Credevo fosse amore. Donne e violenza: una giornata per denunciare

25 novembre. Il mondo celebra la giornata contro la violenza sulle donne, indetta dall’ONU. Anche l’Italia lancia delle campagne di comunicazione, fra mostre, letture, eventi in piazza. Provando a dare un segnale, mentre si riflette sui numeri (disastrosi). Una vittima ogni due giorni, nell’ultimo anno

Intorno alla parola “femminicidio”, ormai assimilato dal lessico quotidiano, il valzer di critiche e di consensi è stato concitato, fin da subito. Un fatto politico, prima che linguistico. Per certuni si tratta di retorica: un nome di tendenza, per un reato inventato o enfatizzato, alla base di una mentalità ghettizzante. C’è chi ha bollato il termine come riduzionista (“donne e non femmine”) e chi ha definito l’apposita legge – sfornata sotto il governo Letta – una mezza impostura, dal momento che niente sarebbe più discriminante di una specificità giuridica, confezionata a misura di un “genere protetto”: donne vittimizzate e uomini criminalizzati. Un omicidio è un omicidio, in qualunque caso: ogni altra sovrastruttura suonerebbe come un surplus sessista e decorativo.
Il consenso politico, però, è stato trasversale. Le legge approvata nel 2013, con i voti di Pd, Pdl e Scelta Civica, trasforma in aggravante, sul piano penale, il rapporto sentimentale con la donna, comporta l’arresto obbligatorio per i casi di flagranza di reato e introduce alcune misure pre-cautelari per l’aggressore, tra cui l’allontanamento dal nucleo familiare, con tanto di braccialetto elettronico. Oltre a finanziare un piano educativo straordinario anti-violenza e una rete di case-rifugio, introducendo infine l’irrevocabilità di querela per minacce gravi.


I NUMERI

Manifesto per la giornata del 25 novembre

Manifesto per la giornata del 25 novembre

Una cosa è certa. L’emergenza violenza, al netto di estremismi, moralismi e semplificazioni ingenue, c’è e si vede. Anzi, si conta. A dirlo sono infatti i numeri, insieme alle tante storie messe in fila. Basti dare un’occhiata allo studio più recente di Eures, riferito al 2013. L’Italia regredisce, a sorpresa. Annus horribilis, quello appena trascorso, con 179 donne uccise – una ogni due giorni – contro le 157 del 2012. Un aumento del 14%. E ad aumentare sono proprio gli assassinii in ambito familiare, con un +16,2%, (da 105 a 122, la maggior parte per mano di coniugi, partner ed ex partner), seguiti da quelli nei contesti di prossimità (vicini di casa, amici, colleghi), che salgono da 14 a 22. La percentuale complessiva di donne uccise è pari al 35,7% dei morti ammazzati (179 sui 502), la cifra più alta mai raggiunta nel Paese. Un trend in netta salita: solo 25 anni fa il dato si assestava sull’11,1%.
Ma se queste cifre suscitano orrore, i dati del report Rosa Shocking. Violenza, stereotipi…e altre questioni del genere, realizzato da Intervita con il supporto di Ipsos, alimentano lo sconforto. Per un italiano su tre la violenza domestica sulle donne è un fatto privato da risolvere in famiglia: i panni sporchi si lavano in casa. Altro che prevenzione e cultura del riscatto. Per uno su cinque è accettabile denigrare una donna con sfottò a sfondo sessuale, mentre uno su dieci pensa che indossare abiti provocanti è un invito diretto ai violentatori: la vecchia storia indecente del “se l’è cercata”.

25 NOVEMBRE

Valentina Pitsalis, sfigurata per mano del marito

Valentina Pitzalis, sfigurata per mano del marito

Cade ogni anno il 25 novembre la “Giornata Internazionale dell’Onu per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Evento straordinario, che vede in prima linea comitati, associazioni, istituzioni, artisti, scrittori, giornalisti, creativi di tutto il mondo. Insieme per sottolineare, ancora una volta, che il problema – comunque lo si voglia chiamare – ha una sua urgenza, un suo peso specifico, una sua identità. Femminicidio, allora, non è solamente un vezzo del politically correct vigente. Non un’invenzione, né una forzatura. Perché all’origine dell’esecrabile delitto non ci sono unicamente la cattiveria, l’ignoranza, l’abisso della psicosi o la prepotenza lucida, che uniscono molti i delitti. Qui c’è un dato culturale. Le donne uccise dagli uomini muoiono, spesso, perché considerate delle proprietà inviolabili. Fragili, manipolabili, da mettere a tacere o da legare a sé. Per forza.
È l’allucinazione dell’amore come possesso, consumato nell’odio; è l’idea dell’altro come oggetto da acquisire, da controllare, da governare. E in extremis da punire. Anche con la morte. Un pensiero del dominio che sopravvive e che identifica, per questi delitti, un capitolo a sé. Uomini contro donne: dagli abusi sessuali all’omicidio, passando per lo stalking e le violenze domestiche, la differenza di percentuali rispetto ai casi inversi (donne contro uomini), insieme al l’uniformità di metodi e moventi, accendono la spia del “caso”.  Chiedendo attenzione, prevenzione, ascolto, dissenso. Educazione.

Campagna canadese

Campagna canadese

L’arte, la pubblicità, le campagne di informazione, il teatro, la letteratura, provano a dare una mano. Avendo un ruolo chiave nella comunicazione sociale, sia di nicchia che di massa. Migliaia gli eventi organizzati per questo martedì di sensibilizzazione globale. Tantissimi quelli diffusi lungo lo Stivale. A cominciare da Roma, che si tinge di rosso, accendendo  Piazza del Popolo con delle luci fiammeggianti, mentre sui palazzi, tutt’intorno, compaiono frasi e parole dedicate al tema. E a Montecitorio anche Ministre e parlamentari danno il loro contributo, leggendo brani tratti dai monologhi di Serena Dandini  “Ferite a morte”.
Dall’altra parte dell’Oceano il rosso diventa arancione, colore ufficiale dell’evento: al tramonto l’Empire State Building e il palazzo dell’Onu si illuminano della stessa tinta, nello stesso istante, con la  First Lady di New York, Chirlane McCray, che pigia l’interruttore. Per ben 16 giorni, dal 25 novembre al 10 dicembre (Giornata Onu per i Diritti Umani) una serie di eventi prenderà vita, in USA e nel resto del mondo, sotto il segno dell’arancio.

CAMPAGNE

I Miserabili, Museo Madre - foto © Stefano Renna

I Miserabili, Museo Madre – foto © Stefano Renna

Campagne di comunicazione a gogo, in questi giorni. Ne scegliamo tre, fra le più belle e meglio confezionate. Restando sulla piazza internazionale, Fabrica, dal suo quartier generale di Treviso, grazie al talento del giovane art director Erik Ravelo, sforna un’immagine d’effetto, tanto poetica quanto incisiva: il cliente è United Colors of Benetton, con una campagna realizzata a supporto di UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite che promuove l’eguaglianza tra i sessi e l’emancipazione femminile. Un progetto realizzato proprio per il 25 novembre. L’immagine si costruisce intorno a un contrasto visivo, legato a un detto popolare: “una donna non si tocca nemmeno con un fiore”. E la donna sorridente, al centro della scena, è l’oggetto di una strana lapidazione. Apparizione idilliaca, tra l’arancio e l’azzurro di un paesaggio new age, circondata da uomini che lanciano pietre, tramutate in petali di rosa. Incantesimo gonfio di bellezza e di speranza.

Campagna Benetton by Fabrica

Campagna Benetton by Fabrica

A completare il tutto è Facing, installazione formata da una serie di tavole metalliche, che riproducono  i volti di donne aggredite e sfigurate. Anche in questo caso, una rotazione radicale: a lasciar emergere le immagini, in positivo, è l’acido con cui sono lavorate le superfici. Non più strumento di distruzione, ma generatore di bellezza. Le tavole saranno vendute all’asta nel 2015 e il ricavato andrà interamente alle attività di UN Women.
C‘è invece Filmaster Productions, con la regia di Federico Brugia e il progetto creativo di Fabrizio Ferrero e Pierfrancesco Jelmoni per l’agenzia Altavia, dietro lo spot ”Anche io credevo fosse amore”, interpretato da una meravigliosa Eva Riccobono, in versione bambola di cera. Abiti e accessori messi a disposizione da griffe come Miu Miu, Tod’s, Prada e Dsquared2, per costruire outfit accuratissimi, fra interni domestici lussuosi, raccontati con piglio cinematografico dall’occhio esperto di Brugia. Riccobono, rigida protagonista di patinati tableaux vivants, incarna la donna “bella”, “brava”, “buona”, “fedele”, creatura perfetta uscita da Madame Tussauds, alle prese con specchi, tavole imbandite e aspirapolvere. Alla  fine si ritroverà stesa al suolo, fatta a pezzi come un barbie smontabile, stigmatizzata dal pronome possessivo dell’orrore: “Mia”. In chiusura un messaggio di Valentina Pitzalis, la ragazza sarda sfigurata tra anni fa dalle fiamme, dopo il folle gesto del marito, accecato dalla gelosia: “Quante donne muoiono, prima di essere uccise. Anche io credevo fosse amore”. Morire, nel silenzio della debolezza, prima che la morte arrivi.

Infine, dalla Regione Campania, l’adozione e il rilancio della campagna prodotta dal Museo Madre lo scorso 8 marzo, I Miserabili. Foto di cronaca vera, in cui l’obiettivo del reporter si sofferma su scene di cattura: uomini con i pantaloni sporchi di sangue, finiti in manette, scortati da agenti donne. Un’immagine diventa il manifesto per la giornata del 25 novembre: non il volto della vittima, come da tradizione, ma la silhouette  del carnefice. Per una volta c’è lui sotto i riflettori, con gli occhi della folla puntati addosso. A raccogliere il disprezzo.

ARTE

Giovanni gaggia - L'arte non può cambiare il mondo ma le singole persone sì

Giovanni gaggia – L’arte non può cambiare il mondo ma le singole persone sì

Sul fronte arte, tra le tantissime mostre ospitate da piccoli musei, sedi di associazioni culturali, circoli e palazzi istituzionali, da segnalare c’è il progetto itinerante “Privata”, a cura di Federica Mariani, partito l’8 marzo 2014 da Ancona e approdato il 15 novembre all’Archivio di Stato di Cosenza, dove resterà fino al 7 dicembre, prima di proseguire il suo tour, tra momenti espositivi e incontri didattici. Fotografie, installazioni e video di Federica Amichetti, Alessandra Baldoni, Mandra Cerrone, Francesca Romana Pinzari, Rita Soccio, Giovanni Gaggia, Mirko Canesi, costruiscono un percorso per immagini, nel tentativo di ribadire un concetto chiave: la violenza sulle donne non è e non deve essere una questione “privata”. E mentre quell’aggettivo evoca le privazioni che ogni donna abusata sconta (dignità, libertà, serenità), il monito resta uno. E riguarda le donne stesse: denunciare, sempre. Rendendo pubblico il racconto dell’umiliazione, della paura.
In ocasione dell’opening di Cosenza un convegno ha ospitato le famiglie di alcune donne calabresi, brutalmente uccise dai loro uomini:Fabiana Luzzi, la sedicenne bruciata viva dal fidanzato, nel 2013; Lea Garofalo, testimone di giustizia, sequestrata e ammazzata nel 2009; la professoressa Vincenzina Fernanda Scorzo, finita a coltellate dal marito nel 2012;  Roberta Lanzino, la studentessa violentata e uccisa nel 1988.

Zapatos Rojos, la performance di Elina Chauvet contro il femminicidio

Zapatos Rojos, la performance di Elina Chauvet contro il femminicidio

Intanto, a Cremona, è arrivata l’artista messicana Elina Chauvet, che per celebrare l’evento internazionale ha scelto proprio l’Italia. Con sé ha portato le 33 scarpe femminili rosse che usò nel 2009 per il debutto della sua performance “ Zapatos Rojos, a Ciudad Juárez, la città del Messico in cui è nato il termine “femminicidio”: un progetto itinerante e relazionale, che nelle piazze del mondo dipinge fiumi di scarpette rosse, raccolte e condivise dalle donne del posto. Rosse, come il sangue di ogni vittima da non dimenticare. L’azione di Elina è diventata un rituale collettivo, ripetuto in molte città come testimonianza simbolica. Una liturgia al femminile, a cui spesso anche gli uomini hanno dato un contributo. “Mi piacerebbe molto avere che il prossimo presidente degli Stati Uniti fosse una donna“, ha dichiarato oggi l’artista, in un’intervista su Io Donna. “Anzi, mi piacerebbe che ci fosse una presidente donna in tutti i Paesi. Non ci sarebbero più guerre“.

FIABE

Coward, by Alexsandro Palombo

Coward, by Alexsandro Palombo

Ci riprova l’artista e illustratore aleXsandro Palombo, noto per le sue versioni irriverenti di personaggi celebri, presi a prestito da cartoni, favole, fumetti o dal mondo della moda. Sensibile al tema dei diritti femminili, nel marzo 2015 aveva lanciato una serie horror-pop, dedicata al lato oscuro delle coppie: da Merge e Omer Simpson a Biancaneve col suo principe, dai super vintage Olivia e Braccio di Ferro ai preistorici Wilma e Fred dei Flintstones, fino a coniugi Griffin o agli amanti immaginari Superman-Wonder Woman, Palombo aveva scelto la prospettiva scomoda della violenza domestica. Occhi tumefatti, teste rotte, bocche sanguinanti.
Eccolo adesso con una serie nuovissima, che riprende l’argomento, ma a partire da una parola chiave: “Coward”. Vigliacco. Più eloquente di così… E sono ancora loro, Merge, Lois, Olivia, Cenerentola, Pochaontas, a denunciare, senza paura, i loro uomini vigliacchi.

MODA

Florence for Women - t-shirt

Florence for Women – t-shirt

Epilogo tristemente significativo, per l’installazione curata da Jo Squillo a Milano, inaugurata lo scorso giugno in occasione della Settimana Moda Uomo. Sul muro esterno della Casa dei diritti di via De Amicis, una cinquantina di bambole progettate da noti stilisti e fashion brand erano state appese insieme ad altre centinaia, donate dei cittadini. Un muro di resistenza, a sostegno della battaglia contro la violenza sulle donne. Violenza che anche in questo caso ha avuto il sopravvento. Moltissime oggi le bambole distrutte, vandalizzate, rubate. Teppisti in libertà, dentro e fuori le pareti di casa.
Andrà meglio a Firenze, dove tra le iniziative messe in campo per il 25 novembre c’è anche un progetto legato alla moda, al lavoro femminile e alla qualità sartoriale. Florence For Women mette insieme imprenditorialità e azione sociale, con il coordinamento del Comune. Si punta a realizzare un network permanente, con prodotti made in Italy griffati Florence For Women  e commercializzati in tutto il mondo, grazie alla collaborazione col noto luxury shop LUISA VIA ROMA. La produzione dei capi è affidata a laboratori di alto artigianato sartoriale, gestiti da associazioni e cooperative del territorio che ospitano vittime di violenza. Un esperimento di empowerment sociale, con un duplice obiettivo: offrire formazione e occupazione a queste donne e destinare gli utili alla causa. Il ricavato delle vendite andrà alle stesse case di accoglienza e associazioni, impegnate quotidianamente nel sostengo alle donne in fuga da realtà di oppressione, di minacce, di abusi.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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