica in piena area edificata che presto potrebbe trasformarsi in un parco pubblico (a gestione privata, per fortuna, viste le condizioni dei parchi pubblici a Roma) con una forte vocazione sull’arte contemporanea.
Il progetto si chiama Borgo Piccolomini, è ideato dal regista, sceneggiatore e appassionato d’arte Alberto Manni e si avvarrà dell’aiuto di molti personaggi noti, non solo nella Capitale, del mondo del contemporaneo come Francesco Cascino o Alfredo Pirri. Il terreno è proprietà privata della Fondazione Piccolomini, una realtà di diritto pubblico dedicata al sostentamento di anziani attori non in grado di provvedere a loro stessi, quattro anni fa la fondazione ha messo “sul mercato”, previo bando pubblico, un pezzo delle proprietà. Il progetto vincitore risultò quello di Manni: l’obiettivo era quello di creare qui un modello di campo da golf ecosostenibile, ma ai comitati di quartiere (e ai burocrati pubblici) l’eccellenza del progetto e i 50 posti di lavoro previsti non bastarono per evitare ostacoli strumentali. Manni non si è però dato per vinto e ha cambiato tutto: niente più golf nel cuore di Roma (sarebbe stato rivoluzionario, anche a livello turistico, ma tant’è), si passa ad un progetto ancor più originale, una piattaforma aperta in grado di mescolare socialità, aggregazione intelligente, enogastronomia (somministrazione, ma anche tanta produzione, con orti didattici ad esempio), paesaggio, natura, biodiversità, sostenibilità, arte contemporanea, arti performative e tanta tecnologia. Non cercate paragoni perché non ce ne sono. Una sorta di circolo culturale contemporaneo spalmato su un declivio rurale nel cuore della città urbanizzata. Un processo non facile quanto a trasformazione e ad investimenti visto che la grande area è stata presa in gestione quando era completamente in abbandono. Ora i lavori di ripulitura stanno finalmente partendo.
Qualche contenuto? Ce n’è per tutti i gusti in quello che si propone di essere un nuovo modello – replicabile – di gestione di verde urbano. Gli orti didattici, il teatro di verzura per kermesse e reading, i percorsi nel bosco per l’educazione ambientale, i laboratori sulla trasformazione alimentare (insegnare ai bambini a fare le conserve), un farmer’s market che sarà curato da una delle principali associazioni di coltivatori , una vigna botanica, campi estivi per ragazzi nei periodi di vacanza e poi jogging, magari anche di notte, grazie ai percorsi illuminati a led nell’ambito di un progetto studiato da un importante ateneo, mentre dall’Università di Venezia proviene Franco Panzini, il paesaggista che avrà in charge tutto il col supporto di paesaggisti e tecnici romani di qualità ed esperienza. Da non dimenticare, a cappello di tutto, l’arte contemporanea che avrà un ruolo centrale nel progetto Borgo Piccolomini: installazioni, esposizioni, workshop (anche qui senza tralasciare i bambini), opere collocate nei boschi e inserite in percorsi naturalistici.
Un grande progetto privato in un periodo di crisi nera. Potenzialità da 60 posti di lavori (molti under 30), nulla osta ampiamente ottenuti (per il progetto precedente del golf e ora in fase di conversione su questo nuovo progetto peraltro ampiamente meno impattante), ma anche questa volta non sembra bastare. Le cose vanno avanti, sì, ma con una lentezza esasperante.
Una lentezza capace di far fuggire investitori, far passare la voglia. Un giorno tutto sembra al suo posto, il giorno dopo compare un vincolo che considera bene culturale intoccabile qualche baracca all’amianto, qualche sfasciacarrozze, qualche rudere marcito di nullo interesse architettonico. Questo è il motivo per cui il nostro paese è terreno da cui fuggono a gambe levate gli investitori stranieri: è tutto difficilissimo, ma, in più, non hai mai la percezione di quanto sia grande questa difficoltà. Non riesci a far previsioni sul suo impatto. Borgo Piccolomini ci sarebbe già potuto essere, invece non c’è, difficile capire i ritardi e i comportamenti, che spesso sembrano ostili, da parte della burocrazia che ha tempi non più compatibili con le necessità di sviluppo. E’ la solita storia che vi ripetiamo almeno una volta a settimana senza la paura di essere troppo pedanti. Matteo Renzi ha promesso di liberarci da questo fardello, Dario Franceschini dovrebbe lavorare al superamento di questi modelli con maggiore lena. Se l’obiettivo è uscire dalla crisi, non si può prescindere da riformare apparati già obsoleti in tempi di vacche grasse, figuriamoci ora.
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